di Emanuela Pessina

BERLINO. I capi di Stato e Governo dei 17 Paesi della zona euro si sono finalmente accordati per il patto di rafforzamento della moneta unica, il cosiddetto “patto per l’euro”: lo ha dichiarato sabato il presidente permanente dell'Unione europea Herman Van Rompuy, al termine del vertice straordinario di Bruxelles organizzato in risposta alla perdurante crisi economica. Si tratta della riforma più significativa della moneta unica europea mai operata finora e, nel suo insieme, non fa altro che rivelare la maggior preoccupazione del Vecchio continente: Eurolandia prova a tutelare la sua identità ponendo le basi per una politica fiscale e economica comune che possa evitare, in futuro, débacle come quelle di Grecia e Irlanda, e con loro, dell’euro.

In primo luogo, Bruxelles ha deciso di aumentare le garanzie economiche da mettere a disposizione dei Paesi europei più deboli, che potranno così continuare a dormire sonni tranquilli nei prossimi anni. Il patto per l’euro prevede un ampliamento della portata del fondo salva-Stati, l’European Financial Stability Facility (EFSF): per gli Stati in crisi verrà messa a disposizione una somma di 440 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto ai 250 attuali. Il fondo permanente anti- crisi European Stability Mechanism (ESM), invece, che entrerà in vigore dal 2013, disporrà di un totale di 500 miliardi di euro. Inoltre, secondo la nuova intesa, i fondi EFSF e ESM potranno intervenire sul mercato primario dei titoli, acquistando i bond dei Paesi dell’euro in difficoltà finanziarie e favorendone l’economia.

Durante il recente vertice sono state nuovamente valutate anche le questioni di Grecia e Irlanda, i due Paesi che hanno già attinto dal fondo salva-Stati in precedenza. Alla luce degli sforzi compiuti dal governo Papandreou per ridurre il debito sovrano, Bruxelles ha accordato alla Grecia delle agevolazioni, quali il taglio del tasso d’interesse sui prestiti (dal 5,8% al 4,8%) e la dilatazione dei tempi di rimborso a quasi otto anni.

All’Irlanda, invece, non è stato concesso nulla, poiché il Governo del Premier Enda Kenny non ha soddisfatto le condizioni necessarie agli sconti richiesti. Altro importante cambiamento, il patto per l’euro introdurrà il debito privato di banche, famiglie e imprese non finanziarie tra i parametri di giudizio della situazione finanziaria dei singoli Paesi: un passo importante soprattutto per la nostra Italia, sollecitato da sempre a gran voce dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti.

L’apparente generosità di Bruxelles, tuttavia, ha un prezzo. Il patto per l’euro chiede, in effetti, che i Paesi della zona euro si pongano obiettivi futuri comuni per tutti i punti del tema finanziario, quali salari, bilanci, costo del lavoro e regolamento bancario. Anche l’età pensionabile dovrà essere nuovamente adeguata all’effettiva prospettiva di vita e si dovrà orientare allo sviluppo demografico dei vari Stati: per il momento, l’introduzione di una linea comune in ambito pensioni non é stata comunque presa in considerazione. Plausibile, invece, l’intenzione di procedere verso ulteriori tagli della spesa pubblica e di aumenti fiscali dei singoli Stati per far fronte ai deficit di bilancio dei vari Paesi e raggiungere gli “obiettivi comuni”.

Ed è proprio attraverso gli obiettivi comuni che i 17 Stati dell’Eurozona cercheranno di diminuire la differenza di competitività, una delle cause fondamentali delle crisi attuale di alcuni Paesi tra i quali Grecia e Irlanda. Il patto dovrà "consolidare il pilastro economico dell'Unione monetaria, fare un salto di qualità nel coordinamento delle politiche economiche della zona euro, migliorare la competitività e aumentare il livello di convergenza", si legge nella dichiarazione finale. Perché, in realtà, la moneta è unica già da quasi un decennio ma ogni Stato ha mantenuto nel tempo la propria sovranità individuale circa le politiche finanziarie ed economiche, favorendo il sorgere di un’insana competitività che mette tuttora in pericolo la stabilità dell’euro stesso.

Le conclusioni del vertice sono arrivate dopo otto ore di acceso dibattito, poco prima delle tre antimeridiane di sabato. Un risultato piuttosto sudato, a quanto pare, ma per cui secondo Angela Merkel (CDU) ne è valsa la pena poiché garantisce “l’accordo sui nodi fondamenti dell’intero patto”. Da sottolineare che la Cancelliera tedesca contava tra i sostenitori più accaniti dell’urgenza di tale patto e tra i più pretenziosi e influenti: per ora, la Germania rappresenta la voce più potente a Bruxelles in materia finanziaria proprio alla luce della sua quota versata nei fondi anticrisi, la più alta in assoluto.

Certo, l’idea che tutta l’Europa, anche la parte più debole, debba ricorrere a piani di austerity straordinari per far fronte ai deficit di bilancio non convince del tutto gli economisti. Un estremo risparmio, infatti, potrebbe rendere i mercati in questione ancora meno interessanti per gli investitori che devono acquistare i bond emessi dalle banche centrali, frenando così ulteriormente la crescita del Prodotto interno lordo (Pil). Piuttosto che garantire l’identità finanziaria europea, nella peggiore delle ipotesi, il patto per l’euro potrebbe costituire la sua lenta condanna a morte.

 

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