di Liliana Adamo

Le “reazioni emotive” di Guido Bertolaso alla situazione “patetica” impostata sul ”farsi vedere” invece che sul “fare” e sui mancati coordinamenti affidati alle “troppe stellette”, non solo si figurano come efficace rappresentazione del dopo terremoto ad Haiti, ma, in un quadro generale, si collocano nell’esito finale di un paradigma ampiamente dibattuto nella storia recente. Un paradigma che mostra due facce della stessa medaglia: il collasso incombente di quei paesi che non hanno saputo o voluto preservare le proprie risorse ambientali, attraverso una pratica politica corrotta e rapace e l’Occidente che altro non può fare se non mostrare agli occhi del mondo l’inadeguatezza cui è capace, affannandosi a “farsi vedere” sul campo, mostrarsi prodigo ed efficiente, quando, da quelle macerie, niente può essere sanato.

In un disastro di tali proporzioni, è chiaro che organizzazioni governative o sopranazionali, ONU, in primo luogo, istituzioni locali e una parvenza di società civile, sembrano sgretolarsi in un nonnulla, perché ad Haiti non si è in grado di coordinare alcun tipo d’assistenza e aiuti esterni. E questo il dramma, il presupposto per il quale possiamo percepire ben poco sulla reale, effettiva catastrofe umanitaria. La conta dei morti, la fame e l’abbandono dei superstiti non bastano a rendere l’idea nella sua interezza.

Nell’undicesimo capitolo di “Collapse - come le società scelgono di morire o vivere - “ di Jared Diamond, il profilo tracciato di Haiti, nella sua oggettività, appare emblematicamente profetico: “…Le vicende di Hispaniola sono un vero antidoto contro il determinismo ambientale. E’ vero, i problemi ecologici hanno profonde conseguenze sugli uomini, ma le risposte della società possono incidere sulla situazione, modificandola. Allo stesso modo, nel bene e nel male, l’azione e l’inazione di chi ci governa possono avere serie conseguenze…”.

E’ un monito per tutti, anche per noi, socialmente avanzati. La comparazione sviluppata da Diamond, tra le due isole caraibiche di Hispaniola, Haiti e la confinante Repubblica Dominicana, interpreta il destino dei due paesi in modo lampante. L'uno e l'altro ex colonie, storicamente abitati da indigeni oppressi e in seguito, quando non vigeva l’assoluta instabilità politica, governati dai peggiori dittatori sudamericani, veri fuoriclasse d’atrocità, come Trujillo e Balanguer per i Dominicani, Duvalier per gli Haitiani. Ed è un paradosso, se Balanguer, dal punto di vista agricolo, minerario e forestale, si è dimostrato uno strenuo difensore delle risorse naturali, un artefice diligente sulla futura buona sorte per Santo Domingo e per l’intera isola, emanando leggi severissime.

Ha ridotto la domanda di legno grazie all’apertura delle importazioni, riducendo quindi la tradizionale produzione di carbone (che per Haiti, ha rappresentato la rovina), arrivando perfino a utilizzare elicotteri militari per monitorare i boschi alla ricerca d’eventuali attività illecite, arrestare i taglialegna, espellere gli occupanti illegali, distruggere i campi e le ville dei latifondisti nei parchi nazionali (senza guardare in faccia nessuno, neanche ai suoi stessi amici). Insomma un despota lungimirante, con una personalità inattaccabile, a tal punto controversa da essere definito da un incarcerato e torturato, come “un male necessario di quel momento storico”.

François - Papa Doc - Duvalier e gli altri presidenti che gli sono succeduti (tra cui suo figlio), hanno dimostrato, ad Haiti, un disinteresse incondizionato alla difesa delle poche risorse ambientali, alla crescita dell’economia, alla modernizzazione del paese. Con le sue aride catene montuose e le sue brulle pianure calcaree, meno dotata quindi, dal punto di vista ambientale, Haiti fu la prima ad arricchirsi grazie all’agricoltura intensiva e alle monocolture di canna da zucchero, allo sfruttamento violento delle foreste da cui ricavava carbone. Un depauperamento privo di regole e disciplina, manchevole soprattutto di un progetto a lungo termine e di una cultura ambientalista che ha causato l’impoverimento del paese, con danni irreparabili al suolo e alla vegetazione.

Un assalto incontrollato alle risorse naturali incoraggia una capitalizzazione iniziale ma, allo stesso modo determina una perdita progressiva e non rinnovabile di benessere e di valori durevoli. Dagli anni cinquanta in poi l’indice di sviluppo umano si è stabilizzato nella graduatoria più bassa tra tutti gli stati non africani, con livelli inerenti alla salute, all’istruzione e al tenore di vita fra i più avvilenti di tutto il continente americano. Prima, una serie interminabile d’uragani, poi un terremoto devastante, come quello del 12 gennaio scorso, ha armato il colpo di grazia. Semmai ci sarà un futuro per Haiti e per gli Haitiani, passerà attraverso la coscienza del passato e dei suoi fallimenti ed è singolare che possa essere la Repubblica Dominicana a offrire i primi, timidi segnali di vera cooperazione. L’intera comunità internazionale dovrebbe spingere in tal senso.

 

 

 

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