di Ilvio Pannullo

Dopo la pioggia di miliardi votati e spesi a tempo di record per salvare gli istituti finanziari “too big to fail”, dopo i due recenti interventi di “alleggerimento quantitativo” della Federal Reserve americana, dopo lo strozzinaggio di Grecia e Irlanda per mano e volontà della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale, nessuno può più onestamente dire di non aver capito cos’è in gioco.

Non chiamatelo più capitalismo, quello vero è un’altra cosa. Prevede grandi ricompense per chi riesce, ma anche grandi punizioni per chi fallisce. Qui invece si assiste ad un  ritorno al passato: ad una situazione che assomiglia molto a quella precedente la tanto millantata rivoluzione francese, nella quale una casta di nobili era al di sopra di tutto e non pagava mai.

I nostri Paesi non sono più sovrani, né giusti, né democratici. Forse non lo sono mai stati, ma dalla creazione della BCE e dell’Unione Economica Monetaria lo sono ancora meno. Un vero e proprio salto di qualità. La vera democrazia presuppone l’assunzione di responsabilità e un rapporto di causa ed effetto tra il popolo e gli eletti. Ora il vero potere é nelle mani di un mondo finanziario che non rispetta le regole costituite e men che meno lo stato di diritto. E che sta sancendo una pericolosa consuetudine: quella che permette alle banche di scaricare su cittadini incolpevoli le proprie colpe.

Loro sbagliano noi paghiamo. Loro risanano rapidamente, incassano bonus milionari, mentre i popoli sono costretti a subire restrizioni pazzesche per anni e forse decenni, in condizioni, talvolta, di moderna schiavitù. E chi osa protestare viene zittito con il ricatto supremo: o é così o viene giù l’Irlanda. E se viene giù l’Irlanda viene giù il Portogallo, poi la Spagna, l’Italia ed infine l’intera Comunità Europea per via di un complesso domino finanziario. Insomma la fine del mondo. Dunque meglio che pochi si sacrifichino per il bene di tutti.

La Bce dovrebbe essere chiamata a rispondere per non aver monitorato, per aver diffuso stress-test a dir poco ridicoli. Ma non succederà nulla. Il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale andrebbero messi sotto inchiesta ed essere costretti a rispondere dei loro errori. Invece, essendo sovranazionali, non sono sottoposti ad alcun tipo di controllo e di verifica. Avanza così una dittatura invisibile, che non sfida apertamente la democrazia e la sovranità nazionale, ma la svuota progressivamente di contenuti e rende i cittadini schiavi, moderni schiavi ingabbiati per sempre dalla logica del debito. Nel nome del progresso e del consumismo.

E ci siamo dentro tutti, perché non esiste un piano B per nessuno, neanche per la Germania, se si continua a giocare con queste regole. Prendiamo l’esempio del nostro paese: quando l'Italia uscirà dalla crisi, verosimilmente non prima della seconda metà del 2011 (ma c’è anche chi è più pessimista), quando quindi l'economia riprenderà a crescere in modo significativo, si verificherà infatti un forte rialzo dei tassi di interesse.

In questo momento sono artificialmente troppo bassi per non tornare ad aumentare non appena il ciclo economico si rimetterà, anche solo parzialmente, in piedi. Sui mercati internazionali si sta rovesciando una gigantesca quantità di debito pubblico, una massa enorme di titoli finanziari, cioè titoli emessi da tutti gli stati economicamente sviluppati per sostenere i  rispettivi piani di spesa pubblica. La ripresa dell'economia porterà contemporaneamente anche le imprese a riaffacciarsi sul mercato dei capitali, per richiedere prestiti o emettendo titoli obbligazionari e facendo, quindi, ulteriormente innalzare il livello dei tassi d’interesse.

Questo accadrà come inevitabile conseguenza del crescente aumento della richiesta di denaro: aumentando la domanda di liquidità, data una costante capacità di assorbimento della domanda di liquidità da parte del mercato dei capitali, il tasso a cui le somme verranno prestate non potrà che salire, anche in misura considerevole.

Ora purtroppo per l'Italia il debito pubblico rappresenta il fardello, le odiose catene che ne impediscono il libero movimento, il libero sviluppo. Il recente considerevole aumento di questo dato è dovuto al crollo del prodotto interno lordo. I due dati sono infatti fortemente correlati: quando infatti il paese cresce può verosimilmente permettersi di sostenere un più alto rapporto tra deficit e prodotto interno lordo senza correre il rischio di insolvenza. Il secondo dato da tenere in considerazione sono i tassi d’interesse: più alti sono i tassi di interesse più basso diventa il punto critico superato il quale il paese diventa tecnicamente fallito; il punto cioè in cui lo Stato non è più in grado di rimborsare le somme ricevute contro le emissioni di titoli del debito pubblico.

Quando si parla di punto di rottura del debito si fa riferimento al momento in cui i potenziali sottoscrittori del debito pubblico italiano chiederanno un tasso di rendimento così elevato da non poter essere pagato dal Tesoro. Questo scenario rappresenterebbe una tragedia per il paese, in quanto più della metà del debito pubblico italiano è nelle mani di istituzioni finanziarie straniere. È dunque inevitabile pensare che una simile caduta avrebbe ripercussioni serissime anche in tutto il continente europeo, Francia e Germania in testa.

Una cosa è certa: la fine di questa crisi segnerà un profondo cambiamento nella produzione di beni e servizi e nel loro relativo consumo. Si stima infatti, causa le pesanti perdite che hanno colpito il sistema angloamericano, che l'inestimabile ricchezza andata bruciata si tradurrà in un - 3% di capitali americani investiti in beni e servizi prodotti in Europa. È vero anche che da questa crisi sono uscite nazioni diverse, che hanno saputo meglio interpretare l'attuale congiuntura economica.

Spesso si sente sostenere che ai consumatori americani si sostituiranno i consumatori cinesi. Purtroppo, nel fare questi ragionamenti semplicistici, ci si dimentica che, ad oggi, l'economia cinese è giusto un terzo di quella americana. Per ovviare dunque a una perdita degli investimenti pari al 3% del Pil americano sui mercati europei, sarà necessario un aumento del 10% del consumo cinese negli stessi settori affinché il livello degli scambi rimanga invariato. Cambiando dunque i consumatori sarà inevitabile il cambiamento anche dei beni e dei servizi richiesti. Le richieste saranno dunque diverse e non è assolutamente detto che a soddisfarle siano gli stessi produttori.

Non è dunque difficile immaginare che la crisi finanziaria maturata negli USA nel 2008 sarà ricordata come il punto di non ritorno, il momento storico in cui è cominciato il declino dell’impero per far posto ad un nuovo assetto degli equilibri mondiali. A livello economico oramai il primato è passato nelle mani dell’Oriente, con la Cina in testa e subito dietro India e Vietnam.

È invece difficile immaginare che l’impero anglo-americano accetti passivamente questo ridimensionamento. Lasciando da parte per ora eventuali scenari terribili e sicuramente non azzardati come quello di una possibile follia sionista che, spalleggiata da un impero in caduta libera, azzardi un attacco all’Iran per riaffermare l’ordine mondiale uscito dalla seconda guerra mondiale e cristallizzato nelle decisioni prese a Bretton Wodds, toccherà vedere quale ruolo vorrà giocare l’Europa in questa nuova fase.

Lungi dal potersi permettere ancora di scadere in facili soluzioni nazionaliste, il continente europeo sarà messo nelle condizioni di dover scegliere se continuare ad essere solo un gigante economico, un nano politico ed un verme militare o, visti anche i rischi che corre di un forte ridimensionamento proprio sul lato economico, fare un salto di qualità ed abbracciare con fiducia una prospettiva politicamente unitaria e federalista.

 

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