I risultati delle elezioni parlamentari di domenica in Moldavia non sono mai stati realmente in dubbio nonostante i sondaggi più credibili indicassero seri problemi di tenuta per l’ultra-screditato partito europeista di governo della presidente/marionetta dell’UE, Maia Sandu. Come ampiamente previsto, le autorità del paese ex sovietico sono infatti intervenute pesantemente nel processo elettorale, orientando il voto verso l’esito desiderato, così come era accaduto almeno nelle due precedenti consultazioni: il referendum per l’adesione all’UE e le presidenziali del 2024. Nonostante una realtà manipolata in maniera decisiva per mantenere la Moldova nell’orbita occidentale, media e governi europei avevano denunciato nelle ultime settimane il pericolo mortale delle “interferenze” russe, dando vita alla collaudata campagna di propaganda per attribuire sostanzialmente al Cremlino quelle stesse manovre da loro implementate al fine di rendere di fatto superflua la libera espressione del voto degli elettori moldavi.

Per la presidente Sandu, il suo Partito di Azione e Solidarietà (PAS) e i loro sostenitori in Occidente quello che era in gioco domenica era il futuro stesso della Moldavia che, appunto, non poteva essere deciso dagli elettori, visto il rischio che questi ultimi avrebbero potuto scegliere una strada diversa da quella stabilita a Bruxelles. Nella versione proposta dalla stampa “mainstream”, il PAS ha riconquistato la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento, grazie a una percentuale di consensi appena superiore al 50%, malgrado gli sforzi disperati e senza precedenti di Mosca di condizionare la campagna elettorale. Tra i metodi sporchi che il “regime” di Putin avrebbe messo in atto ci sono come sempre la disinformazione, questa volta con l’aiuto dell’intelligenza artificiale, ma anche la distribuzione diretta di denaro agli elettori per comprarne il voto. Del tutto legittimo e non meritevole di una sola domanda è invece il fatto che la classe politica al potere a Chisinau e le varie organizzazioni della “società civile” filo-occidentali siano finanziate da anni da un oceano di denaro europeo e americano.

Visto che era riuscito nello scopo, il copione usato dal PAS e dalla Commissione Elettorale Centrale per assicurare la vittoria al partito europeista della Sandu è stato in larga misura lo stesso delle presidenziali dello scorso anno. Dopo lo spoglio delle schede relative ai seggi aperti sul territorio moldavo, il Blocco Patriottico e altri partiti di opposizione, per i media occidentali tutti rigorosamente “filo-russi”, erano stati accreditati di un vantaggio di oltre il 5% sul PAS e un totale di voti appena inferiore al 50%. A ribaltare la situazione sono stati però i voti arrivati dalle sezioni istituite all’estero per i moldavi espatriati. Fin qui, nulla di troppo strano. Se, tuttavia, si va oltre i resoconti della stampa ufficiale, si scopre per l’appunto lo stesso giochino del 2024. In sostanza, il governo di Chisinau ha nuovamente favorito il voto della diaspora in Occidente e ostacolato in tutti i modi quella che risiede in Russia. Chi ne abbia di conseguenza beneficiato non è difficile immaginarlo.

I seggi disponibili all’estero per i moldavi espatriati erano più di trecento, ma, secondo alcune fonti, solo due di questi sono stati allestiti in un paese immenso come la Russia, dove vivono approssimativamente tra i duecentomila e i trecentomila cittadini di questo paese. Per rendere l’idea dell’imbroglio orchestrato da Chisinau, circa centomila moldavi risiedono in Italia, ma qui i seggi a loro disposizione per votare erano 73 o 75, a seconda delle fonti. In Russia ha votato così solo una piccola parte dei moldavi, secondo alcune stime solo 4 mila o poco più, con notizie di code lunghissime che hanno impedito a molti di esprimere la loro preferenza prima della chiusura dei seggi.

Una tattica simile per privare del diritto di voto gli elettori potenzialmente favorevoli a premiare i partiti che propongono un indirizzo di politica estera meno ostile alla Russia è stata impiegata nella regione “secessionista” della Transnistria, dove è stanziato un contingente militare russo in funzione di “peacekeeping”. Mentre nelle elezioni del 2021 qui i seggi erano 40, domenica ammontavano solo a 12 e tutti nella porzione di territorio controllato dal governo di Chisinau, cioè sulla riva destra del fiume Dnestr. Oltretutto, meno di 48 ore prima dell’inizio delle operazioni di voto, per ragioni di “sicurezza” due di questi seggi sono stati spostati ancora di più verso ovest, ovvero lontano dalla linea che delimita l’area di auto-governo della regione, creando così ulteriori problemi logistici agli elettori residenti in Transnistria.

La soppressione dell’affluenza nelle circoscrizioni che potevano favorire l’opposizione non è il solo metodo adottato dalla presidente Sandu e dalle autorità elettorali e di governo in collaborazione con l’Europa nell’immediata vigilia del voto. I tribunali hanno di nuovo svolto diligentemente anch’essi la loro parte. Il 26 settembre, cioè due giorni esatti prima delle elezioni, la Commissione Elettorale ha escluso dalla competizione due partiti di opposizione. Il primo, Cuore di Moldavia, si è visto cancellare dalle liste elettorali tutti i suoi candidati ed è stato sospeso per un anno in seguito all’ordine di un tribunale nel contesto di accuse di riciclaggio di denaro e finanziamenti elettorali illeciti.

Il secondo, Grande Moldavia, ha subito la stessa sorte perché accusato di avere ricevuto fondi non dichiarati dall’estero e di essere legato al partito SOR dell’imprenditore in esilio volontario, Ilan Șor, anch’esso sciolto dalla Corte Costituzionale moldava nel 2023 con l’accusa in pratica di essere uno strumento degli interessi russi nel paese. La leader di Grande Moldavia, Victoria Furtună, già lo scorso luglio era stata la destinataria di sanzioni da parte dell’Unione Europea. La misura che ha colpito poco prima delle elezioni il suo partito si basa su una legge, approvata quest’estate, che consente di mettere fuori legge partiti considerati successori o eredi di altri precedentemente sciolti, come appunto il SOR.

Questi metodi repressivi e anti-democratici sono stati oggetto di critiche anche da parte di organismi non esattamente filorussi, come la Commissione di Venezia e l’OCSE, ma per l’Unione Europea continua a non esserci nulla da eccepire sulla natura esemplare della democrazia moldava. Grazie a questa copertura, il regime di Maia Sandu ha anche negato l’ingresso in Moldavia a una trentina di organizzazioni internazionali e a circa 120 osservatori, provenienti da oltre 50 paesi, che avrebbero dovuto seguire le operazioni di voto. Tra gli esperti tenuti fuori dal paese ci sono anche alcuni russi regolarmente nominati a prendere parte alla missione ufficiale OSCE in Moldavia.

La presidente Sandu, il governo del PAS e la sua maggioranza parlamentare usano regolarmente strumenti pseudo-legali per colpire i rivali politici ed eliminare ogni competizione, con la scusa della minaccia alla sovranità del paese e delle interferenze di Mosca. La lista di politici anche di primissimo piano alla guida di partiti con un’ampia base elettorale diventati bersaglio di provvedimenti repressivi è molto lunga in Moldavia. L’ex presidente Igor Dodon è l’esempio più macroscopico di questa campagna. Ex leader del Blocco Patriottico, quest’ultimo, attualmente ancora agli arresti domiciliari, è coinvolto in procedimenti per corruzione e alto tradimento, sempre in relazione ai suoi orientamenti politici ritenuti troppo filo-russi. Altre personalità dell’opposizione implicate in procedimenti legali simili sono la vice-presidente del disciolto partito SOR, Marina Tauber, o la governatrice della regione autonoma della Gagauzia, Evghenia Gutul, arrestata e condannata a sette anni di carcere con l’accusa di avere favorito il finanziamento illecito dello stesso partito SOR.

Su richiesta del governo, il parlamento a maggioranza PAS aveva infine dichiarato lo stato di emergenza all’indomani dell’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina nel febbraio 2022. Ufficialmente adottato per via dei rischi che la Moldavia correrebbe in ambito energetico a causa del conflitto, il provvedimento è stato abbondantemente utilizzato per restringere gli spazi politici e di dibattito democratico nel paese. Ad esempio, tra il 2022 e il 2023 sono stati chiusi sei canali televisivi accusati di diffondere propaganda filorussa, mentre numerosi giornalisti russi si sono visti negare il visto di ingresso per lavorare in Moldavia. Le già ricordate misure contro partiti e politici considerati al servizio di Mosca sono state giustificate ancora con lo stato di emergenza in vigore.

Nonostante tutto ciò, Bruxelles ha celebrato il “successo” della democratica Moldavia, ribandendo come questo paese resti ben avviato sulla strada dell’integrazione europea. Una reazione d’altra parte perfettamente coerente con la deriva anti-democratica dell’UE, che ha con ogni probabilità coordinato ogni singolo passo del piano repressivo delle autorità moldave. Molte delle misure adottate per assicurare i successi di Sandu e PAS e soffocare qualsiasi forma di opposizione o voce critica, con la scusa della propaganda “filo-russa”, ricalcano infatti in molti casi quelle introdotte negli ultimi tre anni e mezzo dalla stessa Unione Europa e dai singoli paesi membri.

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