di Domenico Melidoro

Zapatero - Lafontaine Tra gli hobbyes più praticati dagli osservatori e dai leaders politici del nostro Paese, soprattutto tra quelli di Sinistra, c'è la continua ricerca di modelli all'estero ai quali richiamarsi per avvalorare le proprie tesi e strategie; oppure l'individuazione di modelli negativi le cui sconfitte elettorali o le cui fallimentari politiche pubbliche possano servire a indicare gli errori da evitare. Tra i leaders europei che negli ultimi mesi si sono imposti all'attenzione del dibattito politico del nostro Paese vi sono, per ragioni diverse, lo spagnolo José Luis Rodrìgue Zapatero e il tedesco Oskar Lafontaine.
Il desiderio di sentir dire e di veder fare "qualcosa di sinistra" ha portato negli anni passati a guardare con particolare interesse ai tentativi compiuti da Tony Blair, peraltro premiato da diversi successi elettorali, di svecchiare la tradizione socialdemocratica nel Regno Unito. Per un po' di tempo è parso che il New Labour e il Partito Democratico di Bill Clinton potessero essere partners prestigiosi nella realizzazione dell'Ulivo mondiale. Il passare del tempo, ma soprattutto l'adesione blairiana al modello sociale neo-liberista e la bellicosa politica estera che il Regno Unito porta avanti al fianco degli Stati Uniti di Bush, hanno provocato malumori e giudizi di segno opposto tra molti di coloro che credevano che Blair fosse davvero capace di innovare la tradizione socialdemocratica andando oltre le consolidate (e al tempo stesso inadeguate a governare la complessità contemporanea) categorie della politica del Ventesimo Secolo.

di Marco Dugini

Mancano ormai poche settimane al giorno delle elezioni politiche e il panorama sembra immobilizzato; è stata messa in cantina, tra le battute e le contro-battute, la proposta di un duello televisivo tra Berlusconi e Prodi, e congelata anche la discussione sui programmi: sembra quasi di trovarsi di fronte ad una guerra di posizione.
Prodi ha cercato l'appoggio simbolico di Kohl (la "vecchia" Europa), mentre il candidato premier della Cdl è volato da Bush (la linea "filo-atlantista") in cerca di uno spot elettorale teocon.
Lo ha già sostanzialmente ottenuto nei giorni scorsi, anche se giova ricordare che Bush sta subendo in patria un tracollo di consensi ormai scesi al 34%, e gli è stato rinnovato quando ha potuto fare il bis, in diretta speciale su Canale 5, in uno speciale di ben venti minuti sul suo discorso al Congresso degli Stati Uniti.
L'opposizione, anche attraverso i suoi consiglieri in sede di Vigilanza, ha parlato di mancanza di equilibrio e violazione della par condicio, mentre il direttore del Tg5, Carlo Rossella, si è rifugiato tra i discutibili confini della messa in onda di un discorso non politico, ma istituzionale.
Siamo sempre alle solite: uno spazio a Prodi, uno a Berlusconi in quanto premier, uno a Berlusconi in quanto rappresentante della Casa delle libertà, uno a Berlusconi presidente di Forza Italia…

di Bianca Cerri

Il 28 febbraio, Silvio Berlusconi sarà al Congresso americano dove pronuncerà un discorso, poi farà tappa a New York per ritirare una medaglia conferitagli dall'Intrepid Association per il suo impegno a difesa dei valori della libertà e della pace. L'ultimo impegno ufficiale prima del viaggio, la serata di chiusura dei giochi di Torino 2006, svoltasi tra cerimonie e coreografie varie, ha registrato un'imbarazzante contestazione a base di fischi sonori nei suoi confronti, che non avrà però alcun effetto sul viaggio negli Stati Uniti. Berlusconi ha studiato accuratamente questa mossa nella speranza di assicurarsi un pò della tanto agognata allure politica che non è riuscito a procurarsi con gli spot televisivi, ma neppure con cinque anni alla guida del governo.
Non si conoscono ancora gli argomenti del suo discorso ma se escludiamo, per ovvi motivi, i soliti anatemi contro il comunismo e le storielle, l'unica opzione che resta è l'orgoglio italiano di poter essere accanto all'alleato americano nell'estendere le frontiere di pace e libertà. A scanso di ogni equivoco, Berlusconi ha già preso le distanze da Putin e, in un'intervista a Newsweek, ha dichiarato che l'apertura del presidente russo ad Hamas non sarebbe che un tentativo per uscire dall'impasse in Medio Oriente.

di Domenico Melidoro

La questione degli "impresentabili" ha fatto rumorosamente irruzione in un'accalorata campagna elettorale in cui sembra fare più scandalo la presenza di Vladimir Luxuria nelle liste di Rifondazione Comunista che quella nell'UDC di Totò Cuffaro, la cui vicinanza ad ambienti mafiosi è da tempo al centro delle cronache nazionali. Dai salotti televisivi e dalle pagine dei giornali che, in questi giorni di austera par condicio, raccontano con solerte puntualità la successione di manifestazioni pubbliche, dichiarazioni e interviste dei leaders politici, echeggiano reciproche accuse di avere nel proprio schieramento persone che per il loro discutibile passato o per le recenti prese di posizione sarebbero pericolose e non meritevoli di essere candidate alle elezioni. In questa nuova forma di delazione si è particolarmente distinto Gianfranco Fini. Il Ministro degli Esteri, nonché Vice-Presidente del Consiglio e leader del più grande dei partiti eredi del MSI, sempre più convinto di aver brillantemente superato tutti gli esami di accettabilità democratica, è stato prodigo nell'elargire giudizi e consigli ai propri avversari politici. Fini ha più volte criticato l'Unione per al presenza di sovversivi nelle proprie liste.

di Marco Dugini

Finalmente è stato svelato il mistero che si celava dietro al "sondaggio americano" di Berlusconi.
Quella del premier è stata un'operazione prettamente mediatica, realizzata per conto di Forza Italia dalla "Psb", che non sta per "partido socialista brasileiro", ma è invece l'acronimo di "Penn, Schoen & Berland Associates", società sondaggistica a stelle e strisce dalla dubbia fama.
Sul palco di Modena il presidente del consiglio aveva già anticipato i risultati, i quali naturalmente testimoniavano la sua progressiva ed ineluttabile rimonta, e anzi, dati alla mano, si potrebbe persino parlare di un leggero vantaggio della Casa della libertà, le cifre essendo: 48,4% per il centro-destra, contro il 48,2% dell'Unione.
Cosa che non ha fatto Berlusconi, il quale nelle numerose dichiarazioni si è limitato a sigillare la situazione parlando di un sostanziale pareggio, senza spingere oltre l'offensiva sfrontata verso l'intelligenza degli italiani.
Le cifre, anche in merito alle semplici preferenze partitiche, sono molto vistose e interessanti; a volere essere maliziosi coincidono con quelle che Berlusconi, in questo dato momento, avrebbe desiderato.


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