di Giuseppe Zaccagni

Scatta nel mondo, proprio nel momento in cui i riflettori sono puntati sui giochi di Pechino, un’attenzione particolare nei confronti dell’economia cinese. Gli analisti delle maggiori banche invitano a riflettere su alcuni dati incontestabili. Quelli che rivelano che la produzione, per la prima volta da 11 anni, inizia a rallentare: il Prodotto interno lordo crescerà a un tasso inferiore al 10%; le stime governative si fermano al 9,8%, ma secondo gli esperti si potrebbe scendere fino all'8%. Intanto l’inflazione sale e i salari stagnano. Montano le tensioni sociali e politiche. Ed esplodono anche quei conflitti che sembravano domati dalla repressione poliziesca (tibetani ed uiguri). Le colpe della regressione economica - secondo autorevoli fonti di Hong Kong - sono il risultato di un calo della domanda estera e degli investimenti che segnalano l’arrivo di una bolla speculativa che è la conseguenza del fatto che la Borsa di Shangai, in questi tempi, ha già perso la metà della capitalizzazione. E questo mentre il mercato immobiliare - da sempre considerato come il boom della Cina - sta rallentando. Problemi seri per Pechino sono anche quelli legati ai prezzi alimentari che fanno registrare una crescita del 7 - 8% (con punte del 20% già viste nel 2007) colpendo, in particolare, il riso che è ancora oggi l’alimento base per l'80% della popolazione. Sono dati che allarmano, dal momento che il generale aumento dei prezzi trascina con se quello dei salari, che nel primo semestre 2008 sono cresciuti (in alcune zone e in alcuni settori) del 7,8%, e questo, di conseguenza, rende meno convenienti gli investimenti esteri che vengono spesso dirottati nel Vietnam e in Thailandia. E non si tratta solo di segnali, ma di scelte concrete e diffuse perchè tra gennaio e giugno di quest’anno la bilancia commerciale cinese rivela che il surplus si è assottigliato, anche se resta positivo per 30 miliardi di dollari.

Comunque non si è ancora - per gli investitori stranieri - al livello di guardia. Perchè in realtà nelle zone più rurali della Cina esistono aree depresse dove produrre é ancora molto conveniente perchè il livello salariale (e anche quello della tutela sociale) è notevolmente più basso della media: non a caso molte grandi società, più che di abbandonare il Paese, oggi pensano di spostare gli impianti verso l’interno.

C’è poi, sempre drammatico, il problema relativo ai salari che tengono il passo soltanto nelle zone più ricche, mentre nel resto della Cina il potere d'acquisto delle famiglie è in drastica diminuzione: a parità di potere d'acquisto si passa dai 16.500 dollari pro capite di Shanghai ai 1.700 del Guizhou. S’impone una scelta in favore di progetti nell’ambito di un welfare aggiornato e capace di colmare le differenze. Ma welfare, è chiaro, significa anche protezione e gestione dell’ambiente. Tanto che si può affermare, senza dubbi di sorta, che in tutta la Cina è allarme ecologico.

L’ultima notizia arriva mentre le Olimpiadi offuscano pagine di realtà. C’è - riferiscono gli stessi media di Pechino - una morìa di pesci nel distretto di Hangzou, causata dagli scarichi di una fabbrica. E a peggiorare gravemente le condizioni di vita non c’è solo l’inquinamento delle grandi citta, ma soprattutto quello delle falde acquifere, che sta mettendo a rischio la sopravvivenza di intere aree rurali.

Per Pechino c’è quindi l’obiettivo del che fare. E negli ambienti economici dell’Occidente si pensa ad una mossa clamorosa che i dirigenti cinesi - abituati ai giochi di prestigio - potrebbero tirare fuori dal loro “cilindro”: l'acquisizione di un colosso bancario ? industriale occidentale tenendo conto che a Wall Street sono di casa e hanno riserve per 1,8 trilioni di dollari. Ma al momento è chiaro che la Cina olimpica pensa solo a salire sul gradino più alto del podio dello sport. Quello relativo all’economia è ancora tutto in salita.

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