di Alessandro Iacuelli

Il 20 novembre è entrato in vigore il sistema di gestione dei rifiuti derivanti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (il cosiddetto RAEE), come previsto dal decreto legislativo 151/05. L'obiettivo principale è ridurre la quantità di materiale di scarto derivante da queste tipologie di prodotti e promuoverne il recupero. In concreto ciò significa, o per lo meno dovrebbe significare, che verrà istituito un sistema di raccolta separata per le apparecchiature elettriche ed elettroniche, che verranno trattate per ottenerne il riciclo. Il provvedimento riguarda una serie di prodotti: grandi e piccoli elettrodomestici, computer, stampanti, apparecchi per la telefonia, radio, tv, apparecchi hi-fi, giochi elettronici e così via. Il nodo cruciale della questione, e del futuro di questo tipo di rifiuti, è che questa attività di raccolta e recupero toccherà ai produttori, che si appoggeranno a specifici consorzi per la realizzazione concreta del processo di smaltimento e recupero dei rifiuti. E qui il primo problema: parte del finanziamento di tutto il sistema RAEE finirà per cadere sulle spalle dei consumatori, poiché alcuni consorzi hanno già previsto l'istituzione di appositi eco-contributi da versare al momento dell'acquisto in aggiunta al normale prezzo di listino. Pertanto, ancora una volta non sarà il mondo della produzione a farsi carico dei propri costi ambientali, scaricandoli sulla collettività. Il secondo e ancor più grave problema, è che chiarezza e trasparenza diventano fondamentali per evitare che produttori o distributori in malafede approfittino dell'esistenza degli eco-contributi per caricare i prezzi di elettrodomestici, apparecchi elettronici e altri prodotti simili senza garantirne il regolare smaltimento. Molto spesso, infatti, siamo portati a credere che il riciclo e la raccolta separata dei rifiuti elettronici diminuisca il carico ambientale. Peccato che raramente sia così.

A sollevare questo tipo di allarme è stata una recente inchiesta della CNN, secondo cui la raccolta differenziata dei rifiuti elettronici constribuisce a mettere in pericolo lavoratori e ambiente in Cina, India e Nigeria, tra i primi paesi dove va a finire tutta la "spazzatura elettronica" del mondo occidentale. Secondo una recente stima, tra il 50 e l'80 per cento delle circa 400.000 tonnellate di materiale elettronico destinato al riciclo va in realtà a finire in queste zone povere del mondo, dove centinaia di lavoratori senza precauzioni (e molto spesso si tratta di bambini) recuperano manualmente metalli e vetro esponendo se stessi a un pericolosissimo cocktail di sostanze nocive. In pratica, si tratta di un riciclo molto pericoloso, si preserva l'ambiente del cosiddetto "primo mondo" per contaminare il "terzo mondo".

Come è stato dimostrato in alcuni casi, anche in Italia, spesso né le aziende produttrici né i consumatori sono coscienti di questo tipo di smaltimento. E' chi raccoglie le apparecchiature giunte alla fine del loro ciclo di vita, che spesso mette tutto in grossi container che vengono poi inviati nei Paesi più poveri. Così, in una terra che potrebbe essere ricca grazie alle sue miniere di diamanti, come la Nigeria, si assiste invece allo spettacolo di roghi improvvisati, con fumi densi e tossici. Sono i roghi di quel che resta della nostra alta tecnologia, a valle del recupero di metalli fatta dagli abitanti locali. Chi opera in quelle zone racconta di un rapido aumento di casi di problemi respiratori, allergie, danni al sistema immunitario. La salute di chi fa questo lavoro è minata dai residui di bario, mercurio, ritardanti di fiamma, cadmio e piombo che si disperdono nell'aria, nel suolo e nelle falde acquifere.

Una delle scappatoie sfruttate più spesso, per riuscire a spedire verso l'Africa i rifiuti, e in questo c'è la traccia forte delle ecomafie dell'Italia meridionale, è il mascherare da donazioni e da aiuti umanitari i container di rifiuti. Dal canto suo la Cina da qualche anno ormai ha fermato l'importazione di rifiuti hi-tech occidentali, che per anni hanno garantito un alto reddito, o almeno l’importazione legale. Una decisione sofferta, resa necessaria dal gravissimo impatto ambientale che in varie zone del Paese tutto questo stava provocando, senza contare i danni alle persone, spesso anche minori, coinvolte nel processo di "smaltimento", a contatto con sostanze dannose senza protezioni e tutele.

In questo caso le organizzazioni criminali che muovono l'importazione illegale sfruttano la mancanza di una severa politica di frontiera, sia per far arrivare la merce in Cina che per trasportarla da lì ad Hong Kong. Il grande volume di commerci tra Hong Kong e la Cina attira chi commercia in rifiuti elettronici dai paesi in via di sviluppo per utilizzare anche Hong Kong come discarica. L'importazione dalla Cina viene effettuata sulle strade, rendendo più difficili le ispezioni. E dall'Europa e dagli USA? Come arrivano i rifiuti in Cina?

La rotta del Pacifico oramai è in disuso, visto il collasso delle reti interne, stradali e ferroviarie del Nord America ed i pesanti limiti per il passaggio nel canale di Panama. Così, la nuova rotta è quella attraverso l'Atlantico, con passaggio attraverso Gibilterra e Suez. Sono le stesse navi che, una volta scaricati i container con i veleni, preleveranno dalla Cina le merci destinate ai centri commerciali di Europa e Cina. Nel Mediterraneo, i principali hub, i porti di scalo per i rifornimenti, di queste rotte sono tutti italiani: Napoli, Salerno, Gioia Tauro.

Proprio le rotte verso gli Stati Uniti sono quelle che trasportano la maggior parte di rifiuti velenosi. Infatti, se i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Basilea devono attenersi a specifiche procedure e limitazioni per le esportazioni dei rifiuti tecnologici, quelli che non l'hanno fatto hanno praticamente mano libera. Ed il principale Paese a non avervi aderito sono proprio gli Stati Uniti: che trattano all'estero fino all'80% delle 400.000 tonnellate di materiale destinato al riciclaggio e scaricano fuori dai propri confini 2 milioni di tonnellate di spazzatura tecnologica.

Le possibili soluzioni? Gli attivisti del gruppo ambientalista "Basel Action Network" suggeriscono di sviluppare un quadro normativo su base internazionale che consegni al produttore la responsabilità del trattamento dei rifiuti, come già dettano le direttive europee in materia che l'Italia ha recentemente recepito e messo in atto. Agendo in tal modo, è più probabile che i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche utilizzino materiali più ecologici e migliorino i propri prodotti per facilitare lo smaltimento, il riciclaggio e il riuso dei componenti funzionanti. Ma questo è possibile solo se è il produttore a pagare. Senza ecoincentivi di nessun tipo. Finché sarà il consumatore finale a pagare, non si potrà cambiare lo stato di cose.


Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy