di Giuliano Luongo

A pochi giorni dall’approvazione del bailout per rimettere in condizioni quantomeno decenti la disastrata situazione economica irlandese, continuano a serpeggiare sospetti e dubbi sullo stato di salute dei conti dei cosiddetti paesi deboli (che già tempo fa qualche analista burlone ebbe l’idea di riunire sotto l’acronimo PIGS). Dall’inizio della settimana, abbiamo visto come l’ottimismo a giorni alterni del Commissario Europeo agli affari economici e monetari Olli Rehn ha fatto segnare un picco negativo, con l’invito al rigore fatto all’Italia per quanto riguarda la solidità dei conti statali.

Nel mentre, si continuano ad allargare i timori sul fronte iberico, dal quale Zapatero continua quasi istericamente a sottolineare (millantare?) la solidità dell’economia del proprio paese, per concludere poi con un invito ad una politica economica più integrata da parte dell’Unione, al fine di evitare la caduta in questi pozzi neri economici e finanziari di un numero probabilmente crescente di paesi.

Se quest’ultima può sembrare la tipica ovvietà che avviene in regimi di divisione delle competenze, dove si domanda sempre l’intervento - se non l’aiuto - di un qualche ente superiore per rimediare ad errori non propri, basta andare anche un minimo a fondo nei fatti per vedere come sia proprio il deficit sia normativo che di applicazione delle norme esistenti a peggiorare le situazioni causate da shock sia interni che esterni al sistema economico comunitario.

Quello che sembra mancare, in effetti, all’Europa economica (e anche politica…ed anche sociale, ma per il momento conteniamoci), sembra essere proprio una capacità di amministrazione degna di questo nome, dove i ruoli sono ben definiti e soprattutto vengono seguite linee di pensiero e comportamentali coerenti: il sistema defìcita più che gravemente di una vera leadership istituzionalizzata e continua ad essere appesantito da un sistema normativo obsoleto, poco flessibile ed eccessivamente tarato su di un rigore che rispecchiava equilibri economici e geopolitici ormai non più realistici.

Il primo problema, visto a partire dalla recente crisi greca (in teoria anche da prima, ma limitiamoci a situazioni recenti), è quello della mancanza di consapevolezza dei leader e delle istituzioni europee riguardo semplicemente quello che sta loro attorno: un tracollo come quello greco, costruito sulla base di anni di pessima gestione interna, doveva essere previsto dagli organi sovranazionali della comunità, o almeno tamponato in tempo.

Prima di attivare i “soccorsi”, i paesi “importanti” dell’Unione, Germania in primis, sono riusciti a perdere il più tempo possibile per rendere più gravoso il riaggiustamento della situazione: il loro impegno tardivo ha poi drenato talmente tanto le loro attenzioni portandoli, tramite una sorta di ridicola quanto pesante cataratta istituzionale, a non vedere per tempo il disastro che si stava perpetrando in Irlanda da due anni a questa parte.

Tutto questo proprio mentre, durante un momento difficile che influenzava il valore della moneta unica, la “cancelliera” tedesca si dilettava nel parlare del definitivo crollo del sistema euro, favorendo il terrore nei mercati, l’instabilità generale e le risate grasse di americani, britannici e nostalgici del vecchio conio.

E questo apre il secondo punto: una grande entità politico-economico come l’Unione Europea può ancora permettersi di parlare a più voci, quando anche il meno smaliziato - per non dire il più deficiente - degli operatori sa che in un ambito delicato come quello economico internazionale anche un rumor messo lì per errore o per provocazione può innescare reazioni a catena dalle conseguenze imprevedibili?

Ovviamente no, ma continuerà a farlo. In una situazione di crisi come quella attuale - ma beninteso, anche in momenti di “bonaccia” - ci si dovrebbe muovere verbalmente con i piedi di piombo, mentre invece ci limitiamo ad un insieme di grida nel vuoto provenienti dai livelli più disparati: gli stessi funzionari comunitari cambiano idea ogni due giorni, riuscendo sempre a dire il contrario di quello che verrà fuori dalla bocca del direttivo della BCE.

Terzo ordine di problemi, quelli dell’euro: ad ormai otto anni dalla sua entrata in vigore ufficiale, la moneta unica continua a mostrare segni di cattiva salute nonostante un valore nominale elevato. L’aspetto che vogliamo prendere in considerazione è quello della legittimazione di tale moneta: va notato come gli stessi leader europei sembrino non più convinti della forza - se non anche del bisogno dell’esistenza - dell’euro, visto il loro atteggiamento durante la recente crisi.

 Infine, va riaperto il problema delle fondamenta economiche dell’Unione, quelle che poggiano sul recentemente ridiscusso Patto di Stabilità e Crescita e che fanno di questa grande entità sovranazionale un’istituzione a metà: ci sono ambiti in cui il lungo braccio comunitario è fin troppo lungo e rigido, mentre altri non sono minimamente toccati.

Inoltre, far girare gli ingranaggi della regolamentazione anche dove possibile è orribilmente macchinoso, con i soliti paesi influenti che regolano la responsività delle istituzioni solo sulla base dei propri interessi: tutto ciò senza dimenticare che gli stessi “grandi regolatori” - Francia e Germania in primis - non hanno un curriculum esattamente immacolato riguardo al rispetto delle disposizioni comunitarie.

Se dunque è ormai comprovato che dal punto di vista sociale e politico l’Europa è alquanto arenata, sta diventando chiaro anche come dal punto di vista economico, vecchio propulsore dell’integrazione europea, i problemi abbondino: il mix letale di governance casuale, mancanza di leadership e di convinzione nelle potenzialità e nei pilastri comunitari, generica incompetenza tecnica ed abuso di anglicismi e parole inventate (peggio che in questo articolo) renderà senza dubbio poco roseo il future della “Unione”.

Di certo, non sarà facile regredire (ancora) o ottenere inquietanti debacle come i peggiori detrattori - anche interni - si augurano, ma un’Unione Europea che non sa gestire i propri né sa costruire e far sviluppare le proprie stesse istituzioni non ha e non potrà avere un ruolo da attore protagonista sulla scacchiera economica del domani. E nemmeno del week-end.

 

 

 

 

 

 

 

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