di Michele Paris

Il governo di Rafael Correa e il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) hanno annunciato il raggiungimento di uno storico accordo che stabilisce un approccio inedito alla questione dello sfruttamento delle risorse naturali in aree ecologicamente sensibili. Grazie a questa iniziativa, l’Ecuador verrà pagato per lasciare intatto il Parco Nazionale Yasuní, al di sotto del quale si trovano giacimenti petroliferi che potrebbero generare centinaia di milioni di barili di greggio.

A ufficializzare il progetto, alla presenza di esponenti del governo di Quito e di vari gruppi ambientalisti, è stata l’amministratrice dell’UNDP, l’ex vice-presidente della Costa Rica Rebeca Grynspan. Nei prossimi anni verrà creato un fondo nel quale dovrebbero finire 3,6 miliardi di dollari, in cambio dei quali l’Ecuador si impegnerà a non intervenire nella riserva della giungla amazzonica per almeno dieci anni. Nei tre giacimenti di Ishpingo, Tambococha e Tiputini risultano esserci ben 846 milioni di barili di petrolio, pari a circa il venti per cento delle riserve complessive del paese sudamericano.

L’istituzione del fondo fiduciario è stata definita dalla numero uno dell’agenzia dell’ONU “storica, non solo per l’Ecuador ma per l’intero pianeta”. Il fondo riceverà già nel prossimo anno e mezzo un minimo di cento milioni di dollari e tra i donatori ci saranno governi esteri, organizzazioni non-governative, filantropi e compagnie private. Il totale delle entrate previste dovrebbe alla fine ammontare alla metà dei profitti che l’Ecuador si assicurerebbe in caso di sfruttamento delle riserve presente nel sottosuolo del Parco Nazionale di Yasuní.

La gestione del progetto sarà affidata alla stessa UNDP, al governo ecuadoriano, ai rappresentanti della società civile e a quelli dei donatori. Il fondo rimarrà intatto e servirà come garanzia nel caso l’Ecuador decida di procedere all’estrazione del petrolio in futuro. Tra i paesi che hanno già manifestato interesse nell’iniziativa ci sono la Spagna, il Belgio e soprattutto la Germania, che dovrebbe contribuire a breve con 50 milioni di euro. Una delle negoziatrici dell’accordo, intanto, sta per iniziare un tour dei paesi arabi per raccogliere ulteriori donazioni.

Studiata dalle associazioni ambientaliste da almeno un decennio, la proposta di ricevere denaro in cambio della rinuncia allo sfruttamento del petrolio sul proprio territorio era stata ufficialmente avanzata all’assemblea delle Nazioni Unite nel settembre di tre anni fa dal presidente Correa. Sebbene avesse immediatamente incontrato il favore di gran parte della comunità internazionale, il piano ha dovuto fronteggiare diversi ostacoli e più di una volta era sembrato sull’orlo del collasso.

Lo stesso governo di Quito aveva lanciato segnali contraddittori nel corso dei negoziati. Tuttavia, la società civile ecuadoriana e, in particolare, le popolazioni indigene che vivono nell’area protetta, hanno aumentato le pressioni, contribuendo a far crescere la popolarità del progetto a livello internazionale. Un’intraprendenza, quella degli indios, sancita dalla stessa nuova Costituzione dell’Ecuador e che rappresenta il motore della resistenza ad una logica di sfruttamento indiscriminato delle risorse del sottosuolo.

In un’area di quasi 10 mila chilometri quadrati nella foresta amazzonica ecuadoriana - dichiarata Riserva della Biosfera dall’UNESCO nel 1989 - vivono in un isolamento volontario poche migliaia di indigeni Huaorani e Taromenane. Qui si riscontra la presenza d’innumerevoli specie animali e vegetali; una eccezionale bio-diversità, sostengono i biologi, determinata dall’assenza di glaciazioni che ha permesso ad animali e piante di sopravvivere, mentre era impossibile farlo altrove. Oltre a conservare intatto il parco Yasuní, la mancata estrazione del petrolio eviterà l’immissione in atmosfera di qualcosa come 410 milioni di tonnellate di C02.

Gli interessi generati dal fondo saranno investiti per la conservazione del parco stesso e per quella di una quarantina di altre aree naturali in territorio ecuadoriano. A beneficiare dell’iniziativa saranno però anche programmi sociali ed energetici alternativi. La priorità verrà assegnata proprio alla promozione della salute e dell’educazione degli indigeni della foresta amazzonica, duramente colpiti dalle conseguenze dello sfruttamento petrolifero degli ultimi decenni.

L’accordo, nei programmi del governo centrale, dovrebbe inoltre contribuire a porre fine, quantomeno nel lungo periodo, alla dipendenza dell’Ecuador dal petrolio. Il Paese, membro dell’OPEC, esporta quotidianamente poco meno di mezzo milione di barili di petrolio, proveniente principalmente da giacimenti situati nella regione amazzonica orientale e trasportati sulla costa del Pacifico da due oleodotti.

Nel frattempo, il caso del Parco Nazionale Yasuní sancisce un nuovo possibile modello di sviluppo, auspicabilmente esportabile in altre realtà. Una soluzione condivisa tra le diverse componenti di una società democratica che fornisce una chiara alternativa ai meccanismi di mercato fissati dal Protocollo di Kyoto - e dal trattato che lo dovrebbe sostituire nel prossimo futuro - per il contenimento delle emissioni inquinanti nell’atmosfera.

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