Durante la campagna per le presidenziali del 2020, l’allora candidato Joe Biden aveva promesso agli americani di fare dell’Arabia Saudita e del suo leader di fatto, il principe ereditario Mohammed bin Salman (MBS), dei veri e propri “paria” sulla scena internazionale. La minaccia, virtualmente senza precedenti contro un esponente di massimo livello della casa regnante a Riyadh, derivava dall’assassinio del giornalista-dissidente, Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita di Istanbul nell’ottobre 2018. A quattro anni di distanza, l’amministrazione Biden ha ora assicurato l’immunità formale a MBS, il quale non avrà quindi nulla da temere per la causa legale in corso nei suoi confronti in un tribunale degli Stati Uniti.

 

L’erede al trono saudita è oggetto di un procedimento intentato dalla fidanzata di Khashoggi, Hatice Cengiz, per ottenere un “consistente” rimborso in denaro e la prova, da parte del governo USA, della responsabilità dei vertici del regime per avere ordinato la brutale uccisione del giornalista. Il ruolo svolto nei fatti da MBS e da alcuni dei suoi più stretti collaboratori era stato quasi subito rivelato dal governo turco, in quel periodo ai ferri corti con l’Arabia Saudita. In seguito, anche l’intelligence americana aveva riscontrato e ammesso con un certo margine di sicurezza la responsabilità del giovane principe.

Appena diventato presidente, Biden aveva anche acconsentito alla pubblicazione di un rapporto della CIA, secondo il quale MBS era il mandante dell’assassinio di Khashoggi, eseguito sotto la direzione del capo della sua sicurezza personale. Gli avvertimenti di Biden in veste di candidato alla casa Bianca non erano evidentemente dettati da scrupoli di natura morale, ma erano da collegare in primo luogo al tentativo di sfruttare politicamente i legami strettissimi instaurati con i reali sauditi dall’allora presidente Trump. Una volta entrato alla Casa Bianca, inoltre, Biden intendeva fare pressioni su Riyadh fondamentalmente per comunicare un certo malumore nei confronti delle scelte di politica estera del regime, improntate sempre più all’autonomia strategica da Washington.

Questa tattica non ha tuttavia dato alcun frutto. Al contrario, l’Arabia Saudita ha da allora consolidato ancora di più i rapporti con Cina e Russia, esemplificati dalla collaborazione con quest’ultimo paese nella gestione dei flussi petroliferi globali attraverso il meccanismo “OPEC+”. Con l’aggravarsi della situazione dei mercati petroliferi in seguito alla guerra in Ucraina, il governo di Washington si è ritrovato a implorare un incremento delle estrazioni di greggio saudita, consigliando così un cambiamento dei toni nelle comunicazioni con Riyadh.

Settimana scorsa, quindi, il dipartimento di Stato americano ha dato indicazione al dipartimento di Giustizia di intervenire nella causa Khashoggi e notificare al tribunale dove è in corso il dibattimento che Mohammed bin Salman, in quanto capo di un governo straniero, deve godere dell’immunità giudiziaria in relazione a qualsiasi procedimento sul territorio degli Stati Uniti. Per gli esperti citati sulla questione dalla stampa USA, l’amministrazione Biden non aveva alcun obbligo di esprimere il proprio parere in merito alla posizione di MBS. Il governo poteva rimanere “neutrale” e lasciare la decisione alla corte. Il fatto che abbia invece deciso di intervenire in questo modo dimostra l’esistenza di una motivazione politica, se non un accordo a tutti gli effetti con la monarchia wahhabita.

Secondo alcuni osservatori, potrebbe esserci stata una mossa coordinata tra Washington e Riyadh. MBS era stato infatti nominato in via ufficiale primo ministro dal padre, il sovrano Salman, nel mese di settembre, ottenendo il requisito formale per ricevere l’immunità negli Stati Uniti, concessa appunto a capi di stato e di governo stranieri. La domanda è ora quale contropartita verrà eventualmente corrisposta all’amministrazione Biden, dal momento che fin qui non sembrano esserci cambiamenti di rotta in vista nella politica estera e petrolifera saudita.

L’indignazione delle organizzazioni a difesa dei diritti civili negli USA e in Occidente in genere per la decisione dell’amministrazione Biden è in ogni caso ridicola. Per quanto raccapricciante sia stato l’omicidio di Khashoggi, l’attitudine sanguinaria del regime saudita non è una scoperta dell’ottobre 2018, né da allora ha fatto registrare cambiamenti significativi. Solo lo scorso marzo, ad esempio, era andata in scena l’esecuzione di massa più numerosa della storia recente dell’Arabia Saudita. 81 condannati erano stati giustiziati in un solo giorno, circa la metà dei quali appartenenti alla minoranza sciita del paese.

Com’è noto, gli Stati Uniti utilizzano da sempre la retorica dei diritti umani e democratici in maniera ultra-selettiva, adattandola alle necessità strategiche del momento. Essi stessi sono peraltro i primi esportatori di violenza, distruzione e crimini di guerra, tanto da rendere una barzelletta cinica la favola dei “valori democratici” di cui gli USA sarebbero i paladini. Anche nelle dichiarazioni rilasciate da alcuni politici di entrambi gli schieramenti dopo la presa di posizione del dipartimento di Giustizia su bin Salman si nota questo atteggiamento “realista” a proposito dei rapporti con gli alleati impresentabili di Washington.

Il senatore democratico Mark Warner ha ricordato come l’Arabia Saudita svolga per gli Stati Uniti la funzione di “baluardo contro l’Iran” e si impongano perciò rapporti amichevoli al di là della natura brutale del regime. Ancora più esplicito è stato il collega repubblicano Tom Cotton in un intervento su Fox News. Il senatore dell’Arkansas ha spiegato che, se Washington dovesse scegliere solo alleati e partner che “condividono i nostri sistemi politici e la nostra sensibilità sociale e culturale, non avremmo nessun alleato né partner”. Il criterio, ha aggiunto Cotton, non è tanto la natura democratica o anti-democratica del paese in questione, quanto se esso è “filo-americano o anti-americano”.

Petrolio, vendita di armi, contrappeso strategico nei confronti dell’Iran e difesa degli interessi di Israele rappresentano gli elementi sui quali si basano le scelte di politica estera USA relativamente all’Arabia Saudita. Se in questi calcoli rientrano talvolta la difesa dei diritti umani o le questioni di giustizia come nel caso Khashoggi si tratta di pure coincidenze che non alterano la natura delle priorità americane.

Nel caso di Riyadh c’è un’urgenza particolare legata all’approfondirsi della distanza tra i due alleati negli ultimi anni. Il docente del King’s College di Londra, Andreas Krieg, in un’intervista alla Reuters ha spiegato, a proposito dell’immunità garantita a MBS, che “nel pieno della competizione tra grandi potenze con Russia e Cina, Washington riconosce che i sauditi dispongono di altre opzioni”, così che un ulteriore spostamento verso oriente delle priorità strategiche di Riyadh “deve essere evitato a ogni costo”.

C’è infine un altro fattore da tenere in considerazione ed è stato espresso in modo abbastanza esplicito dalla stessa nota del dipartimento di Stato sull’estensione al principe saudita della pratica dell’immunità giudiziaria. Nell’offrire questa garanzia ai loro partner e alleati, gli Stati Uniti “si aspettano che gli altri governi facciano lo stesso”. In altre parole, il governo americano opera in questo caso secondo il principio di reciprocità. Essendo i leader politici e militari americani i primi responsabili di guerre non provocate, della distruzione di interi paesi, di assassini mirati e di uccisioni di massa, ci deve essere una sorta di assicurazione che contribuisca a ridurre il rischio di potenziali cause legali intentate nei tribunali di paesi stranieri.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy