di Carlo Musilli

Dopo aver tinto di nero l’acqua del Golfo del Messico, la più famigerata fra le compagnie petrolifere del pianeta ha cambiato elemento. È passata all’aria. Purtroppo, infatti, la Bp non si limita ad estrarre petrolio. Il greggio succhiato dalle piattaforme oceaniche come la Deepwater Horizon, esplosa lo scorso 20 aprile, viene spedito sulla terraferma per essere lavorato nelle raffinerie. Una di queste si trova nella cittadina portuale di Texas City. Ed è qui che la Bp ha combinato il suo ultimo disastro.

Per 40 giorni, un guasto ad un dispositivo dello stabilimento ha causato la dispersione nell’atmosfera di 250 tonnellate di gas tossici. Compreso il benzene, altamente cancerogeno. Gli uomini della Bp erano perfettamente consapevoli di quanto stava accadendo. Irreprensibili come sempre, non hanno fatto assolutamente nulla. Interrompere i lavori della raffineria per riparare il guasto, infatti, sarebbe stato troppo costoso. Molto più conveniente la strada opposta: alzare i ritmi per cercare di bruciare il gas prima che si disperdesse. Un espediente astuto ma inefficace. Il gas era troppo. Agli ingegneri Bp capita spesso di sopravvalutarsi.

E le persone che abitano e respirano in quella zona? Né loro, né le autorità locali sono state avvisate del pericolo. L’hanno  capito da sole quando hanno iniziato a tossire. La Bp ha ammesso il guasto soltanto due settimane dopo averlo riparato. Un po’ come certi bambini che dopo la marachella fanno finta di niente e, davanti all’evidenza, ti guardano circospetti per capire quanto sei arrabbiato.

In risposta, gli abitanti di Texas City hanno presentato alla compagnia una class action da 10 miliardi di dollari. Il procuratore generale Greg Abbot ci ha messo del suo, multando la Bp per 600 mila dollari. Spiccioli per la merenda, se le tasche sono quelle di un colosso del petrolio, ma le buone intenzioni sono sempre lodevoli.

La Bp però non ci sta a recitare sempre la parte del lupo cattivo e si difende sostenendo che le sue cinque centraline per il controllo dell’aria non hanno mai segnalato un livello eccessivo d’inquinamento. Gli ambientalisti fanno notare che cinque centraline sono una miseria. E poi c’è sempre la questione dei sintomi. Escludendo piaghe bibliche e maledizioni stregonesche, i vapori tossici della Bp sembrano una spiegazione piuttosto plausibile all’impennata di malattie registrata nella cittadina texana. Tosse, dissenteria, insufficienze respiratorie. In quasi tutte le famiglie residenti nella strada più vicina alla raffineria si è ammalata almeno una persona. “Sono angosciata all’idea che un giorno i miei figli si ammalino di qualcosa che avremmo potuto prevenire se qualcuno ci avesse avvistato in tempo”, ha detto una donna del posto.

Le avventure della compagnia petrolifera più amata dagli americani non sono ancora finite. Vale la pena di ripercorrere il passato per mettere a fuoco quello che succede oggi. Il New York Times ricorda che cinque anni fa, nella stessa raffineria di Texas City, un’esplosione aveva causato la morte di 15 persone e il ferimento di altre 170. Per l’incidente, l’amministrazione federale multò la Bp per 87 milioni di dollari. La compagnia, forse spinta da quanto accaduto negli ultimi 5 mesi, si è decisa a pagare soltanto pochi giorni fa, arrivando ad un forfait (si fa per dire) di 50,6 milioni. Se questo ancora non fosse abbastanza, nel 2009 la raffineria è stata denunciata, ancora una volta, dal procuratore generale, per aver violato ben 72 volte nei cinque anni precedenti il limite di inquinamento atmosferico consentito.

Tutto questo aiuta a farsi un’idea di quanto la Bp si preoccupi di manutenzione, controlli e sicurezza. Ma il punto non sembra tanto l’incompetenza di tecnici e ingegneri, quanto la malafede, l’indifferenza di chi sa che un’eventuale punizione è un rischio accettabile rispetto al sicuro profitto. Di fronte a un’equazione così sbilanciata, delle regole si può fare a meno, e tutte le scelte diventano improvvisamente semplici.   
      

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