Il diritto al gioco (e allo sport), irrinunciabile per ogni bambino, è ancora scarsamente rispettato e, soprattutto, per i minori con disabilità. Stando al documento Il diritto al gioco e allo sport dei bambini e dei ragazzi con disabilità, redatto dall’Autorità Garante dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in Italia appare critica la capacità di coniugare l’effettiva possibilità di partecipazione del bambino affetto da disabilità e le caratteristiche ambientali, che agiscono ancora da barriera.

 

Sul piano normativo, sebbene appaia necessario rivederne la terminologia e l’inserimento di riferimenti specifici alla minore età, il diritto alla loro inclusione è sancito dalla legge 104 del 1992 che prevede numerose facilitazioni riconosciute alle persone con disabilità per porle su un piano di uguaglianza – vedi l’obbligo per comuni e regioni di rimuovere ostacoli all’esercizio delle attività sportive e ricreative – ma la criticità è rintracciabile nella costruzione “di un senso comune di responsabilità e di sensibilità”.

 

Manca, più di tutto, un sostanziale “investimento culturale che tenda a unire piuttosto che a rimarcare le differenze e le diversità”, oltre a dati di riferimento sui cui intervenire, e il tema non è sufficientemente affrontato dalle politiche per l’infanzia e l’adolescenza. I pochi dati esistenti riferiscono dell’esistenza di soli duecentotrentaquattro parchi gioco inclusivi: trentatre in Puglia, ventisei in Lombardia, ventiquattro in Emilia Romagna, ventitre nel Lazio, ventisei in Toscana; centocinquadue ha solo le altalene per sedie a ruote, due possiedono piste sopraelevate per macchinine o biglie, solo dieci hanno pannelli sensoriali utilizzabili anche da chi è seduto e cinque hanno giostrine girevoli con posti per bambini in carrozzella.

 

Per cui, la possibilità di entrare in relazione con i bambini disabili, in contesti ludici o sportivi, diventa un’esperienza occasionale e non strutturata e il gioco, vissuto più in casa e a scuola, è ripetitivo e stereotipato oppure avviene in presenza di un adulto, come mediatore, in ambienti protetti e sicuri.

 

Si nota una differenza sostanziale fra le regioni settentrionali, dove il gioco e lo sport vengono interpretati nella loro effettiva importanza e necessità, e quelle meridionali, in cui sono considerati secondari e con poche probabilità di messa in pratica. In ogni caso, l’accesso allo sport, pur insufficiente, è maggiormente garantito rispetto al gioco e la possibilità di partecipare a entrambe le attività è più reale per le disabilità motorie che per quelle intellettive.

 

Verso queste mancano attenzioni pedagogiche e percorsi di formazione su gioco e sport; sono carenti gli spazi adeguati ai ragazzi di età superiore ai nove anni; manca una mappatura di rete di luoghi, esperienze e attività dedicati alla disabilità e le famiglie interessate non vengono coinvolte nella stesura dei Piani di zona. Per fortuna, a mettersi in gioco sono le buone pratiche e le iniziative lodevoli della società civile.

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