di Alessandro Iacuelli


C'è un indagato per la morte dei tre orsi e dei due lupi avvelenati nel Parco nazionale d'Abruzzo nel settembre scorso. La procura di Avezzano ha emesso cinque avvisi di garanzia nei confronti di allevatori del posto. Proprio in seguito a questo atto formale sono partite le perquisizioni nelle abitazioni e nelle aziende dei cinque indagati, una a Pescasseroli (L'Aquila) e altre quattro nella Marsica. Gli inquirenti hanno cercato veleni e pesticidi utilizzati per contaminare la carne di capra che ha poi ucciso gli animali. Gli interrogatori dei giorni scorsi sono serviti a raccogliere elementi giudicati utili alle indagini. Alcuni degli indagati sembra avessero dei contenziosi in corso con il Parco. Al termine delle perquisizioni nei cinque allevamenti, il proprietario di una di queste imprese è stato iscritto nel registro degli indagati, dopo che le forze dell'ordine avevano controllato la sua abitazione, l'esercizio commerciale e la stalla. L'accusa è quella di uccisione di animali, violazioni della legge quadro aree protette e delle norme per la protezione della fauna selvatica.
Ad intralciare ulteriormente le indagini sono stati i numerosi testimoni, presentatisi spontaneamente in Procura. Hanno fornito dettagli sulle uccisioni degli animali ma, secondo voci provenienti dalla stessa Procura di Sulmona e di Avezzano, sono testimoni da prendere con estrema cautela, quasi tutti spinti soltanto dalla volontà di gettara ombre ed accuse su alcuni vicini. Il fenomeno dell'aggressione alla fauna selvatica non è limitato, d'altra parte, al solo Parco Nazionale d'Abruzzo. Nella vicina provincia di Teramo, un gruppo di escursionisti che tornavano da una visita all'eremo di Sant'Angelo in Volturino, nella zona delle Gole del Salinello, hanno trovato la carcassa di un lupo ucciso da un proiettile. Ed anche questi sparuti ritrovamenti di animali morti, appartenenti a specie, sembra essere solo una punta d'iceberg.

Secondo Piero Genovesi, tecnologo dell'Istituto nazionale di fauna selvatica, "non è possibile quantificare le vittime di avvelenamento in Italia fra gli animali selvatici, perchè non esiste una statistica di questo tipo. In tutta Italia questi fenomeni sono diffusi, ma con una variabilità locale: basta una singola persona per causare danni enormi". C'è poi da fare anche una distinzione tra le specie che abbondano nella nostra penisola e quelle che sono invece a rischio di estinzione; infatti mentre in Italia volpi e cornacchie sono piuttosto abbondanti, ma tuttavia al primo posto nella classifica degli animali vittime del veleno, per gli orsi le cose stanno diversamente, poichè che sono in numero molto più ridotto e vivono in un'area ristretta.

A tale proposito, Genovesi osserva: "Mentre nel primo caso il danno su queste popolazioni è nullo, nel secondo caso più le popolazioni sono ridotte e più la mortalità aggiuntiva ha un forte impatto e diventa causa ultima dell'estinzione". Non sono però solo gli orsi le uniche vittime di bocconi avvelenati, perchè "le specie più minacciate sono quelle che mangiano anche le carcasse di animali morti", afferma Genovesi, "ad esempio un classico sono gli avvoltoi. In Italia in passato ne esistevano quattro specie, oggi sono tre e tutte a rischio estinzione. I più a rischio sono quindi rapaci, corvi e cicogne".

Non si può fare un bilancio nazionale, ma esistono esempi e statistiche di avvelenamento solo su base locale e non in tutte le province e regioni. "Anche in una provincia come quella di Bologna", ricorda Genovesi, "gli episodi non sono stati pochi. Di recente sono stati uccisi un paio di lupi e almeno 20 o 30 poiane sono state trovate morte tutte insieme in un'area e in un periodo limitato". Un altro esempio arriva dalla Sardegna, dove sono stati avvelenati 8 grifoni e quest'anno nel periodo della riproduzione mancava un terzo della colonia, visto che su 30 coppie ne sono rimaste 20.
"Quantificare le morti da avvelenamento", spiega l'esperto dell'Infs, è difficile. L'avvelenamento può essere intenzionale oppure no: allevatori, agricoltori o cacciatori usano sostanze letali contro cani inselvatichiti, volpi e cornacchie. Orsi e aquile reali non sono in genere un obiettivo, ma essendo l'avvelenamento un metodo non selettivo, chi arriva prima sul boccone lo mangia. Ci sono poi determinate sostanze utilizzate in agricoltura per uccidere i roditori. Questi muoiono sui campi e diventano il pasto di un uccello da preda, come il nibbio".

Un altro problema grosso è quello del piombo nelle munizioni da caccia, un veleno che rimane nell'animale ferito e non recuperato: nel caso in cui venga catturato e salvato, l'animale comunque soffrirà di saturnismo per poi morire, visto che la malattia comporta che non riesce più a coordinare i movimenti. Per questo, "per tutelare specie in estinzione come quella del condor", conclude l'esperto Infs, "il governo della California ha appena proibito il piombo nelle munizioni per la caccia agli ungulati. Uno studio di qualche anno fa ha appurato che i condor, dopo essere stati catturati, allevati e rilasciati, morivano dopo il rientro in natura, a causa del piombo contenuto negli ungulati abbattuti o nei resti abbandonati dai cacciatori".

Nella nostra Italia le cose stanno anche peggio. Ricorda infatti l'associazione ambientalista Mountain Wilderness Italia, che la mancanza di uomini e risorse rendono il Corpo Forestale dello Stato spesso inerme di fronte a bracconieri e pastori privi di scrupoli. Probabilmente, è arrivata l'ora di riorganizzare la difesa della natura protetta, ma anche di ricominciare ad educare chi vede la tutela e la conservazione delle zone protette, come fumo negli occhi. E' evidente che anche in una regione come l'Abruzzo, con tre Parchi Naturali, qualcuno ha, in malafede, voluto dimenticare che il minare alla radice la sopravvivenza di grandi e importanti carnivori come l'orso ed il lupo, mette a rischio non solo l'equilibrio naturale e la biodiversità, ma anche le generazioni umane future.

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