Il ritorno radicale al protezionismo non solo è possibile, ma necessario per un impero innegabilmente in declino. È una tesi denunciata da analisti “critici”, ma avallata da intellettuali di primo piano dell’establishment statunitense, come Zbigniew Brzeziński in un testo del 2012 e, successivamente, da diversi documenti della Rand Corporation. Il declino, o dissoluzione se si preferisce, è arrivato di pari passo con fattori interni critici: la crescita lenta dell’economia, la perdita di competitività nei mercati globali e il gigantesco indebitamento del governo federale. Se nel 1980 il rapporto debito/PIL del governo federale USA era del 34,54%, oggi ha raggiunto un livello astronomico del 122,55%. A ciò si aggiunge l’insostenibile bilancio del deficit commerciale, che continua a crescere e nel 2024 ha toccato i 131,4 miliardi di dollari, pari a circa il 3,5% del PIL. Il motivo è semplice: gli Stati Uniti consumano più di quanto producono.

Israele ha annunciato l'istituzione di un ufficio per l’“emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza. Non è la prima volta che il governo israeliano tenta una mossa del genere, e anche stavolta è destinata a fallire.

Domenica scorsa, il gabinetto di guerra israeliano ha approvato la creazione di un’agenzia speciale per organizzare l’“emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza. La mossa rientra nel piano originariamente annunciato dal presidente americano Donald Trump per espellere i palestinesi dalla Striscia, sebbene gli Stati Uniti abbiano poi fatto marcia indietro.

La detenzione di Mahmoud Khalil, un attivista palestinese di spicco coinvolto nell’organizzazione di attività alla Columbia University di New York, è il risultato di oltre un anno di propaganda e pressioni da parte di think tank filo-israeliani, impegnati a collegare gli studenti a Hamas e a erodere le protezioni della libertà di espressione negli Stati Uniti.

Il favorito alle presidenziali è stato escluso dalle elezioni con un pretesto ridicolo. È questo il destino futuro dell’UE?

Un modo per riconoscere un Ancien Régime marcio e ormai alla fine è osservare quanto rozzi e trasparenti diventino i suoi metodi di repressione. Da questo punto di vista, la Romania, e con essa l’UE, devono essere sull’orlo di una rivoluzione. Perché è davvero difficile immaginare un insieme di sporchi trucchi più grossolani di quelli messi in atto per soffocare il probabile vincitore delle prossime elezioni presidenziali, Călin Georgescu.

Prima di accusare Giuseppe Conte di tradimento dei valori occidentali, e di sottomissione a Trump e alle estreme destre, converrebbe analizzare l’andamento della guerra in Ucraina negli ultimi tre anni e chiedersi come mai l’illusione di una vittoria di Kiev sia durata così a lungo e apparentemente duri ancora.

Come mai non ci sia alcun ripensamento, nella Commissione UE e nel Parlamento europeo, sulla strategia di Zelensky e sull’efficacia del sostegno militare a Kiev. La prossima consegna di armi, scrive il Financial Times, dovrebbe ammontare a 20 miliardi di dollari.


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