di Alessandro Iacuelli

Stavolta le discariche abusive non sono nella solita Campania. Anzi. Scoprire un traffico di rifiuti pericolosi nel milanese sembra smentire tutti quei politici padani che nei mesi scorsi si erano sempre affrettati a dire "queste cose, da noi, non succedono". Invece succedono eccome, e con la stessa identica tecnica adottata 25 anni fa nel casertano, a mostrare una certa "arretratezza tecnica" rispetto agli specialisti della camorra. E' successo a Desio, appena una decina di chilometri a nord di Milano, dove qualcuno si metteva a scavare grandi buche nel terreno, vere e proprie cave abusive, vendendo il terreno di riporto alle imprese edili. Una volta scavata una grande fossa, la si riempiva con tonnellate di rifiuti tossici. La tecnica non è buona: andava bene 20 anni fa ma non oggi, poiché sono stati messi a punto molti sistemi di controllo sia aerei che satellitari per il rilevamento dall'alto delle discariche abusive. Lo sanno bene i clan campani, che hanno smesso di usare la tecnica primitiva della cava abusiva, ma evidentemente non ne era consapevole il clan calabrese che ha operato nel milanese. Così, la Polizia provinciale di Milano ha arrestato otto persone e ne ha indagate altre 20, prima che mettessero in atto l'ultima fase del disegno criminale: una denuncia di inquinamento contro ignoti, per ottenere dal Comune il cambio della destinazione d'uso del terreno da agricola a residenziale, incrementandone il valore e guadagnando così altro denaro. A Desio, Seregno e Briosco, gli uomini del Nucleo operativo della Polizia di provinciale, hanno così sequestrato 65mila metri quadrati di terreno dov'erano stati sepolti 178mila metri cubi di rifiuti tossici e nocivi. E' stato possibile, durante l'indagine durata 10 mesi e coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Monza Giordano Baggio, ricostruire facilmente tutta la filiera dello smaltimento. Si è così scoperto che i rifiuti tossici provenivano soprattutto dalla zona di Bergamo. Tra i 20 indagati ci sono anche imprenditori e industriali che si sono affidati all'associazione mafiosa per lo smaltimento a basso costo dei loro rifiuti speciali. Sono stati sequestrati camion e attrezzature utilizzate nelle cave, per un valore di 2 milioni e 500mila euro, mentre su altri 235mila metri quadrati di terreno sono tuttora in corso accertamenti ed analisi.

Il principale arrestato è un latitante calabrese originario di Melito Porto Salvo, Fortunato Stellittano, 44 anni. Il boss, sotto la copertura delle aziende di Giovanni Stellittano e Ivan Tenca, l'Impresa Edile Stellitano Giovanni e la Fratelli Tenca, che formalmente si occupavano di edilizia e rottamazione, e grazie all’appoggio di altri arrestati, individuavano campi abbandonati e li acquistavano, per poi provvedere allo smaltimento abusivo dei rifiuti nelle fosse. Anche Ivan Tenca, come Fortunato Stellittano, era già conosciuto dalle forze dell’ordine, per aver sparato contro il boss della ’ndrangheta Domenico Quartuccio. Altre due persone sono state invece arrestate al confine, mentre tentavano di portare in Romania i Tir e i mezzi di scavo utilizzati dall'organizzazione criminale, per rivenderli.

Le cave scoperte in Brianza sono profonde 9 metri e larghe anche 50. Ben poca cosa rispetto alle grandi buche dei casalesi nell'agro casertano, dove veniva anche sfondata la falda acquifera, ma la fossa scoperta a Desio è degna di nota: 30mila metri quadrati al lato della Strada Statale 36, dove sono state trovate sotterrate plastiche contenenti idrocarburi, piombo e cromo. A Seregno, in un appezzamento di terreno circondato da campi coltivati, sono stati trovati 7.800 metri cubi di rifiuti, mentre a Briosco, altri 3mila metri cubi di polveri di provenienza industriale contaminate da piombo e cromo, accanto a una ditta dismessa: proprio dal magazzino di questo ex-stabilimento, partivano i rifiuti velenosi verso Desio e verso un'altra zona in provincia di Piacenza.

L’accusa a carico degli otto arrestati non è solo quella di traffico di rifiuti. C'è anzi un particolare molto inquietante. I lavori di scavo e copertura venivano effettuati da operai che lavoravano di notte, poiché il clan credeva che in questo modo non avrebbe "dato nell'occhio". Ebbene, agli operai veniva somministrata della droga, che veniva definita "vitamina" dai proprietari degli improvvisati cantieri, per diminuire la fatica. Ma la "vitamina", una volta caduta nelle mani della Polizia provinciale, si è scoperto essere cocaina. Cocaina per farli lavorare meglio di notte, e vincere la stanchezza. Secondo la procura di Monza, interi pagamenti per la manodopera compiacente venivano effettuati con la cocaina, e non in Euro. Oltre all’accusa di spaccio, le 8 persone arrestate dovranno difendersi dall'accusa di detenzione illegale di armi, intimidazione, minaccia, furto e ricettazione.

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