In merito al sorprendente, sebbene prevedibile, trionfo della destra in Bolivia, la scorsa settimana è circolato un articolo di Álvaro García Linera, filosofo ed ex vicepresidente di quella repubblica, nel quale si domanda: “Perché il progressismo e la sinistra perdono le elezioni?” Tra i vari fattori, mette in evidenza come centrale l’economia: i progressismi del primo ciclo ottennero risultati comprovabili; ma in un nuovo ciclo la trascurarono, come accadde in Brasile, Argentina e attualmente in Bolivia, paesi che prende a esempio. Così si accumulò un malessere generale, dovuto al “deterioramento delle condizioni di vita della popolazione lavoratrice, alla frustrazione collettiva lasciata da progressismi timorosi”. In Bolivia fu ugualmente un fattore essenziale la contesa tra Evo Morales e Luis Arce, ma in un contesto di “disastrosa gestione economica”.

Perciò, sostiene García Linera, si richiede una “nuova generazione di riforme”, che passa necessariamente per la costruzione di “una base produttiva espansiva, di piccola, media e grande scala, tanto nell’industria quanto nell’agricoltura e nei servizi; del settore privato, contadino, popolare e statale; per il mercato interno come per l’esportazione, che garantisca un ampio sostegno industrioso e duraturo alla redistribuzione della ricchezza”.

Sono analisi importanti. Ma la realtà che vive la Colombia, con l’assedio quotidiano al governo di Gustavo Petro, merita altre considerazioni, poiché i progressi economici e sociali raggiunti dal suo governo non sembrano sufficienti ad assicurare la continuità del progressismo. Né esiste un modello politico valido per tutta l’America Latina. Ma ancor più differente è l’esperienza dell’Ecuador, che consente di porre un altro angolo di riflessione: perché vincono le destre?

I governi di Rafael Correa (2007-2017) dimostrarono progressi economici e sociali riconosciuti da studi nazionali e internazionali, come quelli della CEPAL, PNUD, OIL e persino del FMI. La sua gestione rappresentò una sconfitta per il neoliberismo, coltivato a partire dalla metà degli anni ’80. Senza dubbio definì le basi di un’economia sociale del Buen Vivir, che polarizzò la società, poiché il potere politico delle antiche élite fu scalzato, anche se i grandi media privati ne divennero i portavoce ideologici. Attirò inoltre l’attenzione degli Stati Uniti, schierati contro il “socialismo del XXI secolo” inaugurato da Hugo Chávez (1999-2013) in Venezuela, paese che oggi affronta la minaccia di una possibile intervento statunitense che sarebbe grave per tutta l’America Latina.

Il governo Correa suscitò anche reazioni tra le sinistre tradizionali e conflitti con diversi dirigenti del movimento indigeno, dei lavoratori e di altri settori sociali. Malgrado ciò, Correa fu rieletto nel 2009 e nel 2013 e il “correismo” ottenne un forte sostegno nel 2017 con la vittoria del suo candidato, Lenín Moreno, con il 51,16% dei voti al ballottaggio contro il banchiere Guillermo Lasso.

Si poteva pensare che la continuità dei risultati fosse assicurata. Ma in pochi mesi si evidenziò il cambio di rotta del governo: Moreno si dedicò a smantellare le eredità di Correa e con il referendum/consulta popolare del 2018 l’istituzionalità venne catturata e si instaurò un sistema di persecuzione contro il correismo. Lo stesso Rafael Correa fu processato, diversi dirigenti andarono in esilio e nel paese si promosse un attacco sistematico a quanto realizzato dal governo precedente, accusato di tutti i mali nazionali. Letteralmente Moreno distrusse forze produttive (nel senso marxista del termine), cosicché nel paese riemersero condizioni di sottosviluppo in vari ambiti della vita sociale, paragonabili a decenni passati a causa della distruzione, del degrado e della disinvestimento nelle infrastrutture, nei beni e nei servizi pubblici, della reprimarizzazione economica e dei privilegi al capitale privato.

Il crollo economico e sociale, aggravato nel 2020 dall’inerzia pubblica di fronte alla pandemia del Covid, avrebbe dovuto provocare il ritorno del progressismo autentico. Tuttavia, il cambio di rotta portò al trionfo elettorale degli imprenditori e milionari Guillermo Lasso (2021-2023) e Daniel Noboa (2023-oggi), che consolidarono la “seconda epoca plutocratica” dell’Ecuador, paragonabile a quella vissuta tra il 1912 e il 1925.

I trionfi delle destre ecuadoriane non furono dovuti alla cattiva gestione economica e sociale dell’epoca progressista. Vi sono molti fattori da considerare; ma, innanzitutto, furono dovuti al coltivare politicamente e ideologicamente il revanscismo e l’odio contro tutto ciò che suonasse come “correismo”, al punto che è mancato solo un decreto che vietasse di parlare di “Correa” e “correismo”, come avvenne in Argentina nel 1956 con il divieto di nominare “Perón” e il “peronismo”.

Allo stesso tempo si consolidò un blocco di potere che riuscì a unire milionari, grandi imprenditori, media privati, classi medie identificate con quegli interessi, partiti di destra, appoggi internazionali e tutto ciò dentro il quadro delle geostrategie statunitensi contro i governi progressisti e a favore del loro neomonroismo. Questo blocco si è proposto di impedire il ritorno del correismo (identificato con qualsiasi sinistra) e ha contato su presidenti-imprenditori che hanno garantito i suoi interessi, strumentalizzando a proprio favore apparati statali come procura, corte dei conti e vari giudici.

La loro ideologia economica è neoliberista e libertaria oligarchica. La menzogna, l’inganno populista, il lawfare, le fake news sono diventati valori pubblici per il successo politico ed elettorale, senza riguardo per Costituzione e leggi.

Il paradosso è che all’anticorreismo si unirono anche settori di sinistra (soprattutto quelli che si sono sempre definiti “autentici e veri”) e movimenti sociali che ruppero con Correa e votarono prima per Lasso e poi per Noboa. E benché per le elezioni del 2025 si sia ricostituita una effimera “alleanza delle sinistre” per affrontare il ballottaggio (in prima tornata la divisione è rimasta), la maggioranza del voto popolare è andata a destra, poiché il sostegno alla seconda presidenza di Noboa (2025) incluse ampie basi del movimento indigeno e dei lavoratori, sopra le posizioni di dirigenti come Leonidas Iza, accusato di essere “correista”.

I risultati economici della seconda epoca plutocratica non mostrano sviluppo né modernizzazione. Sì, buoni affari a spese dello Stato e della società. In meno di un decennio gli indici sociali e del lavoro sono crollati, cosicché le condizioni di vita peggiorate, che avrebbero dovuto favorire il progressismo, non hanno impedito i trionfi delle destre. L’analisi dovrebbe concentrarsi sui meccanismi usati dal blocco di potere per riprodurre la sua dominazione. Una novità, per esempio, è il progetto di sopprimere i contributi statali ai partiti, il che favorirebbe solo le destre finanziate da fondi privati. A ciò si aggiunge la circolazione di informazioni e opinioni di base sui social, che alimentano un pensiero politico elementare, assieme a troll e messaggi con insulti e idee irrazionali.

Inoltre, con l’aumento dell’insicurezza dovuto all’avanzata della criminalità organizzata, la criminalizzazione della protesta sociale e la militarizzazione della vita quotidiana, soprattutto nelle province più sensibili, si è diffusa la paura tra i cittadini e il rischio che la protesta o la mobilitazione in strada sia vista come atto “terrorista”. Un recente rapporto del Dipartimento di Stato USA (2024 Country Reports on Human Rights Practices: Ecuador) documenta violazioni dei diritti umani. In questo contesto, la generazione di una “coscienza di classe” popolare diventa molto difficile. Il potere si alimenta con l’“analfabetismo politico”. Tuttavia, ciò che la sinistra sociale progressista esige è che la Rivoluzione Cittadina, unico partito organizzato come alternativa di governo, insieme ai movimenti sociali, assuma la leadership e la convergenza politica necessaria per frenare quella che sembra una via inarrestabile di riproduzione storica del blocco di destra al potere.

In contrasto con l’Ecuador - che cammina in una via parallela a quella dell’Argentina - in America Latina sono incoraggianti i progressi del Messico, oggi alla testa del progressismo regionale, così come il ruolo che possono giocare il Brasile e i BRICS in una strategia comune latinoamericana. Ciò perché, nella seconda “era Trump”, è riemerso un grave pericolo per tutti i progressismi: l’America first neomonroista intende imporre l’egemonia degli Stati Uniti in tutto il continente, contro ogni avanzata della Russia e in particolare della Cina. È tornato persino lo spettro del “gran bastone” dell’epoca di Theodore Roosevelt (1901-1909).

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