Dal 3 Marzo di quest’anno, i media russi, come Russia Today e Sputnik, sono stati bloccati in tutto il territorio dell’Unione Europea oltre che negli USA. E’ stato il primo atto delle sanzioni contro Mosca stabilite dalla UE come risposta all’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina. Una evidente connessione sentimentale con il governo di Kiev, che anche senza guerra aveva chiuso 11 partiti, due televisioni e una radio per “sospette simpatie russe” e proibito l’uso del russo come lingua ufficiale (in un paese dove una buona quota della popolazione è russofona).

I media russi, attraverso la sede di Russia Today in Francia, avevano deciso di ricorrere al Tribunale europeo contro la decisione che viola il principio europeo della libera circolazione delle idee e che applica una censura contraria a tutte le norme che regolano internazionalmente il libero accesso alle informazioni.

Da parte russa non c’era nessuna illusione circa l’esito del ricorso, ma dal punto di vista politico l’idea di provocare una reazione imbarazzata e imbarazzante che racconta l’ipocrisia europea è stata vista come occasione da cogliere.

E infatti così è stato. Il Tribunale della UE ha stabilito che questo “divieto temporaneo” “non mette in discussione la libertà di espressione in quanto tale” contrariamente a quanto sancito dai media russi. Nella sua decisione, il tribunale Ue ha sostenuto in particolare che tali misure, “purché temporanee e reversibili, non ledano in modo sproporzionato il contenuto essenziale della libertà di impresa di RT France”.

Il tribunale ritiene altresì che “le restrizioni di RT France alla libertà di espressione sono proporzionate, in quanto appropriate e necessarie agli obiettivi perseguiti”, vale a dire impedire la “propaganda” a sostegno della “aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione Russa” durante “le trasmissioni trasmesse in televisione e su Internet da un mezzo interamente finanziato dallo Stato russo”.

Questo dell’assetto proprietario è un elemento insistente nelle motivazioni, ma la proprietà governativa non può in nessun caso rappresentare un surplus di colpa per i media sanzionati e sarebbe il caso di ricordare che tutte le catene radio-televisive più importanti d’Europa sono di proprietà dei rispettivi governi. Dunque si accusa la Russia di fare ciò che fa l’Europa, ovvero mantenere i propri media pubblici.

Quanto alla propaganda, è evidente come il termine sia usato solo per gli avversari e faccia parte della guerra terminologica con la quale gli avvoltoi si presentano come passeri. Dalla codificazione di una terminologia corrispondente ai messaggi che apertamente o in forma subliminale si intende veicolare, comincia il bombardamento mediatico destinato a rivoltare il reale con la versione artefatta dello stesso.

La verità occidentale filtra del resto da ogni rigo. Insomma, i media europei fanno informazione, mentre in Russia fanno propaganda. Gli europei sono imprenditori e i russi oligarchi. Le monarchie europee sono democratiche mentre la democrazia russa è autarchia. I limiti di parola nella UE sono misura garantista, mentre in Russia sono censura. Le stesse misure per la UE sono sicurezza, per la Russia sono repressione. E, da aggiungere, il teatro dei russi è la guerra, quello degli ucraini è la resistenza, e i russi non si ritirano, vengono respinti.

Come si vede la sentenza è una dichiarazione di campo, nulla ha a che vedere con l’interpretazione e l’applicazione del Diritto. Anzi a leggerne il significato sembra volersi confermare l’assunto secondo cui la legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta. La decisione del Tribunale UE è infatti un atto politico, un modo per tentare di sostenere con le vesti del Diritto le scelte ideologiche di Bruxelles, che sono prodotto di una guerra ideologica, militare, commerciale e politica dell’atlantismo contro i paesi che non fanno parte della NATO.

Che il diritto alla censura sia rivendicato politicamente e giuridicamente da chi fuori dalla UE si erge a paladino della libertà di stampa negli altri paesi, fa parte dei paradossi dell’impianto ideologico atlantista. Il Parlamento europeo, amena conventicola di nullo spessore, emette condanne alla censura di tutti mentre esso stesso censura e questo spiega l’assenza di ogni decenza giuridica, sacrificata sull’altare dell’obbedienza dovuta alla NATO.

Si potrà obiettare che è comunque una sentenza di una autorità giurisdizionale, però non si può certo dire di essere di fronte ad una fonte autorevole del Diritto internazionale. Il Tribunale, infatti, insieme alla Corte di Giustizia è uno dei due organi che compongono il sistema giurisdizionale dell'Unione Europea, ossia la sua Corte di Giustizia. Ma la sua autorevolezza sul piano del Diritto esibisce dei limiti piuttosto evidenti, vista la subordinazione de facto alle decisioni politiche dell’Unione Europea.

Non per caso le sue sentenze sono sempre in linea con le decisioni politiche della Commissione Europea come delle altre istituzioni facenti capo alla UE. E non potrebbe essere altrimenti, a meno di non voler indicare le decisioni di Bruxelles e Strasburgo come contrarie al Diritto Internazionale. Non a caso, anche quando lo sono, come nel caso delle sanzioni che colpiscono 30 Paesi o delle misure restrittive unilaterali, illegittime ed illegali, che riguardano Cuba, Nicaragua e Venezuela, il Tribunale tace e acconsente.

Eppure sono sanzioni e restrizioni che violano norme del Diritto Internazionale e la Carta delle Nazioni Unite; contravvengono i regolamenti del WTO e gli accordi internazionali a tutela degli investimenti che la stessa UE ha sottoscritto e ispirato. Va da sé, quindi, che questa interpretazione utilitaristica e strumentale del Diritto non può essere confusa con il Diritto Internazionale in quanto tale, che vive di luce propria, indifferente ai calcoli politici ed è frutto di un orientamento giuridico non sottoponibile alla volontà politica di nessuna istituzione politica, nazionale o internazionale che sia.

 

La verità nascosta

In realtà, la decisione della NATO – di cui la UE è divenuta docile strumento – ha retroterra, funzione e scopi tutti politici. Il retroterra è ideologico è l’entrata in guerra contro la Russia. Invio di armi e munizioni all’Ucraina, addestramento delle sue truppe e finanziamento del suo governo, e guerra commerciale, politica e diplomatica alla Russia fanno della UE una istituzione in guerra contro Mosca. Che non lo sia apertamente, con la partecipazione diretta dei suoi eserciti al conflitto, è questione di valutazione del rischio, ovvero della paura di uscirne devastata. Ma la sua partecipazione diretta al conflitto è innegabile.

Con questo retroterra è stata stabilita la funzione censoria. Si sono adottate le sanzioni ai media russi, esattamente nella logica dei paesi in guerra che non consentono al nemico di poter essere presente sul loro territorio per dare la loro versione degli avvenimenti. Si definisce questa possibilità come contaminazione propagandistica, ma è esattamente il contrario: con una informazione univoca e militarizzata si vuole impedire che la popolazione possa avere una versione alternativa a quella che racconta il governo, impedendo così smentite alla propria propaganda di guerra.

Andrebbe anzi sottolineato come l’impero mediatico europeo abbia il timore manifesto di due media russi che, insieme, non sfiorano nemmeno il potenziale di fuoco del sistema informativo occidentale, il più esteso, ricco e diffuso del mondo. Perché non può permettersi di raccontare la verità bellica, altrimenti il costo per l’Europa del mantenimento della giunta di Kiev risulterebbe o sbagliato o inutile ed emergerebbe la spietatezza nazistoide dei suoi militari e non il racconto falsificato che li dipinge eroi.

E anche negli USA l’agitazione censoria corre. Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Bob Melendez, (tra i capi del verminaio cubano-americano della Florida) ha scritto una lettera dove chiede alla direzione di Meta, Twitter e Telegram di “aumentare lo sforzo per limitare la diffusione di contenuti di Sputnik Mondo e Russia Today sulle reti social”. Sembra che la popolazione di origine latina residente negli USA sia più orientata verso i due media russi editi in lingua spagnola piuttosto che la CNN, Univision o le catene spagnole e i senatori chiedono almeno una loro restrizione sui social media.

E’ questo il sunto politico del bavaglio: quando una decisione ideologica, sebbene segnata dall’effetto autolesionista, va comunque perseguita perché l’obbedienza all’alleato d’Oltreoceano supera gli interessi dell’Unione, la narrativa della stessa non può trovare punti di incertezza. Serve una informazione blindata, che cancelli il reale, che sostituisca l’informazione con la propaganda, che ottenga il consenso con ogni mezzo, senza la possibilità che circolino verità diverse, anche solo in canali dal peso ridotto e ininfluente sui grandi numeri. Perché basta poco, se ben fatto, per creare danni agli autori dei misfatti.

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