Le libertà digitali

a cura di Alessandro Iacuelli


di Mario Braconi

“Google ci sta rendendo stupidi?”: questo il crudo titolo di un articolo del The Atlantic a firma di Nicholas G. Carr, classe 1959, scrittore, conferenziere e giornalista americano assai scettico sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità “interconnessa” attraverso la Rete delle Reti. Fate fatica a leggere un articolo particolarmente lungo? Riscontrate una certa tendenza a saltare da una fonte all’altra su Internet, senza focalizzare? Pieni di buoni propositi, mettete un “bookmark” su articoli corposi, sui quali poi difficilmente tornate? Allora è possibile che il vostro cervello si stia adattando a recepire dati ed informazioni nello stesso modo in cui essi vengono resi disponibili in Rete, cioè in modo ampio e superficiale. Carr usa una questa metafora: se il processo della conoscenza ai tempi delle fonti su carta era assimilabile ad una immersione in mare, oggi assomiglia molto più ad una corsa su uno scooter acquatico. Del resto, anche il profeta della comunicazione di massa Marshall Mac Luhan, già nei non sospetti anni Sessanta, aveva capito che i mass media non si limitano a veicolare l’informazione, ma plasmano i processi cognitivi: non c’è dunque da stupirsi se anche la nostra mente si sta “internettizzando”. Maryanne Wolf, psicologa alla Tuft University, esprime un concetto simile, sostenendo che non siamo tanto “quello” che leggiamo, ma “come” leggiamo. A differenza della parola, la lettura non è infatti una funzione istintiva per noi esseri umani: la nostra mente deve lavorare ai simboli per trasformarli in linguaggio comprensibile. Confrontandosi con modi diversi di rendere disponibili le informazioni, il nostro cervello è un organo estremamente flessibile e tende ad organizzarsi di conseguenza: studi recenti mostrano ad esempio che il modo in cui sono “cablati” neuroni del cervello di un cinese, abituato a ricavare significato dagli ideogrammi, è molto diverso, ad esempio, di quello in cui sono organizzati quelli rinchiusi nella scatola cranica di un occidentale, che spreme senso dalle parole.

Racconta Carr che quando il filosofo Friederich Nietsche, a causa dei gravi disturbi alla vista, decise di dotarsi di una macchina da scrivere, il suo stile cambiò drasticamente: come nota l’esperto di media tedesco Friederich Kittler, da quel momento la sua prosa passò “dall’argomentazione all’aforisma, dal pensiero al gioco di parole, dalla retorica allo stile telegrafico”. Secondo storici e sociologi, perfino l’invenzione dell’orologio meccanico ha finito per “dissociare il tempo dagli eventi umani e ha contribuito a generare il mito dell’esistenza di un mondo autonomo di sequenze misurabili tramite la matematica”; il tempo del sonno, quelli della veglia, del lavoro, del pasto, un tempo regolati dai fenomeni naturali, dal 1300 in poi sono stati scanditi da una macchina.

Dunque un cervello esposto in modo continuativo alla potenza magica e un po’ perversa della Rete comincerà a riorganizzare il proprio funzionamento in modo coerente al modello organizzativo prevalente su Internet, quello di Google, che ne rappresenta l’archetipo. Secondo il suo Amministratore Delegato, Eric Schmidt, Google Inc. è un’impresa fondata sul “concetto della scienza della misurazione” che si sta sforzando di “sistematizzare ogni cosa”. La società di Mountain View (California) declina così i suoi obiettivi strategici: “Organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e fruibili” e sviluppare un “motore di ricerca perfetto, definito dal cofondatore Larry Page come qualcosa che ‘capisce esattamente le richieste dell'utente e restituisce esattamente ciò che egli vuole’”.

In altre parole, per la Google Inc. “l’informazione è una specie di commodity, una risorsa utilitaristica che può essere sezionata ed analizzata con efficienza industriale”. Il pensiero sottostante è che l’intelligenza sia “il risultato di un processo meccanico, costituito da una serie di passaggi discreti che possono essere isolati, misurati, ottimizzati”. Secondo Carr, infatti, Google rappresenta il trionfo moderno dei principi di Friederick Winslow Taylor, che passò alla storia per aver tolto la pace agli operai della Midvale Steel di Philadelphia, presentandosi in fabbrica con un cronometro in mano e una massima inquietante nel cervello (“in passato veniva prima l’uomo, nel futuro il sistema verrà prima di ogni cosa”).

Anche se le considerazioni di Carr sono forse troppo pessimistiche - benché non manchino pensatori che hanno guardato con sospetto alla scrittura tout-court o alla stampa introdotta da Gutemberg, sono in effetti i libri che spesso ci salvano la via - esse meritano attenzione e rispetto, perché ci suggeriscono di non abbassare mai la guardia.

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