di Liliana Adamo

Disinvolta programmazione territoriale, condoni a pioggia a far cassa, concessioni edilizie discutibili elargite come scambi di favori o per ingrossare le entrate dei comuni. E poi urbanizzazione violenta con cui si continua a invadere l’integrità dei corsi d’acqua, mancata manutenzione ordinaria, pulizia dei canali, fiumi e tombini, fondi destinati alla tutela del territorio regolarmente convogliati altrove, incendi dolosi e conseguente devastazione del patrimonio boschivo; tutto questo significa rischio idro-geologico. Poi succede che il precario equilibrio giunge alla sua naturale saturazione, ecco che da rischio si passa al dissesto, alle frane, agli alluvioni.

Nel prolifico mainstream mediatico, tanto inarrestabile quanto caro ai nostri politici, spuntano regolarmente due locuzioni che, a parer loro, si integrano empaticamente per ammaliare il pubblico: al primo posto del marketing parolaio, i sinonimici di meritocrazia, al secondo si può incorniciare quell’argot connesso a una sola voce: prevenzione. Per ciò che spetta alla meritocrazia, croce e virtù di una collettività frantumata che si sforza di volersi palesare formalmente “perbene”, ma nei fatti si rivela ordinariamente furbetta e ipocrita, rimanderemo in una prossima occasione. Viste le circostanze, meglio attaccarsi al modello presunto, inerente alla difesa, alla protezione, vale a dire alla prevenzione così com’è cucita addosso all’intero assetto del nostro paese.

E se arriva l’acquazzone e la montagna scende a valle a sommergere in quintali di fango intere comunità, non bastano, allora, la commozione esibita, le lacrime e gli applausi rivolti alle bare (giusto a legittimare lo show e il dramma, il commiato e la parata dei funerali di Stato, dinanzi alle telecamere). Occorrerebbe, piuttosto, opporre un ragionamento chiaro e semplice: abbiamo in atto un brusco cambiamento climatico e, a dispetto delle controparti, che seguitano a supportare tesi di non veridicità e attendibilità, questo determina eccessi meteorologici concreti e inconfutabili. Ed è irritante l’affermazione sovente del mainstream: ci dovremo abituare. Quindi prendersi l'abitudine a eventi come quelli di Sarno, Giampilieri e Scaletta Zanclea; abituarsi a che? All’alluvione invece dell’ottobrata?

In questa condizione s’innesca una concomitanza ad altissimo rischio: il dissesto idrogeologico che persiste nonostante da Sarno in poi si sia protratto anche il vaniloquio e i cambiamenti climatici che si manifestano in quelle che il mainstream ha cominciato a sostenere come tempeste extra tropicali. Allo stato attuale delle cose, si attivino molto Bertolaso e Protezione Civile, perché da qui a trovare soluzioni passerà del tempo. Anche se, a salvare la vita agli abitanti di Giampilieri e Scaletta sarebbe bastato poco. Sarebbe bastato semplicemente dare ascolto alle loro segnalazioni. Ad esempio, il 25 ottobre 2007. Una colata di fango invade il paese, nessuna vittima e dunque va bene così, tutto come prima.

L’11 dicembre 2008, ancora un allarme maltempo, l’unità di crisi della Prefettura allerta l’Esercito che si dà da fare con un’unità mobile del Genio Guastatori di Palermo. Il paese di Olivieri, a sud di Messina, resta completamente allagato, come tutte le vie d’accesso di Montalbano Elicona. Si continua imperterriti a costruire, senza regole, senza infrastrutture; due anni dopo, puntuale, il disastro.

Certo, WWF, Lega Ambiente, un gruppo di geologi, hanno segnalato e denunciato. Il deputato messinese del PD all’Assemblea Regionale Siciliana, Filippo Panarello, si era battuto per avviare una serie d’interventi proprio nel territorio di Giampilieri, alla fine si erano destinati dei fondi, modici, gestiti male e intempestivamente. In una rivendicazione sindacale dell’1 maggio 2003, sottoscritta da sessantadue operai forestali precari della Flaica-Cub di Messina, si contestò all’Amministrazione forestale, Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste, agli altri organi di competenza, la mancata applicazione per normative di legge a tutela di un territorio sfigurato da scempi edilizi e abusi d’ogni genere. Si tracciava già un quadro preoccupante, originato dall’inefficienza dell’amministrazione regionale che della stessa classe politica, ritenuti unici responsabili di una gestione fallimentare del limitatissimo patrimonio boschivo, delle risorse umane, economiche, a scapito degli interessi della collettività.

Messina è una città a enorme rischio idrogeologico e sismico, che si sviluppa alle pendici dei monti Peloritani, a colpi di cemento e di sregolate opere urbanistiche. Le montagne sono geologicamente giovani, soggette quindi a frane e smottamenti, mentre tutte le vie perpendicolari fino al mare sono fiumare ricoperte e trasformate in asfalto. Il torrente Boccetta, il torrente Trapani, il torrente Annunziata sono cambiati in Viale Boccetta, Viale Trapani, Viale Annunziata. Tra queste strade sono sorti palazzi, interi quartieri per centinaia di migliaia di metri cubi e due scuole, una delle quali ha subito l’alluvione del 1996. Dove ancora non si è costruito, al posto dei torrenti, si vedono discariche a cielo aperto. Occupate da strade e cantieri, le aree d’impluvio hanno completamente sovvertito i pendii, rendendoli fragili per la costante erosione del terreno, gli incendi dolosi hanno fatto il resto, desertificando l’intero territorio.

Da marzo 2006 a luglio 2009, il WWF Italia ha identificato le aree della città e del suo comprensorio, tutte densamente popolate, più a rischio. Non basta: sempre dal WWF, nell’aprile  2009, sono partiti ben quattro esposti con richiesta di revoca immediata per lottizzazioni e progetti urbanistici già approvati. Gli esposti sono stati inviati all’amministrazione comunale, alle forze dell’ordine e, infine, alla magistratura. Due di queste denunce sono state inspiegabilmente insabbiate e archiviate.


 

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