di Alessandro Iacuelli

Sta diventando, nella disattenzione generale, l'emergenza nazionale di domani. Di tutto il Paese. E' quella dei rifiuti speciali, cioè di quei rifiuti che non sono assimilabili agli urbani. Sono i rifiuti delle attività produttive, delle industrie. L'ultimo rapporto dell'APAT parla chiaro, basandosi sui dati ufficiali più recenti, quelli del 2004: a fronte di una produzione di rifiuti urbani (ed assimilati) di 31,7 milioni di tonnellate, il nostro Paese ha prodotto 108 milioni di tonnellate di rifiuti speciali. Senza che esistano abbastanza impianti per il recupero o lo smaltimento di una tale quantità di materiali. Le operazioni di recupero di materia rappresentano la forma prevalente di gestione dei rifiuti Speciali, circa il 47%. Del rimanente, circa il 21% è smaltito in discarica e il 15% è avviato ad impianti di trattamento chimico, fisico o biologico e ricondizionamento preliminare. La produzione di rifiuti pericolosi, essenzialmente dovuta al settore della chimica, si attesta a 5,3 milioni di tonnellate. Tirando le somme, fatalmente, mancano all'appello ben 26 milioni di tonnellate di rifiuti speciali: sono scomparsi nel nulla. Non se ne conosce l'effettiva destinazione. Decisamente ci troviamo dinanzi ad una gestione arretrata dei rifiuti del mondo produttivo. Se a questo aggiungiamo che in ben cinque - Regioni, Campania, Calabria, Lazio, Puglia e Sicilia - è in corso una grave emergenza rifiuti urbani, ne esce un quadro nazionale abbastanza inquietante. Se già cinque regioni hanno difficoltà a smaltire i rifiuti urbani, che sono poco meno del 25% del totale, come si può ottenere uno smaltimento effettivo di tutti i rifiuti speciali che produciamo? Negli ultimi 4 anni la novità negativa più importante è il Codice ambientale, ora in revisione dall'attuale Governo, che tra i mille difetti che presenta, contiene anche quello di imporre eccessive semplificazioni per i rifiuti pericolosi, permettendo forme di smaltimento piuttosto fantasiose, e dannose per la salute.

In assenza di impianti di smaltimento che bastino per tutti, e considerando che si tratta di forme di smaltimento particolarmente costose, che hanno alla base la messa in sicurezza delle sostanze pericolose, da sempre ogni Paese adotta forme proprie e particolari per disfarsi degli scarti delle attività produttive. La Norvegia, che è al primo posto nel continente per gli abusi ambientali, precedendo l'Italia, usa la propria zona artica come discarica di rifiuti nocivi. L'Olanda, ed altri Paese limitrofi, vietano lo smaltimento in discarica dei rifiuti tossici, tassano in modo elevato l'incenerimento, e in tal modo favoriscono l'esportazione via mare verso l'Africa, come portato alla ribalta dal caso di Abidjan nel settembre 2006.

Nel nostro Paese, invece, si sceglie la strada della vendita a Paesi asiatici, quando si tratta di materiali recuperabili, e dello smaltimento illecito di ciò che non è recuperabile. Verso la Nigeria ed il golfo di Guinea, quando si tratta di grandi quantità, sul nostro stesso territorio quando si tratta di moli che non rendono conveniente l'imbarco via mare. Così, se fino a qualche anno fa i fenomeni di smaltimento illecito erano propri solo delle regioni a tradizionale presenza mafiosa, tra le quali la Campania è sempre stata in testa, oggi leggiamo simili casi riferiti a tutta l'Italia.

Ad esempio, il 4 dicembre viene alla luce un giro di affari di 5 milioni di euro: è questo il valore del traffico illecito di 350.000 metri cubi di rifiuti speciali che i carabinieri del Noe hanno scoperto, sequestrando una discarica abusiva realizzata a Rocca delle Fene di Pietra Ligure. Era stata data l'autorizzazione per un intervento di ripristino ambientale, ma i carabinieri hanno trovato un vero e proprio smaltimento di rifiuti speciali. Pochi giorni prima, altri rifiuti speciali stoccati senza autorizzazione sono stati scoperti dal nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Lecce in un'area di 18 mila metri quadri adibita a discarca abusiva, a Galatina.

Negli stessi giorni, l'Operazione Matrix, in Calabria, condotta dalla Procura della Repubblica di Castrovillari, ha portato alla luce un traffico di 25.000 tonnellate di rifiuti speciali tra la Calabria e la Campania contravvenendo ai divieti imposti dalla stessa Regione Campania circa l'introduzione di rifiuti di provenienza extra-regionale ed avvalendosi di un sistema di "staffette" agli autocarri sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria per eludere i controlli delle forze di polizia. I rifiuti speciali illegalmente trasportati erano costituiti principalmente da veicoli fuori uso parzialmente demoliti, imballaggi metallici ed estintori a polvere sotto pressione.

Per completare questo piccolo giro d'Italia, il 26 novembre i Carabinieri del Noe di Bologna hanno denunciato l'amministratore unico di una società di Finale Emilia e il presidente del consiglio di amministrazione di una società di Lonato (Brescia), entrambe operanti nel trattamento dei rifiuti, l'amministratore, un socio e numerosi autisti della ditta di autotrasporti coinvolta, con sede nel veronese. I militari hanno scoperto un traffico illecito di un ingente quantitativo di rifiuti speciali, provenienti da una ditta del Friuli, che subivano un mero cambio cartolare del codice identificativo, una vecchia invenzione dei clan campani, senza alcuna effettiva attività di trattamento. In tal modo, i rifiuti potevano essere conferiti all'impianto di Lonato, aggirando le prescrizioni autorizzative imposte a quest'ultima società e garantendo, al contempo, indebiti guadagni.

Forse non è un caso se, secondo le statistiche del 2006, le prime tre Regioni più interessate dai reati
ambientali sono, in ordine, Campania, Sicilia e Veneto: l'Italia intera, da Palermo a Venezia, è attraversata dalla nuova ondata aggressiva di un’ecomafia altrettanto nuova. Non più cosche e clan, ma imprenditori ed industriali. Quegli stessi industriali che poi vediamo in TV parlare di come l’Italia andrebbe migliorata. Ad uccidere il territorio è quella parte di società che si arroga la definizione di "parte trainante dell'Italia". Quell'industria sempre pronta a chiedere, a pretendere, da questo o quel governo, di ottenere sgravi, diminuzione della pressione fiscale ed altri vantaggi, nel nome di una produttività che sulla carta dovrebbe portare sviluppo al Paese, ma che nella pratica è rivolta solo ad internalizzare i profitti ed esternalizzare i costi. Anche quelli ambientali. Avvelenando il territorio ed i cittadini.

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