di Sara Michelucci

Maternità, questione femminile, guerra e democrazia. Le Arie che Lella Costa porta in teatro (prima al Carcano di Milano, poi al Secci di Terni) portano con loro una serie di tematiche e questioni di grande rilievo, che l’attrice affronta in maniera ironica, alludendo alla musica e al non prendersi troppo sul serio. Ma allo stesso tempo, mettendo l’accento su alcune questioni che attraversano la vita di tutti.

È ancora quello femminile il sesso debole? Quando è ora che una madre lasci andare i propri figli alla scoperta del mondo? Quando finirà il dramma della guerra?

Tre sedie, luci soffuse e la musica che, insieme alle parole dell’attrice, fanno di questo spettacolo un divertente modo di guardare alla vita.

I copioni degli spettacoli, la Costa li definisce più degli spartiti ed è da qui che nasce un sodalizio con la musica che la porterà nel marzo del 2010 a ottenere da gli Amici del Conservatorio di Milano il premio Una vita per la musica. Così l’attrice ha deciso di riprendere tra le mani i copioni dei suoi vecchi spettacoli, da Ragazze a Adlib, ma anche Stanca di guerra, scoprendo che c’era al loro interno la costante presenza della musica, non solo come semplice colonna sonora, ma come voce altra. E da qui la volontà di riproporre queste romanze recitate, per rimettere vicini momenti che sembrano in apparenza lontani.

A tutto questo materiale scritto, si somma il lavoro con musicisti come Paolo Fresu, Stefano Bollani, Rita Marcotulli, Furio Li Castri, e via dicendo. I suoi sono monologhi che sapientemente riescono a alternare ironia e serietà, comicità e drammaticità, per affrontare quelle che sono le dinamiche che muovono la società e il rapporto tra gli individui.

Un po’ Alice nel Paese delle Meraviglie e un po’ Traviata, Lella Costa si destreggia magistralmente tra le parole e le musiche che l’accompagnano, rivolgendosi sovente direttamente al pubblico per renderlo partecipe, instaurando quasi una sorta di dialogo.

Ma lo spettacolo non parla mai direttamente di attualità, ma pesca più nella tradizione e nei miti passati. Non sarà un caso, allora, che la conclusione venga affidata allo splendido testo di Pericle, Il Discorso agli Ateniesi, del 461 a.C., dedicata in questa sua trasposizione contemporanea a un’Italia impaurita e preda degli eventi, ma che può risollevarsi.

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