di Giovanni Gnazzi

Il secondo e ultimo confronto è cominciato come il primo: grande attesa mediatica, speranze e paure che s'intrecciavano tra i supporters. Lo scenario é identico: davanti al teleschermo a destra siede Berlusconi, a sinistra Prodi. Le colonne d'Ercole separano i due contendenti, in una scenografia appositamente pensata. In mezzo Bruno Vespa, ciambellano di Porta a Porta al posto di Mimum.
Lo spettacolo comincia proprio da qui, con Vespa che non può sfregarsi le mani ed indicare con il braccino ridotto chi avrà l'uso della parola e per quanto tempo. Perché stavolta Vespa non pone e non dispone: le domande le fanno Napoletano e Sorgi, direttori del quotidiano romano Il Messaggero e del quotidiano torinese La Stampa. Le risposte le danno i due, ma il tempo è scandito da una clessidra da par condicio, Golem assoluto della parità apparente tra chi usa le sue reti come una clava e chi non si decide ad usare la clava contro quelle reti. Vespa ha solo la possibilità d'intervenire in caso di sforamento, per la verità previsto solo per Berlusconi, data la sua nota logorrea. Al giornalista più pigmentato d'Italia, la Rai ha esplicitamente chiesto d'essere inflessibile: chi sfora si trova l'audio sfumato.

di Marco Dugini

Manca poco, pochissimo, alla data fatidica del 9 Aprile e le ultime settimane consumate in battibecchi tra i due schieramenti avversi confermano la sensazione di trovarsi di fronte ad una delle più brutte campagne elettorali di tutti i tempi, con una leadership politica decisamente modesta, anche quella di sinistra, "caimanizzata" com'è, per dirla con Nanni Moretti, dallo scontro frontale con un berlusconismo, in quanto fenomeno culturale sempre più scomposto e pericoloso.
Il reame attualmente al potere, percependo gli scricchiolii sempre più evidenti, sembra pronto agli ultimi colpi di coda, e non è neppure escluso che l'elettorato si rechi alle urne con allarmi terroristici in corso.
Con Tremonti, addirittura, l'avversario diventa agente della Cina, e dal rosso si passa quindi a sottolineare il giallo delle copertine dei programmi e del tir elettorale di Prodi.
Eppure queste politiche, per altri versi, risultano decisamente interessanti, a patto di non volersi fermare ad un riduzionismo semplicistico.
Più di qualsiasi altro tema - dalla politica estera alle Unioni civili, passando per la risoluzione del conflitto d'interessi - quello delle politiche fiscali, sarà davvero la cartina da tornasole di due modi d'intendere il futuro dell'Italia.

di Domenico Melidoro

La campagna elettorale è sempre più avvelenata da toni drammatici, reciproche accuse e allarmismi spesso ingiustificati che ne inquinano il regolare svolgimento. Sarà che, come ha scritto Curzio Maltese su la Repubblica del 23 marzo, "con l'avvicinarsi di una sconfitta annunciata, almeno dai sondaggi, il berlusconismo tira fuori il peggio, estrae dal vaso di Pandora il lato più oscuro e pericoloso, eversivo e distruttivo", ma stiamo assistendo realmente a una preoccupante serie di tentativi di turbare il regolare svolgimento della prossima competizione elettorale da parte di un Presidente del Consiglio che già nel passato non aveva mai brillato per senso di responsabilità e rispetto degli avversari politici. Nelle ultime settimane, probabilmente turbato dal calo della popolarità, dalla diffusione dei dati sul fallimento delle politiche economiche del suo Esecutivo e dall'avvicinarsi del responso delle urne, Silvio Berlusconi ha ritenuto opportuno alzare il tono della discussione politica. Non è del tutto da escludere che i toni allarmistici siano il frutto di una spregiudicata strategia di comunicazione politico-elettorale motivata dalla necessità di recuperare quei tre-quattro punti percentuali di svantaggio (come ci si rende conto se si consultano quasi tutti i sondaggi) nei confronti di Romano Prodi, ma le accuse che in questi giorni il Premier sta scagliando contro l'Unione e i suoi leaders disegnano un quadro dell'attuale situazione che, se corrispondesse a realtà, dovrebbero destare seria preoccupazione in chiunque abbia a cuore la salvezza delle istituzioni democratiche del nostro Paese.

di Sara Nicoli

Brogli. Sono la magnifica ossessione del Cavaliere. Non c'è stata elezione, dal '94 ad oggi, in cui lui non li abbia temuti, denunciati, evocati. Ma non è mai riuscito a dimostrare di aver perso perché "loro", i presidenti e gli scrutatori della sinistra, "sono un esercito di professionisti, a danno dei nostri dilettanti, che regolarmente vengono fatti fessi".
Stavolta Berlusconi si è messo avanti con il lavoro. In nome della democrazia. La sua.
Il 3 gennaio scorso è stato varato un decreto passato per lo più inosservato o sotto le mentite spoglie di grande innovazione tecnologica al passo con i tempi: la sperimentazione del voto elettronico. Artefici della grande svolta due ministri, Lucio Stanca e Beppe Pisanu. Dopo due sperimentazioni precedenti nelle Europee 2004 e nelle Regionali del 2005, si ampliava la fetta di elettori interessati estendendola al 20% delle sezioni.Per queste politiche, il voto elettronico avrà per la prima volta valore giuridico. Le schede di carta resteranno sigillate dentro le urne (di cartone) e saranno estratte dagli scatoloni solo in caso di contestazioni. Le regioni coinvolte sono state scelte, a detta del ministro Stanca, con il criterio del "bilanciamento territoriale"; una al Nord, la Liguria; una la Centro, il Lazio; una al Sud, la Puglia. Infine un'isola, la Sardegna. In apparenza ancora nulla di strano, fatto salvo il discorso che queste sono proprio le Regioni in cui gli esiti elettorali sono più incerti e che peseranno in modo determinante nell'assegnazione dei premi di maggioranza, (regionali, non a caso) per il Senato dove, secondo i sondaggi, potrebbe esserci un maggiore rischio di pareggio.

di Fabrizio Casari

La sceneggiata di Vicenza, penultimo episodio della saga padronale in differita Tv, ha avuto certamente dei momenti adatti alla tradizione dello sceneggiato italiano. Al Presidente del Consiglio, che porta la sua clacque come fosse a Matrix, bisogna riconoscere il merito di non sottrarsi al redde rationem con i colleghi che avevano osato contestarlo. Ma la prima fila con le braccia incrociate, cioè quella che ospita le personalità più importanti, ha avuto comunque un ritorno poco piacevole per il Presidente di quasi tutto quello che conviene presiedere. Così come è tutta inscritta nell'arte del paradosso italiano l'accusa di Berlusconi a Della Valle riguardo agli scheletri nell'armadio, tanto come quella di un Della Valle improvvisamente asceso a combattente antiberlusconiano. Flaiano aveva già documentato la scena quando sosteneva che "la situazione è grave, ma non è seria".
E' comunque una Confindustria divisa quella che si atteggia ad arbitro del voto. La presunzione di entrambe le fazioni di rappresentare le due aggregazioni politiche in competizione, si sovrappone a quella, meno esplicita ma più autentica, di essere in qualche modo rappresentate, più che di rappresentare. Quale che sia infatti la tendenza presente nell'organizzazione padronale, su un dato l'unitarietà dei componenti è certa: il governo è lo strumento operativo, come il Parlamento lo è sul piano legislativo, delle politiche economiche che servono alle imprese. Che queste poi non rappresentino più, o quanto meno come un tempo, il centro del sistema economico, poco importa.


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