di Alberto Mazzoni

Gran parte del dibattito politico-ecologico ruota al momento attorno alla definizione di impatto “sostenibile” dell'attività umana sulla natura. Sul numero di Nature del 23 settembre 2009 un nutrito gruppo di scienziati da 27 istituzioni scientifiche diverse propone di ridefinire in senso dinamico la sostenibilità ambientale utilizzando il concetto di punto critico. Cos'è un punto critico? Una molla a riposo è un sistema in equilibrio: se viene compressa o estesa ritorna alla situazione di partenza. Ma ogni sistema può essere portato fuori dall'equilibrio se la perturbazioni sono sufficientemente forti: esiste sempre una lunghezza di estensione al di là della quale la molla si deforma permanentemente o si spezza. Il sistema raggiunge così una nuova configurazione. La lunghezza di estensione a partire dalla quale la molla non torna allo stato di partenza, l'intensità della perturbazione che non consente il recupero dell'equilibrio originario, è il punto critico.

La proposta degli autori è di definire come ecologicamente sostenibile solo una azione che non porta l'ambiente al di là del suo punto critico - in modo tale che sia possibile tornare all'equilibrio una volta che l'azione termina. Un’azione che porti l'ambiente oltre il punto critico causa danni irreversibili e non può quindi essere definita sostenibile.

Vengono individuati una serie di aspetti della condizione del pianeta che sono stati in equilibrio  grosso modo negli ultimi 10000 anni (periodo denominato Olocene) e che sono stati pesantemente perturbati negli ultimi 200 anni, ovverosia da quando, in seguito alla rivoluzione industriale, l'attività umana è diventata tra i principali agenti dei cambiamenti ambientali (Antropocene). 

Le perturbazioni analizzate sono: il cambiamento climatico (nel senso di effetto serra), l'acidificazione degli oceani, il buco nell'ozono, i cicli del fosforo e dell'azoto, le risorse di acqua dolce, l'intensità di utilizzo del territorio, la perdita di biodiversità, la quantità di aerosol nell'atmosfera, infine la quantità di sostanze non smaltibili nel terreno (dalle scorie radioattive alla plastica). Ognuna di queste perturbazioni è associata a un punto critico al di là del quale il sistema sarà troppo deformato per tornare al punto di equilibrio. L'articolo su Nature presenta una serie di ricerche scientifiche in cui si è valutato se queste perturbazioni hanno superato il punto critico o quanto esso sia lontano. Al momento tre limiti sono stati passati.

1) Riscaldamento climatico: gli autori propongono un punto critico tra le 350-550 parti per milione di diossido di carbonio nell'atmosfera. Siamo a 387. Alcuni processi irreversibili sono già stati innescati (come la diminuzione del ghiaccio estivo nell'Artico). Incredibilmente, nessuno si stupisce del fatto che l'obiettivo massimo del G20 di Copenaghen non sia di mantenere le temperature attuali, ma di limitare l'aumento a 2 gradi rispetto all'era pre-industriale. Il riscaldamento ormai ce lo teniamo. Per comprendere i danni che anche solo pochi gradi di riscaldamento medio causeranno per l'uomo è indispensabile la lettura dei chiarissimi report dell'International Panel on Climate Change, Nobel per la pace nel 2007, scaricabili da  www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_and_data_reports.htm.

2) Darwin insegna che le specie si sono sempre estinte. A seconda del periodo il tasso di estinzione è variato tra lo 0.1 e l'1 specie per milione ogni anno. Gli autori stimano che un tasso di estinzione di 10 significhi perdere integralmente e irrimediabilmente svariati ecosistemi, rendendo quindi più fragili quelli che sopravvivono. Il tasso di estinzione attuale è superiore a 100.

3) Le quantità di azoto prelevato dall'atmosfera e di fosforo iniettato nel mare (quale conseguenza del ciclo dell'azoto in agricoltura) sono oltre 1000 volte superiori alla quantità dell'era pre-industriale. I fossili suggeriscono che la presenza eccessiva di fosforo negli oceani sia stata in passato responsabile per “large scale ocean anoxic events”: reazioni chimiche che hanno deossigenato l'oceano e causato estinzioni di massa di vita marina. Anche essendo disinteressati al destino dei pesci potremmo almeno pensare ai pescatori.

L'approccio dinamico degli autori consente da una parte di evitare il catastrofismo, poiché tiene conto dell’intrinseca robustezza della natura che è in grado di controbilanciare molti dei nostri interventi, dall'altra chiarisce che per diverse cause correlate - dal consumo di combustibili fossili al modello di agricoltura - la società attuale semplicemente non è sostenibile. Per quanto gli autori stessi ammettano che ulteriori studi siano necessari, dato che il metodo è nuovo, i risultati al momento sono netti.

A tale riguardo è doloroso vedere che sui media italiani vengono talora definite “controverse” delle verità scientifiche solidamente provate, cioè il riscaldamento in atto e il fatto che sia causato dall'attività umana. E' doloroso non solo perché la censura sul cambiamento climatico ricorda ormai quella vaticana sull'eliocentrismo, ma anche perché il vero dibattito cruciale al momento non è sull'esistenza di un’emergenza ambientale, ma su cosa fare a proposito. Questa sarà una delle scelte politiche chiave dei prossimi  dieci-venti anni, questa è la controversia in corso.

Nessuno scienziato ambientale sostiene che cambiamenti cosmetici siano sufficienti. La divisione è tra chi ritiene necessario un cambiamento di paradigma economico, introducendo forti elementi di regolazione ambientale del mercato (vedi Nature special issue del 30 aprile 2009) e chi ritiene che ci voglia “more of the same” e che quindi si debba inventare un nuovo settore del mercato volto a produrre tecnologie diffuse che riparino in tempo reale i danni prodotti, come ad esempio le tecniche di assorbimento del carbonio (vedi Science special issue 25 settembre 2009, o, più cauto, l'articolo del New Scientist tradotto da Internazionale sempre del 25 settembre). Il fatto che le riviste di scienza più importanti al mondo si combattano a colpi di numeri speciali indica da una parte la portata della battaglia, dall'altro che le sue sorti non sono ancora decise.

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