di Lidia Campagnano

Quando si dice che questo paese ha bisogno di una svolta si è molto al di sotto di ogni verità. Questo paese ha bisogno di un governo che, con decisa pazienza, ricostruisca le strutture elementari della dignità civica, della cultura di base, della semplice funzionalità statale. A testimoniarlo è, se ce ne fosse bisogno, la giornata di attesa dei risultati elettorali:a cinque ore dalla chiusura dei seggi, con un sistema elettorale che in teoria rendeva semplicissimo e rapidissimo il conteggio, non avevamo neppure i risultati della metà dei seggi del senato; due società addette ai sondaggi davano i numeri come solo gli ubriachi, il Ministero degli Interni aveva l'aria di essere chiuso, per ferie o per altro, e l'opinione pubblica era in preda alle televisioni, come durante il Festival di San Remo.
La vergogna, questa volta, ha invaso anche le menti più sobrie tra coloro che hanno votato, semplicemente, per avere un governo più degno di questo nome.

di Cinzia Frassi

Eccoci qui. Ci siamo. Sono in molti ad aggiungere, finalmente. Già, perchè è certo che mai come in questa campagna elettorale siamo stati invasi da tutto e da niente. Grande antagonismo dei leader, quello di centro destra e quello di centro sinistra, rafforzato da una legge elettorale che offre ai cittadini solo un simbolo. La politica "più vicina" ai cittadini lascia il posto ad una sola scelta, l'uno o l'altro. Di Berlusconi e di Prodi si è parlato tanto e sull'onda di questa sfida molte cose sono restate dietro le quinte, risucchiate dallo spettacolo della politica pre-elettorale. Impantanati in questo gioco sono stati anche quei partiti che sentono di rischiare di non oltrepassare lo sbarramento del 2%, che per qualcuno alla "prima" tornata elettorale diventa il 4%. Ma un'altra cosa è certa. Dopo il voto, l'11 aprile non potremo ancora rilassarci.
Sarà tuttavia interessante conoscere quanti dei 50.317.812 italiani aventi diritto al voto, di cui 26.071.392 donne, si saranno recati alle urne e quanti saranno invece andati a fare una scampagnata.

di Domenico Melidoro

Forse sembrerà ozioso, a pochi giorni dal voto e alla fine di una campagna elettorale ricca di polemiche, discutere del futuro della Sinistra italiana dopo il voto del 9 e 10 aprile. Probabilmente sembrerebbe più opportuno continuare ad analizzare le proposte programmatiche dei due schieramenti, cercando magari di capire qual è il limite oltre il quale l'Unione intende tassare la successione, oppure interrogandosi sull'ultima sortita di un Berlusconi in vena di promesse propagandistiche sull'esenzione dal pagamento dell'ICI sulla prima casa. Eppure, dopo l'accantonamento della Lista Arcobaleno che avrebbe dovuto unire la cosiddetta Sinistra radicale e in seguito al presentarsi agli elettori in ordine sparso delle forze parlamentari progressiste, l'esigenza di ristabilire un dialogo tra le diverse anime della Sinistra che non accetta l'egemonia moderata dell'Unione appare sempre più necessario.

di Giovanni Gnazzi

Il secondo e ultimo confronto è cominciato come il primo: grande attesa mediatica, speranze e paure che s'intrecciavano tra i supporters. Lo scenario é identico: davanti al teleschermo a destra siede Berlusconi, a sinistra Prodi. Le colonne d'Ercole separano i due contendenti, in una scenografia appositamente pensata. In mezzo Bruno Vespa, ciambellano di Porta a Porta al posto di Mimum.
Lo spettacolo comincia proprio da qui, con Vespa che non può sfregarsi le mani ed indicare con il braccino ridotto chi avrà l'uso della parola e per quanto tempo. Perché stavolta Vespa non pone e non dispone: le domande le fanno Napoletano e Sorgi, direttori del quotidiano romano Il Messaggero e del quotidiano torinese La Stampa. Le risposte le danno i due, ma il tempo è scandito da una clessidra da par condicio, Golem assoluto della parità apparente tra chi usa le sue reti come una clava e chi non si decide ad usare la clava contro quelle reti. Vespa ha solo la possibilità d'intervenire in caso di sforamento, per la verità previsto solo per Berlusconi, data la sua nota logorrea. Al giornalista più pigmentato d'Italia, la Rai ha esplicitamente chiesto d'essere inflessibile: chi sfora si trova l'audio sfumato.

di Marco Dugini

Manca poco, pochissimo, alla data fatidica del 9 Aprile e le ultime settimane consumate in battibecchi tra i due schieramenti avversi confermano la sensazione di trovarsi di fronte ad una delle più brutte campagne elettorali di tutti i tempi, con una leadership politica decisamente modesta, anche quella di sinistra, "caimanizzata" com'è, per dirla con Nanni Moretti, dallo scontro frontale con un berlusconismo, in quanto fenomeno culturale sempre più scomposto e pericoloso.
Il reame attualmente al potere, percependo gli scricchiolii sempre più evidenti, sembra pronto agli ultimi colpi di coda, e non è neppure escluso che l'elettorato si rechi alle urne con allarmi terroristici in corso.
Con Tremonti, addirittura, l'avversario diventa agente della Cina, e dal rosso si passa quindi a sottolineare il giallo delle copertine dei programmi e del tir elettorale di Prodi.
Eppure queste politiche, per altri versi, risultano decisamente interessanti, a patto di non volersi fermare ad un riduzionismo semplicistico.
Più di qualsiasi altro tema - dalla politica estera alle Unioni civili, passando per la risoluzione del conflitto d'interessi - quello delle politiche fiscali, sarà davvero la cartina da tornasole di due modi d'intendere il futuro dell'Italia.


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