di Laura Bruzzaniti

Pacifisti (intelligenti) nel Comitato di Amministrazione delle industrie delle armi. Pacifisti che fanno da consulenti ai direttori di banca. E' questo l'invito lanciato da Giorgio Beretta, della Campagna BANCHE ARMATE, durante il convegno per i sei anni di attività, sabato scorso a Roma.
La campagna, nata nel 1999 per iniziativa di tre riviste cattoliche (Nigrizia, Missione Oggi e Mosaico di Pace) e dell'Associazione Finanza Etica, oltre a tracciare un bilancio del suo operato, chiede alle banche di essere trasparenti sui loro legami con l'industria delle armi e propone una lettera tipo da inviare alla propria banca per avere chiarimenti. Non ci sono grandi mezzi, né testimonial famosi, ma l'idea si diffonde: qualcuno scrive al direttore, qualcuno chiede un incontro, chi non è soddisfatto chiude il conto e c'è anche chi festeggia la chiusura del "conto armato", con brindisi e torta davanti alla filiale della banca.

di Alesandro Iacuelli

gazprom E' appena iniziato il 2006, quando il direttore generale della World Trade Organization, Pascal Lamy, afferma: "These countries should pay today's market prices for their energy to improve the efficiency of their economies", aggiungendo che "così funziona il mercato". Ma stavolta a fare orecchie da mercante è il governo ucraino.
L'Ucraina - a detta di Yushenko - non aveva ricevuto spiegazioni fondate per quelle tariffe ma la risposta di Gazprom accusava il governo ucraino di "furto" di gas ed annunciava di essere pronta a portare le prove davanti alla comunità internazionale. Secondo il portavoce della compagnia russa, l'Ucraina aveva iniziato a effettuare "prelievi abusivi sul gas destinato ai consumatori europei".

di Fiammetta Portinari

Sono un esercito, quasi due milioni di italiani. Berlusconi non conosce la loro esistenza. L'Istat, pure, li ignora, fedele al dettato del premier che vuole propagandare un'economia del Paese che è forse quella delle suoi conti alle Cayman, non certo quella delle tasche degli italiani. La favola recita: l'Italia va bene, il Pil cresce, anche se piano; le retribuzioni salgono addirittura del 3,2% e guai a chi dice che non si riesce a risparmiare perché "tutti hanno una casa di proprietà e cellulari in abbondanza". Come dargli torto? Basta guardarsi intorno. Già, perché fino ad oggi questi due milioni di poveri hanno cercato in ogni modo di non farsi scoprire, con molta dignità e un pizzico di vergogna, tirando la cinghia sulla spesa, rinunciando alla vacanze, facendo economia su tutto il possibile e tentando comunque di mantenere lo stesso stile di vita, almeno all'apparenza. Poi, però, per loro - come per molti altri che li seguiranno di qui a breve - quella manciata di spiccioli che per consuetudine chiamano gli stipendi, sono finiti.

di Raffaella Angelino

Palazzo Koch Con l'uscita di scena del monarca Antonio Fazio, a Palazzo Koch s'insedia un governatore a tempo. Mario Draghi, il "privatizzatore", un passato alla direzione generale del Tesoro, passa da una banca d'affari - la Goldman Sachs - alla banca centrale italiana: un fenomeno sconosciuto alle stelle dell'Europa, meno alle stelle e strisce americane. Come sempre accade in Italia, paese "anormale", sull'onda dell'emergenza è stato approvato un provvedimento che prevede il mandato a termine per l'inquilino di via Nazionale (sei anni), rinnovabile una sola volta. Dopo due anni di tormentato iter parlamentare, infatti, la legge a tutela del risparmio ha raggiunto il traguardo finale.

di Ilvio Pannullo

"Siamo di fronte a una crisi per la nostra sopravvivenza", ha detto Herman Van Rompuy, Presidente permanente del Consiglio Europeo, durante un discorso tenutosi l'altro ieri a Bruxelles. "Dobbiamo lavorare tutti insieme per permettere alla zona euro di sopravvivere. Infatti, se l'euro non sopravvive, neanche l'Unione europea sopravvive". Per non uccidere anche la speranza il capo del governo europeo ha anche aggiunto che ha "fiducia che supereremo questo momento", ma l’aria che si respira nei corridoi delle principali istituzioni europee non è delle migliori.

Tradotto, va male. Piove freddo sull’Europa e piove sul bagnato sul nostro povero paese. Il fondo di stabilità europeo che dovrebbe intervenire in caso di crisi finanziaria di uno degli Stati membri dell’Unione Economica e Monetaria ha mostrato i suoi limiti ancora prima di essere utilizzato: nessuno è infatti convinto che Grecia, Irlanda e Portogallo saranno salvate senza una profonda ristrutturazione del loro debito. A fare le spese di questo scetticismo sono anche i titoli pubblici di Spagna e Italia che, in settimana, hanno fatto registrare nuovi record di rendimento.

L’instabilità produce insicurezza e l’insicurezza affonda la fiducia dei mercati che, per essere rassicurati, chiedono agli Stati sovrani tassi di rendimento sempre più alti per rifinanziare i loro debiti. Germania e Francia sono consapevoli che presto il mercato chiederà di mettere nuovamente mano al portafoglio - dopo il caso Irlanda - per rifinanziare anche le casse portoghesi, l'alternativa sarebbe una crisi immediata dei titoli spagnoli e italiani con conseguenze imprevedibili.

Si tratta di capire quanti altri sacrifici Angela Merkel e Nicolas Sarkozy sono ancora disposti a chiedere ai loro elettori. La sovranità nazionale di Portogallo, Grecia, Italia, Spagna e Irlanda si è spostata sull'asse Berlino-Parigi. Se l’Europa continentale dovrà pagare per risolvere i problemi creati dall’inesistente altrui credibilità finanziaria, la macellazione dei maiali europei - c’è da scommetterci - sarà equanime e senza pietà.

Il governo italiano può vantare un certo contenimento delle spese ma non una finanziaria e un programma economico all'altezza della situazione. Era chiaro da tempo che il Pil italiano quest'anno non sarebbe cresciuto più dell'1%, lo stesso dicasi per quanto riguarda il 2011 e il 2012, mettendo in crisi le entrate fiscali e le prospettive di riduzione del debito promesse dal sempre troppo ottimista Ministero dell'Economia. Era quindi inevitabile che il differenziale di rendimento tra i Buoni del Tesoro Pluriennali (Btp) e i Bund tedeschi arrivasse al massimo dalla nascita dell'euro.

Se la febbre si potesse misurare in punti base, potremmo dire che l'Italia ha 37 e mezzo, ma non sta usando le giuste medicine per evitare che l'influenza peggiori diventando una polmonite. Berlusconi che lascia il vertice del G20 senza rispondere alle domande dei giornalisti mentre sui mercati dei debiti europei imperversa la bufera, è l'immagine eloquente di un paese che si avvia a una lunga stagione elettorale, dimenticando i problemi del suo enorme debito pubblico.

L’approvazione della finanziaria non basterà a tranquillizzare gli investitori internazionali, anche perché i dati di venerdì della Banca d'Italia non solo fotografano un paese con il debito pubblico che continua a battere nuovi record, ma segnalano anche una preoccupante diminuzione della cassa: meno 10 miliardi nel solo mese di settembre.

Palazzo Kock, nel supplemento di finanza pubblica al Bollettino statistico, ha reso infatti il dato sul debito pubblico nel mese di settembre, che è salito ancora a 1.844,8 miliardi di euro dai 1.842,9 miliardi di agosto. A settembre dello scorso anno era a 1.789,8 miliardi. Ma non è l’unica brutta notizia per le nostre finanze, perché dai dati resi noti emerge che nei primi nove mesi del 2010 le entrate tributarie sono state pari a 266,077 miliardi di euro, con un calo dell’1,8% rispetto allo stesso periodo del 2009.

Frena anche la crescita della nostra economia. Il prodotto interno lordo, nel terzo trimestre del 2010 è aumentato solo dello 0,2% rispetto al trmestre precedente e dell’1,0% rispetto al terzo trimestre del 2009. I dati sul Pil sono dunque inferiori rispetto alle aspettative degli investitori, che si attendevano un rialzo perlomeno dello 0,4% su base trimestrale e dell’1,2% su base annua.

Insomma, sia che lo sbocco della crisi di governo porti ad un nuovo esecutivo sia che porti alle elezioni, il mercato si aspetta che al paese venga detta la verità e soprattutto che sia varata una politica economica che faccia uscire l’Italia dall'angolo prima che sia troppo tardi. La politica di Berlusconi del "tiriamo a campare" prodotta da quando questo governo ha ottenuto la fiducia delle Camere (una fiducia sostenuta - è bene ricordarlo sempre - dalla più ampia maggioranza parlamentare della storia della Repubblica italiana), con due finanziarie che contenevano ma non eliminavano lo sbandamento dei conti pubblici, è sempre meno adeguata ai tempi che ci apprestiamo a vivere.

Ma nessuna forza politica però ha il coraggio di parlare, specialmente ora che aleggia aria di campagna elettorale, di riduzione della spesa corrente, di inasprimento delle regole e delle sanzioni per evasori ed elusori ed investimenti pubblici limitati a progetti per lo sviluppo. L'attuale classe politica, di maggioranza e di opposizione, sarà all'altezza di questa complicata situazione? Già da questa settimana gli investitori inizieranno a fare le loro scommesse e la risposta non tarderà ad arrivare.

 


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