di Eugenio Roscini Vitali

Secondo una denuncia pubblicata nei giorni scorsi da Amnesty International, il sistema giudiziario ugandese ignora, nega o cerca di mettere a tacere, le violenze che vengono perpetrate contro donne e ragazze che vivono nel nord del Paese, proteggendo addirittura le persone sospettate di questo disumano e vergognoso crimine. Le accuse mosse dall’organizzazione umanitaria includono stupri, aggressioni fisiche e abusi sessuali sui minori e sono documentate con la testimonianza delle stesse vittime che raccontano i casi di violenza di cui sono state vittime. Per documentare il rapporto, lo scorso agosto Amnesty International ha visitato cinque distretti del nord: Gulu, Amuru, Kitgum, Pader e Lira. Qui, i ricercatori hanno riscontrato la quasi totale assenza delle strutture dello Stato, lo scarso numero di distretti di polizia, il basso livello di preparazione delle forze di sicurezza e l’insensibilità riservata ad argomenti quali i diritti umani e le traumatiche vicende di violenze sessuali.

di Luca Mazzucato

Il summit di Annapolis non sembra aver avuto il minimo effetto sulla politica israeliana, né sull'opinione pubblica della maggioranza ebraica della popolazione. Il commento più diffuso è di bonaria condiscendenza verso Bush: l'alleato americano ha chiesto a Olmert di prestarsi ad un piccolo spettacolo mediatico e sarebbe stato scortese rifiutare. Una volta chiuso il sipario, si torna alla normalità dell'Occupazione. Questo il sentimento prevalente, insieme ad un incremento di popolarità per Olmert, che sembra tornato ad un gradimento in doppia cifra per la prima volta dalla guerra in Libano. Finita Annapolis, Olmert si è affrettato a congelare le aspettative dei pacifisti, mentre l'unica novità viene dal Labor Party, che propone una compensazione per i coloni che abbandonino volontariamente la West Bank. L'antefatto accade venerdì scorso, dopo la conclusione della conferenza-lampo, quando gli Stati Uniti presentano una risoluzione al Consiglio di Sicurezza, per ufficializzare l'accordo raggiunto tra Olmert e Abbas, che prevede un calendario di incontri tra i due leader. Ma il governo israeliano, venuto a conoscenza della risoluzione, obbliga Bush a ritirarla immediatamente: nonostante fosse del tutto innocua nel merito, Israele vuole evitare in ogni modo che l'ONU intervenga in questioni che considera “interne”: è noto il pregiudizio pro-palestinese del Consiglio di Sicurezza...

di Agnese Licata

L’Africa cresce, dicono. Del 5,4 per cento, pare. Una percentuale che si riferisce al 2005 ma che dovrebbe venire confermata anche per l’anno che si va a chiudere. Addirittura, un tasso medio superiore a quello registrato da tante nazioni occidentali. Giusto per rimanere in casa, basta dire che l’Italia sarebbe ben contenta di chiudere il 2007 con un più 2,2 per cento. Un successo, insomma, quello africano. Il segnale di un’inversione di tendenza da sempre attesa. Se poi a dire che “molte economie africane sembravano aver voltato pagina e aver intrapreso il cammino di una crescita economica più veloce e costante” è niente meno che la Banca mondiale (Bm), come si fa a non esultare, a non cadere nell’illusione che il Continente nero si stia lentamente affrancando da quella povertà che lo affligge? Ma, a guardar bene, il rapporto che la Bm ha reso noto negli scorsi giorni - Africa Development Indicators 2007 (Adi 2007) - è poco più di uno spot pubblicitario.

di Carlo Benedetti

Vince e stravince sul piano interno. Batte tutti quei record che avevano caratterizzato le consultazioni elettorali del periodo sovietico. Si incorona capo assoluto del Paese pur senza essersi messo in lizza. Ottiene un plebiscito che è pari ad un’assicurazione a vita. Diviene, di conseguenza, un monarca che, per dirla con il nostro Benigni, ha come modello quello vaticano. Un papato che è un dogma. Chi accetta, accetta, gli altri fuori del giro. Non contano e basta. Sono queste, in sintesi, le tante idee che affiorano sul voto di una Russia sempre più dominata da Putin. Intanto l’orgoglio del Paese tocca quote mai registrate. I media battono sul tasto del successo mai visto e su quello dell’unità nazionale mai raggiunta come questa volta. Putin batte tutti. Dimentica di essere, istituzionalmente, un garante costituzionale al di sopra delle parti. Mette così in un angolo il Krusciov del disgelo, il Gorbaciov delle aperture e lo Eltsin delle privatizzazioni. Diviene - grazie alla sua macchina decisionale - l’idolo e l’ideologo di una nuova Russia. Nazionalista ed antiamericano quanto basta. Castigatore di oligarchi e, allo stesso tempo, oligarca anche lui.

di Elena Ferrara


Gli eurodeputati romeni saranno 35 e andranno a sostituire quegli osservatori inviati dal Paese a settembre 2005 e divenuti eurodeputati in seguito all'adesione all'Ue. Ma la grande parata elettorale (alla quale dovevano partecipare 18 milioni di romeni) si è caratterizzata più per le grandi assenze che per i risultati. Tanto che si può dire che sono gli astensionisti i veri vincitori. Ed è un brutto segno per l’atmosfera generale del paese che vede il Pil crescere a dismisura (+ 6%) senza però frenare l’aumento della spesa e gli sperperi. Tanto che si può dire che si naviga in acque inesplorate. E così gli osservatori politici di Bucarest più che al risultato uscito dalle urne guardano ad un Paese che corre verso il baratro: sconvolto dalle tensioni con l'Italia (dopo l'uccisione di Giovanna Reggiani che vede accusato un romeno di etnia rom) e segnato anche da quei problemi irrisolti nell'agricoltura sui quali si concentra l’attenzione di Bruxelles che minaccia tra l’altro di tagliare i fondi.


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