La presentazione del bilancio pubblico per l’anno 2026 del primo ministro, François Bayrou, ha dato un’anticipazione piuttosto chiara delle misure drastiche di riduzione della spesa sociale che attendono non solo la Francia, ma anche molti degli altri paesi europei che hanno abbracciato con entusiasmo insensato le politiche ultra-dispendiose di riarmo per far fronte alla minaccia-fantasma russa. La brutale intensificazione dell’austerity prevista dal governo del presidente Macron è anche la conseguenza di un debito pubblico esploso in seguito alle crisi economiche degli ultimi due decenni, che hanno richiesto pesanti interventi di salvataggio per banche e imprese, e alla costante riduzione della pressione fiscale per le grandi società transalpine. Il costo del crescente buco di bilancio venutosi così a creare, in Francia come altrove, verrà fatto pagare come sempre a lavoratori, pensionati e classe media.

C’è una componente politica molto delicata che si intreccia alle vicende di bilancio francesi, visto che quello di Bayrou è un governo di minoranza ed è in grado di ottenere la maggioranza all’Assemblea Nazionale solo con il più o meno tacito appoggio di almeno una componente dell’opposizione, più frequentemente l’ex Fronte Nazionale (“Rassemblement National” o RN) o il Partito Socialista (PS). Quando sul tavolo viene portata la questione più scottante dell’agenda legislativa, appunto il nuovo bilancio dello stato, le tensioni fanno segnare una drastica impennata, perché nessun partito che nominalmente si oppone a Macron e al governo vuole essere associato alle misure di devastazione sociale in agenda.

Lo stesso sta accadendo in questa circostanza, con polemiche e prese di posizione in apparenza nette in seguito all’apparizione pubblica di martedì in cui Bayrou ha anticipato il budget che dovrà essere discusso ed eventualmente approvato in autunno. Su tutto, pesano le pressioni dei mercati e della burocrazia europea per ridurre il deficit francese, oggi al 5,8% del PIL, contro l’obiettivo consueto del 3%. Complessivamente, il debito di Parigi ammonta a circa 3.300 miliardi di euro, sui quali vengono pagati quasi 60 miliardi ogni anno di soli interessi. L’intenzione del gabinetto Bayrou è di tagliare 43,8 miliardi di euro dalla spesa pubblica del prossimo anno, per abbassare il rapporto deficit/PIL al 4,6%, mentre l’obiettivo – improbabile – del 3% verrebbe raggiunto nel 2029.

Il settore più colpito sarebbe quello sanitario. Bayrou ha spiegato che l’aumento di spesa in questo ambito nel 2026 dovrebbe essere di 10 miliardi di euro, ma con gli interventi da lui previsti verrà dimezzato. I tagli saranno quindi di almeno 5 miliardi, da recuperare in vari modi, uno dei quali è l’impopolare aumento della quota massima che gli utenti dovranno sborsare di tasca propria (ticket) per ricevere le prestazioni sanitari. Questa cifra sarà addirittura raddoppiata, arrivando a 100 euro per ogni persona all’anno. È prevista inoltre una stretta sui rimborsi destinati ai malati cronici, nonché parametri più severi per il riconoscimento dello status di questi ultimi, con la conseguente riduzione del numero di benefici erogati e di pazienti coperti.

Nel mirino ci sono anche i pensionati, che non vedranno riconosciuti gli adeguamenti dovuti all’inflazione nel corso del 2026. Stesso discorso varrà per gli stipendi dei dipendenti pubblici. Queste due misure consentiranno un risparmio di 7 miliardi di euro. Sotto la mannaia di Macron e Bayrou ci saranno poi i trasferimenti di denaro pubblico agli enti locali (5,3 miliardi), i rimborsi dei farmaci e l’assicurazione sanitaria. Il turnover tra i dipendenti pubblici sarà a sua volta limitato, mentre il numero di questi ultimi verrà ridotto con licenziamenti puri e semplici.

Le grandi ricchezze del paese rimarranno invece intoccabili, se non per un modesto “Contributo Straordinario di Solidarietà” che riguarderà i singoli contribuenti con redditi sopra i 250 mila euro annui e i 500 mila per le coppie. Questo tributo sarà appunto una tantum, al contrario degli interventi sulla spesa sociale, visto che l’orientamento di classe del governo fa in modo che il premier e il presidente abbiano da tempo escluso qualsiasi aumento delle tasse in grado di innescare anche un minimo effetto redistributivo. Sempre in qualche modo collegata agli orientamenti classisti del governo è la proposta di cancellare un paio di festività dal calendario, trasformandole in normali giorni lavorativi per aumentare il livello di produttività in Francia.

Come accennato all’inizio, la bozza di bilancio per il 2026 è intimamente legata alla svolta guerrafondaia impressa dai leader europei dopo l’esplosione della guerra russo-ucraina, da essi stessi provocata in collaborazione con gli Stati Uniti. L’umiliazione infitta all’Europa da Mosca ha scatenato una campagna di propaganda con pochi precedenti per fare della Russia una minaccia vitale alla stessa sopravvivenza del vecchio continente. Ciò ha giustificato il lancio di piani di riarmo totalmente irrazionali che, come si sta osservando appunto in Francia, richiedono il saccheggio del welfare e la decimazione della spesa sociale in genere.

Macron è d’altra parte in prima fila nel promuovere la questione “esistenziale” della militarizzazione dell’Europa. Infatti, escluse da qualsiasi taglio di bilancio secondo la proposta di Bayrou, oltre alle spese per il rifinanziamento del debito pubblico, saranno quelle militari. Per la difesa, nel 2026 la Francia dovrebbe anzi aumentare le uscite di 3,5 miliardi e di altri 3 l’anno successivo. In questo modo, in un solo decennio le spese militari francesi saranno di fatto raddoppiate. Questo spreco di risorse, a cui si oppone la stragrande maggioranza della popolazione, avrà luogo appunto in parallelo a uno storico ridimensionamento della spesa sociale. Oltretutto, a seguito di una (contro)riforma del sistema pensionistico vecchia di appena due anni e anch’essa avversata in maniera feroce dai lavoratori d’oltralpe.

Iniziative così apertamente classiste richiedono una narrativa del tutto manipolata per confondere le acque e disegnare un’immagine distorta della realtà. Bayrou ha infatti basato la necessità dell’austerity sue due argomenti, entrambi falsi. Il primo è che la Francia e i francesi, ovvero quelli appartenenti dalla classe media in giù, hanno vissuto per decenni al di sopra dei propri mezzi e, soprattutto, a carico delle casse pubbliche, quasi fossero veri e propri parassiti. L’esplosione del debito pubblico non viene invece mai ricondotta agli interventi di salvataggio delle banche in occasione delle crisi finanziarie, prima fra tutte quella del 2008, e delle imprese private, come durante la pandemia del 2020. Inoltre, la pressione fiscale ufficiale per le grandi aziende è costantemente scesa, determinando una corrispondente riduzione del gettito, fino ad arrivare al 25% nel 2022, vale a dire inferiore all’aliquota riservata alle fasce di reddito medio-basse.

Ancora più assurda è la tesi che la Francia non abbia altra scelta oltre al riarmo per difendersi da minacce esterne che incombono su di essa e su tutta l’Europa. Bayrou ha citato la guerra in Ucraina, la strage a Gaza e il conflitto tra Iran e Israele per dimostrare che la situazione internazionale sta precipitando verso il caos generalizzato e che, quindi, il governo deve avere i mezzi per garantire la sicurezza dei francesi. Il problema di questa argomentazione è che la Francia, così come il resto dell’Occidente, non è uno spettatore passivo della violenza in aumento, ma ha contribuito attivamente ad alimentarla.

Basti pensare a come tra il 2014 e il 2022, i paesi NATO abbiano facilitato il golpe di estrema destra a Kiev e poi sostenuto la militarizzazione dell’ex repubblica sovietica e la repressione della minoranza russofona. Dopo l’inevitabile inizio delle operazioni militari di Mosca, questi stessi paesi hanno impedito all’Ucraina di siglare una tregua quasi immediata, spingendo i suoi leader a continuare la guerra, il tutto per cercare di distruggere la Russia o tenerla imbrigliata in un pantano che avrebbe dovuto indebolirla. Per quanto riguarda invece Israele, la Francia, assieme ai suoi alleati, ha garantito e continua a garantire armi che perpetuano il genocidio e l’instabilità in Medio Oriente, malgrado qualche critica o condanna puramente di facciata. Parigi non è quindi una vittima innocente dell’aumento delle tensioni globali, ma agente attivo. Ciononostante, il governo intende imporre, per far fronte alle possibili conseguenze e per assicurarsi i propri interessi in maniera aggressiva, l’impoverimento di massa di lavoratori e classe media.

Nelle prossime settimane e dopo l’estate, si avrà un’idea più chiara delle posizioni in parlamento a proposito del bilancio per l’anno 2026. Le forze di sinistra e centro-sinistra hanno già espresso la propria opposizione al piano proposto dal primo ministro Bayrou ed è improbabile che faranno passi indietro per permettere alla nuova legge di essere approvata. Non è da escludere che sezioni del Partito Socialista possano tuttavia cedere in cambio di concessioni o modifiche al testo da parte del governo.

Più decisivo dovrebbe essere comunque il ruolo dell’ex Fronte Nazionale. I suoi leader, Le Pen e Bardella, hanno già tuonato contro il budget di Bayrou, ma, dietro l’apparente fermezza e i toni populisti, l’estrema destra condivide in larga misura gli obiettivi dell’Eliseo e dei grandi interessi economici e finanziari francesi. Di certo saranno richiesti interventi di carattere ultra-nazionalista e anti-immigrazione per ostentare rigore e coerenza, ma alla fine il tacito appoggio al bilancio potrebbe diventare realtà. Possibili elezioni anticipate e l’avvicinarsi delle presidenziali del 2027 non escludono però la linea dura dei neofascisti, fino a forzare la caduta anche del governo Bayrou, soprattutto se quest’ultimo e Macron dovessero restare fermi sul principio dell’austerity radicale a beneficio del riarmo e dei mercati finanziari.

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