di Liliana Adamo

Sua Eccellenza, Signor Presidente,
il sottoscritto Taha Mohammad al-Shadhli desidera metterla a conoscenza dell’ingiustizia e del torto subito agli esami di ammissione all’accademia di polizia, da parte del signor generale capo della commissione d’esame. Ha detto il Profeta, che Dio lo benedica e gli dia pace:
“Che siano puniti coloro che salvano il ricco che ha rubato e castigano il povero, come avveniva prima dell’islam. Se Fatma la figlia del Profeta dovesse rubare, che le venga tagliata la mano. Abbiate fede nella parola del Profeta”.
Signor Presidente, ho studiato con impegno fino a diplomarmi con la votazione di 89/100 in materie umanistiche e con l’aiuto di Dio ho superato tutte le prove di ammissione all’Accademia di polizia. Signor Presidente le sembra giusto che mi venga vietata l’immatricolazione all’accademia di polizia solo per il fatto che mio padre, uomo povero e onesto, lavora come portiere? Non è forse una professione rispettabile?
Signor Presidente la prego di leggere questa denuncia con gli occhi di un padre affettuoso che non consentirebbe mai che sia fatta un’ingiustizia nei confronti dei suoi figli.
Signor Presidente il mio avvenire è nelle sue mani. Confido nella sua generosa imparzialità. Che Dio le conceda lunga vita.
Il suo sincero figlio Taha Mohammad al-Shadhli.


Per chi avesse letto per intero questa (splendida) narrazione, saprà che Taha, respinto dalla società civile egiziana perché figlio del portiere di Palazzo Yacoubian, finirà per infoltire le già gremite milizie islamiche, invece che fare il poliziotto come ambiva.

Ma “Palazzo Yacoubian” non è solo il libro (poi diventato film con la regia di Marwan Hamed), più famoso e controverso mai pubblicato nel mondo arabo (così come discusso è il suo autore, Ala Al-Aswani), l’opera più letta dopo il Corano (e il parallelo ha davvero dell’incredibile, antitesi del contraddittorio), è una dissacrante radiografia di un Egitto mai oleografico e turistico, lontano dai fasti del passato e dal conformismo di tanta retorica sciovinistica.

Racconta invece, con sarcasmo variopinto e realismo, uno spaccato emblematico di una società, quell’egiziana moderna, retroflessa e disordinata, dominata dall’ipocrisia, quanto da un capillare, inestricabile sistema di corruzione; un paese intrappolato in una rassegnazione quiescente, in un sistema atavico e farraginoso che finisce per fuorviare le stesse vite dei protagonisti, metafora della società civile. Come qualcuno ha scritto, “il best seller del mondo arabo risiede in un palazzo satanico…”. 

Da “Palazzo Yacoubian” alla primavera araba di Piazza Tahrir, il passo è breve e da columnist sui giornali d’opposizione, Ala Al-Aswani, co-fondatore del Movimento Kifaya (Basta), ha raccolto i suoi articoli, pubblicandoli in “La rivoluzione Egiziana” (Feltrinelli 2011).

Lui stesso si è recato in quella piazza, la più importante del Cairo, tra via Qasr al-Ayn, via Tal At Harb e via Qasr el Nil, nei pressi della metropolitana (fermata Sadat), dove si erge una grande statua ottomana e oltre, la moschea di Omar Makram. Dal 29 gennaio 2011, per diciotto giorni consecutivi, ha vissuto tra la piazza e quelle strade, “eccetto le poche ore di sonno che mi sono concesso e a dei momenti in cui sono andato a controllare come stesse la mia famiglia…”. E finalmente, a protestare contro l’annosa tirannia di Hosni Mubarak, ha incontrato i “nuovi egiziani”…

Ciò che è accaduto dopo quei momenti unici nella storia, drammatici e straordinari, è cronaca degli ultimi anni; come altri intellettuali e senza sottintesi, Al-Aswani si è schierato a favore della destituzione del presidente Mors?, del nuovo governo guidato dal generale Al-S?s?, della (brutale) repressione ai Fratelli Musulmani.

Un’islamizzazione radicale in Egitto? Più rischiosa di un’occupazione militare, a tal punto d’affermare perentoriamente di come “L’esercito mi ha anche processato, ma i Fratelli Musulmani sono terroristi”. E dunque? E dunque, alla lunga, prevarrà il popolo…Quel popolo di “nuovi egiziani” e tra i giovani di Tahrir c’è anche linfa per Cairo Automobil Club, suo ultimo lavoro, da poco pubblicato in Italia.

“La rivoluzione è un cambiamento umano. Ci sono state continue ondate di creatività, dopo il 1919 sono nati grandi creativi e poi dopo il 1952. Vedo cinema e arte in ottimo stato. Per questo ho un seminario settimanale per giovani scrittori, come il poeta Mustafa Ibrahim e vedo nuovi documentaristi e registi in grado di liberare la televisione. Credo che abbiamo presentato un modello all’umanità, superando una dittatura in modo pacifico: quando ci sono trenta milioni per le strade, loro hanno l’autorità. Ci sono stati milioni di contestatori contro la guerra in Iraq ma nulla è cambiato, invece qui, abbiamo dimostrato che l’autorità risiede nel popolo…”.

Dopo i fatti accorsi durante il 2013 (la destituzione del presidente Morsi, le proteste, gli arresti, le stragi indiscriminate, l’ombra lunga della guerra civile…), può apparire alquanto singolare agli occhi di un occidentale, se parte sostanziale dell’intellighenzia egiziana, a conti fatti, si schieri sempre più con l’esercito. Dichiarazioni simili a quella di Ala Al-Aswani, sono state riportate da Ahmed Mourad, il giovane autore di “Vertigo”, come dell’anziano e combattivo Sonallah Ibrahim, artefice di “La Commissione”, romanzo scritto nel 1981, fortemente critico verso i regimi autoritari arabi…

Tuttavia, è evidente di come i Fratelli Musulmani (democraticamente eletti), abbiano, a un certo punto, cancellato la Costituzione nel momento in cui, secondo lo scrittore, Mors? si è comportato come “un sultano turco” e se in democrazia il diritto all’impeachment (con tanto di raccolta di firme e manifestazioni nelle piazze), è tutt’altro che un elemento evasivo, l’esercito, per Al-Aswani, ha protetto il paese prima che si trasformasse in un’altra Libia o in un’altra Siria.

In “Cairo Automobil Club”, lo scrittore ci presenta una monarchia dispotica nell’Egitto degli anni Quaranta, ma, nel mal comune… anche in democrazia il rischio è nella corruzione. Non basta il controllo ferreo sulle entrate e uscite di denaro pubblico, ma un governo del popolo, giacché tale, urge di un vitale bisogno nel ricambio delle idee e persone, di partecipazione attiva per tutti gli strati sociali, senza emarginazione alcuna. Un sogno, nell’attuale scenario geopolitico e non solo in Medio Oriente. “Guardo ai paesi del Nord Europa, come esempio evidente di democrazia: Danimarca, Svezia e Norvegia…”.

Facoltoso dentista e scrittore “povero”, Al-Aswani conosce alla perfezione il contesto in cui colloca il suo ultimo libro, poiché in quel Cairo Automobil Club, suo padre vi aveva svolto la professione di avvocato. In un Egitto monarchico, in realtà governato dal protettorato britannico, l’Automobil Club è luogo esclusivo, dove, colonialisti arricchiti ostentano la loro protervia, onorati dalla presenza di un re fantoccio quanto dissoluto, strumento occulto di un visir corrotto, sottomesso con i potenti, tirannico con gli egiziani.

I “servi” che gravitano in questo entourage, braccati, mal pagati, malmenati, oltremodo, sono costretti a versare tangenti per lavorare e sostenersi, delineando, insomma, quei personaggi universali (quasi alla Victor Hugo), dove si muore di stenti ma anche per umiliazioni. Da questo microcosmo mefistofelico nascono i primi bagliori di una “rivolta” clandestina, fomentata da una donna, “pasionaria” e anticonformista, da un principe “primula rossa”, cui si uniscono giovani che chiedono “rispetto”, pronti ad affrontare il carcere e la morte pur di riscattare l’Egitto.

Ma i veri impulsi all’ipocrisia, all’inettitudine e al disprezzo per il dolore altrui (una sorta di cattiveria sociale), sono magistralmente descritti in un romanzo - diario (I quaderni di ‘Issam ‘Abd Al-‘Ati), unitamente a una raccolta di racconti brevi. “Se non fossi egiziano”, pubblicato trentatré anni dalla sua ideazione e soltanto grazie al successo mondiale di “Palazzo Yacoubian”, è un’opera già matura e complessa, contrastata e ripetutamente rifiutata dall’allora Ente Egiziano del Libro, perché “nociva al prestigio della nazione…”.

“Se non fossi egiziano, egiziano vorrei essere”: dall’assioma del nazionalista Mustafa Kàmil, Ala – Al Aswani, pone una connotazione ironica che ne ribalta completamente il significato. Da questi undici racconti e undici protagonisti, il ritratto dell’Egitto di oggi che ne vien fuori è impietoso: lontano dal forestierismo cultural - turistico, dalla retorica “impegnata”, ripiegato su un’umanità piccolo-borghese improduttiva, ineluttabilmente allo sbaraglio, priva d’identità, chiusa in una facciata d’onorabilità ma moralmente abbietta.

Il personaggio di Issam ‘Abd Al-‘Ati, nel Diario, è memorabile: un giovane colto e sensibile, fiaccato dal dispotismo ipocrita della società che lo circonda, un ricercatore presso l’Ente nazionale per la chimica, elefantiaco agglomerato di funzionari corrotti, d’impiegati mediocri e servili, disposti a tacere sulle prevaricazioni subite dai propri colleghi.

La storia si apre con una lunga, articolata disquisizione sull’assioma di Mustafa Kàmil, quel Se non fossi egiziano, egiziano vorrei essere… “prototipo di una partigianeria tribale […] idiota…”, sui vizi e l’inettitudine della classe dirigente e dell’intera società egiziana: la figliata difettosa e guasta di una soldataglia vincitrice […] accoppiata con una massa servile e sconfitta”.

Come Taha e gli altri protagonisti di “Palazzo Yacoubian”, come Hatim, giornalista inappuntabile ucciso dal suo amante nubiano Abdu, o il vecchio Zaky, tiranneggiato dalla sorella e sedotto da una giovane povera e bellissima, anche Issam, sarà destinato a soccombere, stritolato dai meccanismi di un sistema illiberale, corrotto fin dalle viscere.



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