di Ilvio Pannullo

Non si sono ancora spenti i riflettori delle news dei media allineati sul caso Irlanda che già iniziano i campanelli d'allarme sulla tenuta dei conti pubblici della Spagna e sulla necessità del salvataggio. I credit default swaps (CDS) sul debito del Portogallo sono schizzati di 40 punti base al picco di 542 punti - in base ai dati riportati dall’agenzia Bloomberg - e quelli sulla Spagna hanno segnato un rialzo di 22,25 punti al nuovo massimo di 336 punti.

In aumento anche i CDS sull'Italia con un incremento di 14 punti base a 230, il livello più alto da almeno sei mesi, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta che, forse in astinenza per la mancata somministrazione coatta di ottimismo, si dice “preoccupato”. C’era ovviamente da aspettarselo. Insomma nulla di nuovo, anche se è proprio di qualcosa di nuovo che si dovrebbe iniziare a parlare.

In un momento di transizione, di forte incertezza, d’instabilità per le economie di mezzo mondo come quello che stiamo vivendo, è opportuno, infatti, oltre ad analizzare i problemi e le condizioni che hanno reso possibile il loro verificarsi, analizzare anche le possibili soluzioni, magari cercando delle alternative ai dogmi che hanno fino ad oggi dominato la scena nei mercati internazionali. Un ottimo spunto lo si può trovare nel lavoro dell’economista Elinor Ostrom, che il 12 ottobre 2009 è stata insignita del Premio Nobel per l'economia, insieme a Oliver Williamson, per l'analisi della governance e in particolare dei beni comuni.

Il premio Nobel a Elinor Ostrom riconosce l'importanza di aver ipotizzato l'esistenza di una terza via tra Stato e mercato ed è forse anche il segno che negli ambienti accademici s’inizia finalmente a sentire l’esigenza di un’alternativa.  Perché è tutto quello di cui abbiamo bisogno: tornare ad immaginare un’alternativa. Un mondo nuovo, diverso, impromettibile, ma in quanto già pensato una consolazione, un dovere, un imperativo.

Quella della Ostrom è infatti una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione "comunitaria" dei beni possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Una lezione di particolare importanza oggi, a proposito dei beni collettivi globali come l'atmosfera, il clima o gli oceani. Ma molto significativa anche per l'attuale crisi finanziaria, che si può leggere come il saccheggio di una proprietà comune: la fiducia degli investitori.

Uno dei dogmi fondativi della moderna economia dell’ambiente è la cosiddetta “tragedy of the commons”, risalente a Garrett Hardin. Secondo questa impostazione, se un bene non appartiene a nessuno ma è liberamente accessibile, vi è una tendenza a sovrasfruttarlo. L’individuo che si appropria del bene comune deteriorandolo, infatti, gode per intero del beneficio, mentre sostiene solo una piccola parte del costo in quanto la grande parte di questo verrà socializzato.

Poiché tutti ragionano nello stesso modo, il risultato è il saccheggio del bene. Analogamente, nessuno è incentivato a darsi da fare per migliorare il bene, poiché sosterrebbe un costo a fronte di un beneficio di cui non potrebbe appropriarsi solo che in parte. Per trovare qualche esempio basterà affacciarsi dal balcone di casa ed osservare come vengono gestiti gli spazi pubblici.

Il ragionamento di Hardin partiva dall’esempio delle enclosures inglesi, precondizione della Rivoluzione industriale. La recinzione delle terre comuni, in questa visione, costituiva il necessario presupposto di una gestione razionale ed efficiente: mentre in regime di libero accesso il pascolo indiscriminato stava portando alla rovina del territorio, il proprietario privato, in quanto detentore del surplus, aveva l’interesse a sfruttare il bene in modo ottimale e a investire per il suo miglioramento.

Quando non vi sono le condizioni per un’appropriazione privata, deve essere semmai lo Stato ad assumere la proprietà pubblica. Solo i beni così abbondanti da non avere valore economico possono essere lasciati al libero accesso; per tutti gli altri occorre definire un regime di diritto di proprietà privato o pubblico. Il merito di Elinor Ostrom è stato quello di ipotizzare l’esistenza di una “terza via” tra Stato (il trionfo della proprietà pubblica) e mercato (il trionfo della proprietà privata), analizzando le condizioni che devono verificarsi affinché le “common properties” non degenerino.

La Ostrom prende le mosse dal lavoro di uno di quei precursori-anticipatori, troppo eterodossi per essere apprezzati nell’epoca in cui scrivevano: lo svizzero tedesco, naturalizzato americano, Ciriacy-Wantrup, che ancora negli anni Cinquanta osservava che vi sono nel mondo molti esempi di proprietà comuni che sfuggono al destino preconizzato da Hardin, come ad esempio le foreste e i pascoli alpini. Distingueva appunto le “common pool resources” (res communis omnium – beni comuni di proprietà della collettività) dai “free goods” (res nullius – semplicemente beni liberi da qualsiasi vincolo proprietario e possessorio).

Nel primo caso, pur in assenza di un’entità che possa vantare diritti di proprietà esclusivi, a fare la differenza è l’esistenza di una comunità, l’appartenenza alla quale impone agli individui certi diritti di sfruttamento del bene comune, ma anche determinati doveri di provvedere alla sua gestione, manutenzione e riproduzione, sanzionati dalla comunità stessa attraverso l’inclusione di chi ne rispetta le regole e l’esclusione di chi non le rispetta.

Su queste fondamenta poggia l’edificio concettuale della Ostrom, la cui opera più importante, Governing the Commons, sviluppa una teoria complessiva che identifica le condizioni che devono valere affinché una gestione “comunitaria” possa rimanere sostenibile nel lungo termine. Il lavoro di Ostrom trova anche punti di contatto con la teoria dei giochi: in particolare con quei filoni di ricerca che, attraverso il concetto di gioco ripetuto, mostrano come gli esiti distruttivi e socialmente non ottimali (equilibri di Nash, di cui la stessa “tragedy of the commons” è in fondo un esempio) possano essere evitati se nella ripetizione del gioco gli attori “scoprono” il vantaggio di comportamenti cooperativi, che a quel punto possono essere codificati in vere e proprie istituzioni.

Un po’ quello che è accaduto con la crisi dei subprime, dove i mercati di tutto il mondo hanno potuto sperimentare quanto la regola generale dell’avidità e del profitto ad ogni costo possa provocare danni irreparabili per gli stessi attori del gioco.

È interessante anche notare come il “comunitarismo” della Ostrom trovi qui un punto di contatto con “l’anarchismo” antistatale; ma Ostrom enfatizza piuttosto l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e rispettate in quanto percepite come giuste e non per un calcolo di convenienza. Non risulta che Ostrom si sia mai occupata di finanza, ma è quanto meno singolare la coincidenza del premio con la ri-scoperta dell’importanza del capitale sociale e delle regole condivise per il buon funzionamento dei mercati. La crisi finanziaria che stiamo vivendo, infatti, altro non è che un esempio di “saccheggio” di una “proprietà comune”, la fiducia degli investitori, per ricostruire la quale servirà qualcosa di più di una temporanea iniezione di capitale nel sistema bancario.

Sarà necessario creare le basi per una nuova fiducia fondata su nuove regole fondamentali, cristallizzate magari in nuove e più credibili istituzioni economiche internazionali. Serve cioè tornare a ragionare in modo costruttivo su di un modello di sviluppo alternativo, per tornare ad immaginare un futuro e riappriopriarci della speranza che possa essere migliore del presente.

 

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy