di Carlo Benedetti

MOSCA. I russi? Bugiardi, criminali e aggressori. Cannoni, tank e cacciabombardieri in azione nel Caucaso georgiano? Sono tutti dei russi. Chi ha messo in atto il colpo di mano in Georgia? Putin e Medvedev. Le forze russe di pace inviate in Ossezia? Sono degli orsi che si stanno svegliando dal letargo. Le vittime ossete sarebbero circa 2000? E’ un dato assolutamente falso che dimostra, tra l’altro, la mancanza di obiettività dei russi. La distruzione totale della città di Tskhinvali, capitale sudosseta ed epicentro degli scontri? Una invenzione della propaganda russa per creare confusione. Le notizie che giungono dal fronte parlano di una capitale dove le infrastrutture urbane sono state annientate mentre l’ospedale è stato raso al suolo dalle bombe georgiane? Tutte falsità. Ma ci sono le testimonianze dirette presentate dalle televisioni? Nulla di tutto questo: i reporter di guerra russi sono tutti embedded. Eppure la Croce Rossa internazionale parla già di 40.000 profughi che corrono a ripararsi nelle zone controllate dai russi? Non è vero, è una montatura mediatica.

di Valentina Laviola

Sono chiamati “detenuti fantasma” nel gergo corrente delle Ong che li cercano e della stampa: sono persone che semplicemente, un giorno, spariscono e le famiglie non ne hanno più notizia. Non vengono arrestati ufficialmente, ma con ogni probabilità sono catturati e detenuti segretamente da qualche parte. Una procedura del genere verrebbe comunemente definita sequestro di persona, se le persone coinvolte fossero cittadini qualunque e se le autorità in questione dovessero rispondere delle loro azioni come in ogni Stato di diritto. Sfumature che si assottigliano quando i detenuti sono ricercati per terrorismo internazionale e se le autorità rispondono al nome di CIA, FBI o esercito degli Stati Uniti, ovvero gli auto-elettisi difensori della democrazia nel mondo. Le organizzazioni che si occupano di difendere i diritti umani - a chiunque essi appartengano - hanno più volte denunciato episodi di quella che definiscono “detenzione extragiudiziaria”, ovvero detenere qualcuno senza che siano formulate accuse ufficiali a suo carico. Questa pratica (si legge nella definizione di una nota enciclopedia on-line) è largamente usata in tempo di guerra, ma rappresenta anche una delle caratteristiche dei regimi totalitari.

di Carlo Benedetti

MOSCA. L’Ossezia del Sud vive la guerra. Ha chiesto l’indipendenza e sta ricevendo dure risposte fatte di pallottole, razzi, bombardamenti, distruzioni, lutti. Tutto accompagnato da una tragica pulizia etnica che rafforza, nello stesso tempo, quella tesi secondo la quale la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi. Un seguito, quindi, del procedimento amministrativo attuato dagli stati e dai governi. Ed è proprio per questo che il conflitto attuale - che sconvolge la geopolitica del Caucaso - deve essere “letto” in chiave prettamente politica, perchè in gioco c’è non solo e non tanto la piccola e tormentata Ossezia, quanto l’intera società civile del mondo. Perchè il teatro delle attuali operazioni militari (che le tv presentano negli aspetti più sanguinosi) non riguarda solo i governi di Tskhivali (Ossezia del Sud) e di Tbilissi (Georgia), ma chiama direttamente in causa potenze mondiali come la Russia e gli Stati Uniti.

di Eugenio Roscini Vitali

Ehud Olmert esce di scena e lo fa nel peggiore dei modi, con uno scandalo per corruzione e con il 77% di israeliani che si dicono scontenti del suo operato. Lascia la carica di premier e la guida di Kadima, il partito nato nel 2005 dallo sforzo personale di uno degli ultimi simboli di una generazione di soldati e combattenti, Ariel Sharon. Macellaio dei palestinesi in ogni epoca della sua personale storia militare e politica, nella politica interna israeliana Sharon è stato l’uomo politico che più di ogni altro ha saputo riempire il vuoto ideologico che si era creato dopo il fallimentare vertice di Camp David, trasformando il centro nel luogo d’incontro tra chi ha sempre creduto che l’unica strada per la pace è la rinuncia ai territori occupati e chi, invece, coltiva ancora il sogno sionista di una grande nazione ebraica. Mentre per la nomina del nuovo primo ministro Israele si prepara ad affrontare un lungo e difficile processo politico che entro i primi mesi del 2009 dovrebbe portare il Paese alle urne, la corsa per la guida di Kadima è già aperta.

di Carlo Benedetti


MOSCA. La pace del Caucaso - dicono cinicamente a Mosca - è quella della guerra. E il riferimento d’obbligo è alla Cecenia che ha visto e vede ancora gli stessi scenari che arrivano oggi dalle due Ossezie divise tra Georgia e Russia. Con i bollettini dal nuovo fronte caucasico che sono impressionanti: cresce la tensione in tutto il teatro ossetino, i georgiani sparano a tappeto e con i loro aerei colpiscono ogni villaggio, Tbilissi attacca i separatisti e attua forme di genocidio e di pulizia etnica, le vittime sarebbero già 1400 mentre il leader georgiano Saakasvili si difende dicendo che il suo paese reagisce alle “provocazioni” del Nord. Da Mosca Medvedev, Putin e il ministro degli Esteri Lavrov giustificano l’invio di caccia e reparti blindati sostenendo che la Russia deve difendere i suoi peacekeeper e i connazionali. Parte intanto una missione congiunta Usa-Ue ma è allarme sul fronte energetico perchè a rischio c’è un milione di barili di greggio. E le fiamme del Caucaso avanzano di minuto in minuto. La televisione russa trasmette senza soste intervistando tutti gli esponenti politici e tutti i dirigenti del Cremlino.


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