Le pressioni di Stati Uniti e Israele di questi mesi sul governo libanese e su Hezbollah per indebolire e isolare il partito-movimento sciita non sembrano avere ottenuto risultati significativi almeno sul piano politico. Infatti, nonostante una feroce campagna militare e ricatti più o meno espliciti rivolti al nuovo governo di Beirut, l’alleanza sciita tra Hezbollah e Amal ha fatto il pieno di seggi nella quarta e ultima tranche delle elezioni municipali in Libano, andata in scena nella giornata di sabato nelle province meridionali del paese mediorientale.

In uno scenario esplosivo, Hezbollah e la sua nuova leadership hanno evidenziato una tenuta notevole, confermando, al di là della retorica occidentale, la popolarità del movimento e il fortissimo radicamento nel territorio anche grazie alle proprie attività in ambito sociale a fronte di istituzioni statali a dir poco latitanti. L’illusione di assestare un colpo mortale alla “Resistenza” libanese da parte americana e israeliana semplicemente assassinando gli esponenti di vertice o cercando di attribuire a Hezbollah la situazione drammatica del Libano è rimasta appunto tale. La campagna anti-Hezbollah ha finito piuttosto per favorire il movimento sciita, identificato a ragione come l’unico baluardo contro l’occupazione, l’influenza e la violenza sioniste.

Complessivamente, l’affluenza alle amministrative libanesi è stata nettamente inferiore rispetto al 2016 (37% contro 48%). Il dato nel sud del paese è stato però contraddittorio, con alcune municipalità che hanno visto una quota superiore di elettori recarsi alle urne. Nel governatorato Sud Libano, l’affluenza è stata ad esempio superiore al 43%. A urne aperte, Al Jazeera aveva d’altra parte riportato un’affluenza sopra la media nei villaggi vicino alla frontiera con Israele, ovvero quelli maggiormente colpiti dall’aggressione militare dello stato ebraico. Malgrado la propaganda, non è stato difficile per i residenti di queste aree individuare i responsabili della loro situazione.

Qualche osservatore occidentale ha attribuito la bassa affluenza generale anche alla mancata capacità di Hezbollah di mobilitare la propria base in un voto che avrebbe dovuto servire a dare una risposta alle pressioni subite in questi mesi. In realtà, in molti casi i candidati di Hezbollah e Amal erano rimasti gli unici in corsa dopo il ritiro dei rappresentanti di liste rivali senza possibilità di successo. Questo fattore ha senza dubbio influito ad abbassare l’affluenza tra l’elettorato sciita e non solo.

Le liste di Hezbollah e Amal sono state così elette senza sfidanti in ben 102 municipalità su 272 chiamate al voto sabato. I due alleati hanno però ottenuto vittorie anche in buona parte delle competizioni dove erano presenti altri candidati. Hezbollah e Amal, oltretutto, in vari casi avevano ritirato i propri candidati così da evitare possibili scontri politici o addirittura dentro ai seggi in località ritenute “a rischio”. Anche grazie a questa scelta tattica di Hezbollah, alcuni candidati indipendenti sono riusciti a farsi eleggere.

Il comandante delle forze armate libanesi, generale Rodolphe Haykal, nella giornata di domenica ha elogiato i militari per avere assicurato lo svolgimento delle elezioni amministrative senza particolari problemi. Altri esponenti di governo e delle istituzioni hanno espresso apprezzamenti simili, in larga misura per auto-attribuirsi il merito della relativa stabilità della situazione interna, tanto da consentire agli elettori di recarsi ai seggi in sicurezza.

In maniera significativa, Israele, che viola regolarmente la tregua siglata con Hezbollah lo scorso novembre, si è infatti astenuto da bombardamenti o attacchi contro il Libano durante le operazioni di voto. È evidente che questa decisione è stata coordinata con Washington e il nuovo governo filo-occidentale di Beirut, probabilmente perché ci si aspettava un risultato sfavorevole a Hezbollah che avrebbe potuto essere sfruttato per fare ulteriori pressioni sul movimento sciita.

Al contrario, le elezioni hanno permesso a Hezbollah di prendere fiato e proiettare, sia a livello domestico che internazionale, un’immagine di forza e resistenza nonostante i rovesci degli ultimi mesi. Il numero uno del movimento, Naim Qassem, ha subito commentato pubblicamente i dati di sabato, ribadendo il rifiuto dell’occupazione sionista. Con un chiaro riferimento alle ripetute intimazioni a consegnare le proprie armi, il successore di Hassan Nasrallah ha affermato che “da ora in avanti” non dovrà essere “chiesto nulla” a Hezbollah.

Il successo di Hezbollah nelle proprie roccaforti, oltre a preannunciare i possibili equilibri che potrebbero uscire dalle elezioni generali da qui a un anno, si sono quindi risolte in un fallimento per le forze anti-Resistenza in Libano e per i piani di egemonia su questo paese di Stati Uniti e Israele. Fallimento ancora più pesante perché il voto amministrativo conclusosi nel fine settimana era stato promosso più o meno esplicitamente come una sorta di referendum su Hezbollah proprio da queste stesse forze.

Le interferenze nella politica libanese avevano incluso veri e propri ricatti. In più di un’occasione era stato fatto intendere che i finanziamenti internazionali per la ricostruzione del Libano, in particolare delle aree devastate dall’aggressione israeliana, non sarebbero stati sbloccati fino a quando Hezbollah non fosse stato disarmato e indebolito politicamente. Questa strategia si è rivelata controproducente, in primo luogo perché proprio le privazioni delle comunità libanesi colpite dalle bombe israeliane hanno reso indispensabili i programmi di assistenza gestiti da Hezbollah.

Non solo, la base elettorale del partito-movimento sciita ha potuto identificare ancora più chiaramente i responsabili del disastro libanese, premiando i candidati di quest’ultimo e dimostrando la vitalità della “Resistenza”, unica opzione per sfuggire alla violenza e alla logica della sottomissione al regime sionista e ai suoi sponsor americani.

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