di Ilvio Pannullo

Più vigilanza e più trasparenza. Ruota attorno a queste due indicazioni il rapporto presentato, in questi giorni, ai ministri dell'Economia e delle Finanze dei sette Paesi più industrializzati del mondo dal Financial Stability Forum, presieduto dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi. Draghi ha illustrato le linee guida del rapporto del Financial Stability Forum, presentato venerdì al G7: “Si tratta di un primo passo per evitare il ripetersi degli stessi rischi in futuro”. Il governatore, infatti, ha precisato che è “difficile” dire quando questa crisi terminerà. “La lezione imparata è che siamo convinti che grazie a incentivi perversi, il sistema aveva accumulato leverage eccessivo”, ha proseguito Draghi, evidenziando come la crisi si è manifestata in ogni Paese in modo diverso e come, quindi, ci debbano essere risposte diverse per ogni Paese. Il salvifico dossier di circa 70 pagine entra nel dettaglio delle cause che hanno messo “sotto stress” il sistema finanziario a seguito della crisi dei mutui subprime statunitensi, e fornisce oltre 65 suggerimenti operativi che dovrebbero, secondo i redattori, essere sufficienti a ridare fiducia al mercato ed avviare l'uscita dal tunnel delle turbolenze che stanno compromettendo anche lo sviluppo economico mondiale.

Da qui i cinque punti principali in cui si articolano le numerose raccomandazioni, partendo dal “rafforzamento della vigilanza prudenziale sul patrimonio, sulla liquidità e sulla gestione del rischio” e proseguendo con il “potenziamento della trasparenza e della valutazione”, le “modifiche nel ruolo e nell' utilizzo dei rating”, il “rafforzamento della risposta ai rischi da parte delle autorità”, i “meccanismi robusti per gestire le tensioni nel sistema”. Insomma pare più un libro dei sogni, l’incarnazione di un “vorrei ma non posso”, piuttosto che un serio piano per riportare in sicurezza un mercato, quello mondiale, che è tutto tranne che sicuro.

Tra le raccomandazioni spiccano quelle sulla trasparenza come l'obbligo per collocatori, gestori e agenzie di rating, alle quali si chiede di “migliorare la qualità dei processi”, di dare la massima informazione su ciascuno stadio delle cartolarizzazioni. Cosa questa assolutamente impensabile fino a quando il rating - e cioè il metodo utilizzato per classificare sia i titoli obbligazionari che le imprese in base alla loro rischiosità - sarà demandato a società private, che per definizione hanno come unico scopo la massimizzazione del profitto e l’aumento dei dividendi e non certo la stabilità del mercato e la trasparenza del loro operato.

Il rapporto, ovviamente, non dice una sola parola sul tema dell'intervento pubblico nel salvataggio delle banche in difficoltà. Quello stesso intervento pubblico che a novembre dell’anno passato ha evitato, in Inghilterra, che il fallimento della Nothern Rock causasse una crisi di proporzioni storiche nel mercato del credito.
Lo stesso esimio Padoa-Schioppa non ha negato che nei mesi passati il sistema finanziario sia passato attraverso situazioni di crisi acuta, che hanno fatto scattare una reazione decisa delle banche centrali, in particolare la Federal Reserve. "La Fed - ha detto l’ormai ex ministro - ha fatto cose inconsuete: ha dimostrato una prontezza e una spregiudicatezza che mesi fa non sarebbero stati previsti".

A mali estremi, estremi saranno i rimedi ci verrebbe da rispondere, considerando che la debolezza strutturale dell’economia americana rappresenta, ormai, non un elemento di instabilità, ma il pericolo numero uno per la crescita mondiale. L’avere, infatti, il debito pubblico più alto del mondo, l’essere il centro di un’economia finanziaria, quella degli Hedge Funds e degli strumenti derivati, basata su scommesse e speculazioni borsistiche e che nessun rapporto ha con l’economia reale, quella fatta di capitale, lavoro e produzione, fanno degli States una bomba ad orologeria già innescata e pronta a portarsi dietro Shangai, Hong Kong, Seul, Tokio e giù di seguito l’intera economia del vecchio continente.

Il responsabile del tesoro si è poi affrettato ad aggiungere che "non c'è stato nessun intervento in cui è stato immesso denaro pubblico nel settore privato” parlando dell'acquisto pilotato della banca di investimenti Bear Stearns da parte di Jp Morgan. "Tutta la risposta che può venire dal mercato deve venire dal mercato... un massiccio intervento pubblico (nel sistema finanziario statunitense) è fuori discussione", ha aggiunto.

Se queste sono le premesse, il punto decisivo è, quindi, uno ed uno soltanto: bisogna decidere se continuare a chiedere di risolvere un problema a chi quello stesso problema l’ha creato e da quello stesso problema trae le condizioni per garantirsi ricchezze e guadagni difficilmente immaginabili o se, invece, affidare la gestione ed il controllo del mercato alla collettività, a coloro, cioè, che dal collasso dei mercati subirebbero le conseguenze peggiori. In una situazione, infatti, dove vince chi, con i mezzi più sofisticati, riesce ad impacchettare il rischio e a girarlo al poveraccio di turno, è inevitabile il venir meno di qualsiasi forma di responsabilità.

Cercare di risolvere il problema con qualche raccomandazione priva di una qualsivoglia natura coercitiva, sa molto di presa in giro. Un po’ come dire: “Io ve l’avevo detto che la situazione non era delle migliori”. Un po’ poco per il ruolo che si ricopre, no?

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