di mazzetta

Succede che nel 2004, in una regione d'Italia, si scopre che le acque del fiume principale sono pesantemente inquinate da terribili veleni. Sostanze velenose e mutagene che superano i limiti ammessi per ciascuna, fino a formare un minestrone terribile che viaggia nei tubi dell'acquedotto. Non è il semplice sforamento dei limiti di una sostanza, ma sono più sostanze a superare i limiti posti a tutela della salute e - tutti insieme - a rendere quell'acqua pericolosissima, in particolare per le donne in stato di gravidanza e i bambini. Dal 2004 al 2007, nonostante numerose quanto riservate riunioni a tutti i livelli, dai piccoli comuni, alle province, fino alla Regione, non succede niente, tutto tace. Nel 2007 all'improvviso, su iniziativa del WWF e della locale rappresentanza di Rifondazione Comunista, sono commissionate analisi private e scoppia lo scandalo. A ruota, la locale Procura apre un procedimento per “disastro ambientale” e numerose altre imputazioni, poiché si è scoperto che l'inquinamento del fiume deriva da una enorme discarica di materiali chimici tossici posta ad appena venti (20) metri dal fiume. Una discarica che, nelle parole del magistrato è “una delle più grandi discariche tossiche e nocive che esista in Italia, e forse in Europa, talmente grossa che non esiste neppure un sito dove andare a smaltire questo materiale”. A fronte di dichiarazioni e fatti tanto preoccupanti gli amministratori locali si mobilitano, ma non per cercare un rimedio o per sanare la situazione, bensì per nascondere tutto ai propri amministrati, con ottimi risultati. Il presidente dell'ATO (nonché Deputato, coordinatore regionale della Margherita, Sindaco e consigliere provinciale, alla faccia dei conflitti d'interesse e del cumulo delle cariche) che ha in carico gli acquedotti dichiara che “le analisi effettuate erano frutto della fantasia e che forse le bottigliette per i campionamenti erano sporche di terra”. Il Sindaco di un capoluogo di provincia che per un breve periodo è costretto a chiudere i rubinetti afferma che la causa dello stop risiede in “ una forte riduzione delle precipitazioni negli ultimi mesi” e in “un sensibile aumento della popolazione non residente nel periodo estivo”. Un paio di pozzi sono chiusi, riapriranno dopo poco con l'applicazione di filtri a carbone attivo assolutamente inefficaci nel fronteggiare il pericolo.

Intanto il tempo passa e mentre la magistratura scopre che le discariche-bomba sono più di una (ad oggi quattro quelle individuate), gli amministratori locali fanno di tutto per insabbiare la vicenda e la storia della discarica e degli stabilimenti limitrofi. Il presidente della Provincia non trova di meglio che approvare proprio in quei siti la costruzione di uno stabilimento per il trattamento di rifiuti tossico-nocivi provenienti da altre regioni. Quando il governo decide di intervenire, gli amministratori si precipitano a rassicurare (chi?) che l'individuazione dei terreni da bonificare sarà “circoscritta” quanto più possibile. Fortunatamente a livello nazionale non abboccano e l'area alla fine individuata sarà enorme se confrontata con i “suggerimenti” locali.

In una delle aree individuate in un secondo tempo, il personale del Comando provinciale del Corpo Forestale ha scoperto elevate quantità di arsenico, piombo, mercurio, metalli pesanti, sostanze tossiche, acque e falda freatica inquinate, mentre l'analisi del sito principale ha scoperto un vaso di Pandora ripieno di tutto, tanto che gli operatori incaricati delle analisi, pur dotati di tute e maschere hanno accusato malori durante le operazioni di prelievo. Il presidente dell'ATO (e molto altro) sopra citato si chiama Giorgio D'Ambrosio, il sindaco è quello di Chieti, la Regione è l'Abruzzo, il fiume è il Pescara. Ancora oggi nel sito della regione Abruzzo non c'è una sola parola che richiami esplicitamente la vicenda, compresa entro un giro di parole insignificante.

L'attività della Regione in relazione a questa vicenda è definita come: ”l'espletamento, in via generale, di tutte le altre iniziative comunque necessarie al superamento del contesto emergenziale, con particolare riferimento a quelle funzionali alla sicurezza idraulica ed al ripristino ambientale.” Senza alcun riferimento al come, dove e quanto esista un'emergenza ambientale in Abruzzo. Chi si chiedesse cosa sia mai quel “contesto emergenziale”, non troverebbe alcuna indicazione nel sito della Regione. C'è anche un forum per discutere della vicenda, ma è riservato, pre-moderato e anche l'iscrizione è subordinata all'approvazione di una misteriosa autorità. Anche la stampa ed i media nazionali sono stati molto parchi nel denunciare lo scandalo. Qualche articolo sparso, mai una prima pagina e un paio di servizi televisivi, non certo sulle reti ammiraglie.

Silenzio e dichiarazioni assurde, come quella, ancora proveniente dall'ATO che ha affermato che l’acqua inquinata dai veleni, proveniente da Campo S. Angelo e che poi confluisce nell'acquedotto del Giardino, “non viene miscelata alle altre” (vietatissimo!), -ma- che “le acque viaggiano insieme nella stessa conduttura”. Avete letto bene, una negazione che ammette l'accusa, ma nemmeno dichiarazioni tanto strampalate hanno destato scandalo o animato i media abruzzesi.

La discarica abusiva più estesa e pericolosa d'Europa è quella di Bussi, una cittadina che sorge alla confluenza dei fiumi Tirino e Pescara e che ha ospitato stabilimenti chimici della Montedison fin da prima della seconda guerra mondiale. In origine produceva Yprite, fosgene, in pratica le armi chimiche che Mussolini impiegò in Africa in spregio alle convenzioni internazionali. Successivamente, negli stabilimenti di Bussi sembra siano stati fabbricati molti prodotti chimici, con una particolare predilezione per i più pericolosi dal punto di vista ambientale. L'amministrazione, le maestranze, tutti sapevano e nessuno ha mai detto nulla, tanto che fino al 1963 gli scarichi finivano direttamente nel fiume. C'erano da salvare i sacri posti di lavoro, ma soprattutto c'erano da far girare fiumi di denaro.

A quell'epoca risale la costruzione della discarica abusiva, la più grande, quella accanto al fiume e all'autostrada dove, anche dopo il fermo degli impianti, hanno continuato ad affluire camion da tutto il paese. Lì si poteva quello che ovunque altrove era vietato. Una volta colmata la discarica e raggiunta la sua massima espansione, quando finalmente Montedison cozzò contro l'ostinazione del proprietario di un terreno che non volle cedere alle offerte dell'azienda, i camion continuarono a raggiungere la regione riversando il loro contenuto nelle discariche figliate da quella di Bussi.

Montedison ha fatto opposizione al provvedimento di sequestro dei terreni e, pur non commentando la vicenda, è chiaro che non ha alcuna intenzione di scusarsi con gli abruzzesi o contribuire a rendere noto quali e quante sostanze siano state riversate nell'area. Area che ora è divenuta Sito di Bonifiche Nazionale e che attende una bonifica che nessuno sa come portare a termine, non esistendo un sito capace di accogliere una tale massa di veleni pericolosissimi. Probabilmente attenderà a lungo, perché se da un lato lo stanziamento governativo di sessanta milioni di euro servirà solo a coprire le discariche con colate di cemento (la più classica delle “pietre sopra”), dall'altro alla Regione Abruzzo fanno finta di nulla e la discarica di Bussi è diventata innominabile ed innominata. Questo senza considerare il precedente regionale della bonifica Saline-Alento, in corso da anni senza aver prodotto altro che sprechi di denaro pubblico originati da opportuni errori a cascata.

La Provincia ha addirittura approvato alla costruzione di un impianto che l'ORIM vorrebbe installare nell’area, un impianto per il trattamento di decine di migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti dai petrolchimici e dalle industrie chimiche di tutta Italia. Secondo la Provincia il pericolo maggiore è quello di frenare lo sviluppo della zona.

La vicenda, che prima di tutto rappresenta un gravissimo rischio sanitario per generazioni e generazioni di abruzzesi, non trova attenzione e non suscita scandalo. Se non fosse per qualche attivista locale e per l'opera della magistratura, non se ne saprebbe proprio niente. Un pericolo che interessa almeno mezzo milione di persone abitanti nel bacino del fiume Pescara, fino alle sue foci, quindi al mare e alla costa.

Sebbene la giunta regionale abruzzese sia oggi dimissionaria e il suo ex presidente, Ottaviano Del Turco, impegnato a tenersi lontano dalle patrie galere, lo scandalo non è materia di contesa elettorale. Lo stesso Del Turco si è segnalato per un fragoroso silenzio sulla vicenda. La migliore testimonianza che la Tangentopoli abruzzese sia molto più estesa e trasversale di quanto non facciano trasparire le accuse all'ex socialista di rito craxiano e ai suoi compagni di sventura. Si può quindi affermare che la maggior parte dei politici abruzzesi non siano solamente avidi, ma anche pericolosi per la sopravvivenza dei loro stessi amministrati. I ripetuti scandali che hanno investito la sanità abruzzese hanno sollevato un sospetto che la vicenda di Bussi conferma: in Abruzzo la politica, intesa come sistema di potere indifferente al colore di appartenenza, non frena la sua avidità davanti a niente.

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