di Giorgio Ferrari

La bozza di Dlgs resa pubblica alla vigilia di Natale, che dovrebbe dare attuazione all’art.25 della legge 99/09 (rilancio del nucleare) non si limita solo a regolare la scelta dei siti nucleari, ma arriva a definire i criteri di accettazione dei nuovi impianti utilizzando una serie di contraffazioni procedurali e normative, che dovrebbero mettere in allarme non solo la classe politica, ma anche il personale tecnico-scientifico che sarà coinvolto nella gestione di questo nuovo ciclo nucleare.

L’impostazione del Governo su questa delicata materia è pari a quella di colui che, volendo costruire una casa, comincia dal tetto. Il decreto, infatti, è finalizzato (formalmente) a stabilire criteri e procedure per la localizzazione di impianti nucleari (centrali, depositi e fabbriche di combustibile) prima ancora che lo stesso Governo abbia stabilito quali siano i criteri e le procedure che sovrintendono alla progettazione, costruzione ed esercizio di simili impianti, vale a dire quello che nella normativa IAEA e nelle due Convenzioni internazionali (Sicurezza nucleare del 1994 e quella sul combustibile-rifiuti del 1997) è chiamato il legal framework.

Questo insieme di leggi, regolamenti e norme tecniche, in Italia è del tutto deficitario, essendo composto da documenti che risalgono a più di 20 anni fa (le guide tecniche del CNEN, mai aggiornate) e che ancora all’epoca della realizzazione di Montalto di Castro, costringeva noi tecnici del settore a fare ampio ricorso alla normativa Usa. Questo deficit normativo, nonostante abbia implicazioni serissime sul piano dell’affidabilità e della sicurezza, tanto da risultare il cardine delle prescrizioni enunciate dalle due Convenzioni sopracitate, è stato aggirato dal comma 1 Art.7 del decreto in questione (Disposizioni per la verifica tecnica dei requisiti degli impianti nucleari). Si stabilisce che i reattori già licenziati in paesi con cui l’Italia ha accordi bilaterali (leggi Francia ed Usa) sono sostanzialmente approvati anche nel nostro paese, sollevando l’Agenzia Nucleare di compiti che altrimenti non sarebbe in grado di assolvere data la scarsità di mezzi e personale qualificato di cui è composta.

Ne risulta che il licencing - procedura complessa che esamina in dettaglio il progetto, la costruzione e il funzionamento di ogni singola parte di un reattore nucleare, prima di autorizzarlo - sarà una barzelletta. La conferma di questo procedere all’italiana sta nel successivo Art.13 del decreto, che concede all’Agenzia Nucleare appena 12 mesi per svolgere l’istruttoria tecnica del progetto e rilasciare l’autorizzazione alla costruzione ed esercizio di una centrale nucleare, quando negli Usa la NRC (a cui nessuno si sogna di imporre limitazioni di alcun tipo) impiega mediamente tre anni per terminare una istruttoria di licencing.

Ma le contraffazioni non finiscono qui. Le procedure autorizzative per una centrale nucleare sono surrettiziamente estese anche a strutture destinate allo stoccaggio del combustibile e dei rifiuti radioattivi (Art.1 ed Art.18) edificabili nello stesso sito, cosa regolata separatamente dalla Convenzione sul Combustibile/rifiuti del 1997, che richiederebbe quindi un’altra autorizzazione.

Così facendo, inoltre, si precostituisce la possibilità di realizzare depositi temporanei di combustibile irraggiato e rifiuti radioattivi adiacenti ad una centrale che, essendo prodotti nello stesso sito, possono non essere sottoposti a VIA. Questo escamotage legislativo si basa sulla definizione di impianto nucleare data dal decreto che stravolge non solo le definizioni ufficiali della normativa internazionale, ma perfino quelle del Dlgs 230/95, che alla corrispondente definizione individua ben cinque diverse categorie di impianto nucleare.

Ancora in tema di autorizzazioni, il comma 7 dell’Art.13 vieta l’esame VIA per questioni che sono state precedentemente oggetto di VAS, citando in merito il Dlgs 152/06, nonostante tale divieto sia scomparso con l’abolizione dell’Art.33 del Dlgs 152/06 che la prevedeva; infine va segnalato il comma 15 in cui la famigerata autorizzazione unica vale anche come dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere! Di dubbia attribuzione sono i requisiti richiesti agli operatori (coloro che richiedono il nulla osta all’esercizio di una centrale nucleare) che verranno stabiliti dal Ministero dello sviluppo economico e non dall’Agenzia Nucleare, ad ennesima conferma che questa non è affatto indipendente come richiesto dalle norme internazionali.

Anche per il deposito nazionale dei rifiuti (trattato al titolo III) si presentano vistose incongruenze, come quella che lo vuole destinato ad ospitare “i rifiuti radioattivi a bassa e media attività ed all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività ed il combustibile irraggiato”. Colpisce qui l’ossimoro “a titolo provvisorio di lunga durata” che lascia intendere che questa non sia la destinazione definitiva dei rifiuti, ma colpisce ancora di più lo stravolgimento della legge 368/2003 (legge Scanzano) che all’Art 1 prevedeva che “La  sistemazione  in  sicurezza  dei  rifiuti radioattivi é effettuata  presso  il Deposito nazionale, riservato ai soli  rifiuti  di  III  categoria”, quindi non a quelli di bassa e media attività! Quanto alla realizzazione del deposito stabilire che l’istruttoria tecnica per la sua costruzione ed esercizio debba concludersi in 12 mesi, quando in altri paesi ha richiesto fino a 10 anni, è un atto di criminale incompetenza che si spera non passi inosservato alla cosiddetta comunità scientifica, comunque sia  schierata sulla scelta nucleare.


 

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