di Mario Braconi

Nel novembre del 2009, Jonathan Safran Foer, acclamato autore di due romanzi ("Ogni cosa è illuminata" e "Molto forte, incredibilmente vicino"), ha scritto un'opera non narrativa ("Se niente importa"), nella quale, utilizzando uno stile complesso, a metà tra il saggio e il memoir, ripercorre l'evoluzione logica e morale che l’ha condotto alla scelta vegetariana. Il quotidiano britannico Guardian del 22 febbraio scorso ne propone un estratto, e precisamente quello in cui lo scrittore racconta la sua visita notturna e clandestina ad un allevamento industriale in California, in compagnia di un'animalista "minuta e fragile, occhialoni da aviatore, infradito e apparecchio dentale". Una testimonianza imprescindibile per chi desideri capire esattamente quale sia la “storia” della carne che molti di noi consumano diverse volte la settimana e quale zavorra di stupidità, avidità e sofferenza vi rimanga attaccata sopra. Anche se Safran Foer parla degli USA, in Europa la situazione non è molto migliore.

Sono le 3.30 del mattino quando Jonathan e l'attivista che lo accompagna entrano nello stabilimento infilandosi tra due linee di filo spinato. Tutte le porte dei locali sono chiuse ermeticamente: un'ossessione per la riservatezza che fa eco a quella degli uffici stampa dei colossi di agricoltura ed allevamento intensivo contattati da Safran Foer per le sue ricerche, i quali non si sono mai degnati di rispondere alle sue richieste di informazioni. In effetti, "i lobbisti dell'allevamento intensivo sanno che il successo del loro modello di business si basa sul fatto che i consumatori non siano mai in grado di vedere (o sentire) come essi si comportino in realtà".

E' quasi certo, infatti, che chi compra un pollo per farlo arrosto ignori le sevizie cui questi animali sono sottoposti finché sono in vita e le precarie condizioni igienico sanitarie del prodotto finito quando fa mostra di sé, impacchettato nel cellophane, dentro i refrigeratori dei supermercati. Per la prima settimana di vita, i polli vengono tenuti con le luci accese 24 ore su 24 – per costringerli a mangiare di più - dopodiché viene loro concessa una notte sintetica di quattro ore al giorno (il minimo indispensabile per evitare che muoiano). Grazie a questo abominevole trattamento, la muscolatura dei volatili cresce più velocemente delle loro ossa, il che procura loro deformità e malattie (si calcola che un quarto di loro abbia problemi a camminare), quando non una morte improvvisa tra le convulsioni (in un numero di casi compreso tra l'1% e il 4%).

Non occorre essere geni per capire che, anche quando sono "in salute", questi animali vivono in una condizione permanente di dolore fisico. In un certo senso, è positivo il fatto che la loro vita sia programmata per durare qualche settimana (per l'esattezza 42, anche se la tendenza è quella di scendere verso le 39), un periodo di tempo che non consente nemmeno la creazione di una gerarchia sociale attraverso la quale farsi strada o soccombere.

Stipare in un capannone decine di migliaia di animali deformi e malati (manifestano spesso problemi agli occhi, cecità, infezioni ossee, spondilolistesi – ovvero scivolamento delle vertebre - paresi, emorragie interne, anemia, deformità alle zampe e al collo, disturbi respiratori e generale debolezza del sistema immunitario) significa creare una situazione ideale per la diffusione di agenti patogeni. Studi americani, citati da Safran Foer, stabiliscono che tra il 39 e il 75% dei polli che arrivano nei negozi sono infetti di Escherichia Coli, percentuali tra il 70 e il 90 sono affetti dal batterio Campylobacter (che su soggetti a rischio può raramente rivelarsi addirittura letale) mentre circa l'8% dei polli di batteria contrae la salmonella.

Il processo di uccisione e trattamento degli animali presenta caratteristiche tali da far accapponare la pelle perfino ad un appassionato di film splatter: una catena di montaggio dove gli animali, al termine di un lungo viaggio in camion senza bere né mangiare, vengono appesi a testa in giù, passati attraverso un "bagno" elettrificato studiato per stordirli, ed infine fatti passare attraverso una macchina "tagliagole".

Da notare che la tensione elettrica all'interno della vasca anestetizzante è mantenuta ad un livello pari ad un decimo del quantitativo necessario ad ottenere l'effettivo stordimento degli animali, che spesso rimangono paralizzati, ma non insensibili al dolore come si vorrebbe far credere; tradotto in numeri, vuol dire che negli USA ogni anno 180 milioni di polli vengono macellati in modo non coerente nemmeno con le blande regole che l'industria si è data da sola. A questo proposito giova ricordare come la potente lobby americana dei produttori di polli, già trenta anni or sono sia riuscita a far declassificare a "difetto estetico" la (tutt’altro che infrequente) presenza di tracce di feci sulla carne da "agente contaminante".

In questo contesto poco allegro, c'è un aspetto comico: la presenza, al termine della filiera di trasformazione, di un incaricato del Dipartimento dell'Agricoltura americano (USDA), che ha la bellezza di due secondi (due secondi!) per "analizzare ogni uccello macellato dentro e fuori al fine di identificare più di una dozzina di diverse malattie e sospette anomalie". Servirebbe un genio. Infine, i polli vengono sottoposti ad un processo di refrigerazione per immersione: non solo l'acqua dove vengono immessi gli animali è talmente lurida da poterla definire senza esagerazione un "brodo di escrementi", ma produce un aumento artificiale del peso, cosa che consente all'industria aviaria di vendere decine di migliaia di tonnellate di acqua (sporca) al prezzo di carne!

Michiko Kakutani, la temuta critico letterario del New York Times, commentando il libro sulle colonne del suo giornale, ha stigmatizzato l'uso della parola "atrocità" nel libro di Safran Foer, così come ha considerato con freddezza le analogie che lo scrittore ha stabilito tra la situazione negli allevamenti intensivi e i momenti bui della storia recente. Secondo la Kakutani, che pure riconosce il notevole talento stilistico dello scrittore di origine ebraica, il libro, con la sua tesi pro-vegetariana e i suoi toni accorati, finisce per "sollevare qualche interrogativo sul senso delle priorità e delle proporzioni dello scrittore".

Forse non è del tutto in errore (benché Safran Foer abbia scritto in passato dell'Olocausto, quello vero, in modo originale e toccante), eppure l'ultimo libro di Safran Foer è utile per ricordarci quanto è sano (in senso sanitario come in senso morale) il cibo che troviamo nei nostri piatti. Dopo di che, come è giusto, ognuno è libero di scegliere.

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