di Luca Mazzucato

Quando si parla di resistenza palestinese nei Territori Occupati, le immagini che vengono subito in mente sono i racconti di guerra guerreggiata e l’Intifada. L'assedio israeliano alla Mouqata (la sede dell'ANP) a Ramallah; la battaglia di Jenin; ragazzi che si difendono dai carriarmati israeliani lanciando pietre con la fionda. Ma c'è un’altra faccia della resistenza palestinese e si tratta della lotta nonviolenta degli abitanti del villaggio di Bi'lin, in West Bank. Da due anni, ogni venerdì manifestano pacificamente contro il Muro che gli sta portando via, giorno dopo giorno, la terra, i campi e il lavoro. Ma è anche la lotta pacifica delle centinaia di israeliani che ogni settimana si uniscono a loro, mentre altri israeliani, i soldati della Border Police, sparano piogge di lacrimogeni e micidiali proiettili di gomma sugli uni e sugli altri, senza distinzione. Venerdì scorso, i dimostranti sono finalmente riusciti a raggiungere il Muro e superare lo sbarramento dell'esercito. La forza militare israeliana non ammette confronti diretti, ma la lotta nonviolenta guadagna spesso risultati inediti e può insegnare qualcosa di nuovo.

di Maurizio Coletti

Potenza di quel transalpino di Sarkozy!! In quattro e quattr’otto ha conquistato l’Eliseo e rischia, novello Bonaparte, di invadere anche l’Italia. L’invasione si concentra, per ora, su alcuni territori che sono quelli che Sarko ha utilizzato per la sua cavalcata. Almeno, quelli relativi ai temi della sicurezza e dell’ordine. Così sembra dalle uscite di Chiamparino e Turco sul tema delle droghe: si torna convintamente alla penalizzazione creativa dei consumi tout court. I due dichiarano che è ora di considerare droghe e consumatori tutti colpevoli, tutti collusi con lo spaccio ed il narcotraffico, tutti da punire. Poi, prevale l’italica e codina generosità riparatrice e si propone che i consumatori si occupino di viole mammole e di margherite, affinché capiscano di avere fatto male a sé ed alla società intera. Se sono vere le stime che da parte autorevole si avanzano sul numero totale dei consumatori (quelli che usano e quelli che abusano), questi soggetti arriverebbero a un milione e ottocentomila. Ci saranno abbastanza giardinetti, aiuole, campi?

di Carlo Benedetti

Parata militare a Mosca per un 9 maggio in onore di quello del 1945 che segnò la vittoria sovietica sul nazismo. Festa grande, quindi, con le bandiere dell’Armata Rossa e i veterani carichi di medaglie. Ma quest’anno il Cremlino ha voluto dare alla manifestazione anche un altro significato concedendo spazio agli schieramenti del “grande nazionalismo russo”. Tutto è stato presentato come un gesto di affermazione della verità storica e di riconciliazione nazionale. E così sono comparsi nelle strade della capitale centinaia e centinaia di “volontari” che hanno distribuito alla popolazione dei “nastrini nero-arancio” che ornavano, prima della Rivoluzione d’Ottobre, l’ “Ordine di San Giorgio”. Il senso di questa azione, appunto, è quello di collegare la data del 1945 a tutte le lotte precedenti dei russi, in difesa della patria. Nero-arancio, quindi, con questo “Nastrino di San Giorgio” e cioè quell’ordine (Gheorghievski) che decorava i russi che si erano battuti sui fronti delle battaglie in difesa della Russia. Nulla da eccepire, quindi. Perché Putin vuole operare una riconciliazione nazionale saldando – con una costruzione mitologica del passato - la Vittoria del ’45 alle battaglie della Russia prerivoluzionaria.

di Laura Bruzzaniti

Si decide questo mese il destino dell’ex Presidente peruviano Alberto Fujimori. Entro maggio, infatti, il Cile deciderà se concedere o meno la sua estradizione in Perù. Se i giudici cileni decideranno per l’estradizione, Fujimori, che si trova in Cile dal novembre del 2005, tornerà in patria per essere giudicato dei reati commessi nel corso dei dieci anni in cui è stato alla guida del Paese, tra il 1990 e il 2000. “El Chino” (il cinese) - è così che lo chiamano in Perù - è accusato di diversi episodi di corruzione, peculato, falso ideologico, associazione a delinquere. Ma soprattutto è accusato di crimini contro l’umanità per i massacri di civili innocenti compiuti da gruppi militari vicini ai servizi segreti (il “Gruppo Colina”) all’inizio degli anni ‘90, gli anni nei quali il governo Fujimori sosteneva la necessità della “mano ferma” per la lotta ai terroristi di “Sendero Luminoso”.

di Bianca Cerri

Fino a qualche tempo fa, George Bush era solito concludere i suoi interventi pubblici con l’immancabile “il peggio non accadrà”, al quale gli americani si erano ormai abituati. Fino a quando, dall’oggi al domani, il “non accadrà” venne drasticamente escluso dalla dialettica presidenziale. Il 16 aprile scorso, data del massacro al Virginia Tech, ha segnato il grande ritorno del “non accadrà”, solo che la cosa non ha nulla a che fare con Bush, ma riguarda piuttosto i Democratici. Già, perché che senso ha un partito che, pur avendo la maggioranza sia alla Camera che al Senato, ingaggia una fiumana di “esperti” pronti ad intorbidire le acque pur di non inimicarsi la lobby delle armi? Come si può privilegiare il calcolo politico davanti ad una tragedia come quella del Virginia Tech e permettere che tutto venga addebitato alla “pazzia” di un unico individuo, al quale per altro nulla aveva impedito di entrare in un’armeria ed uscirne pochi minuti dopo con una pistola sotto il braccio?


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