di Mario Braconi

Parafrasando la celebre canzone degli Smiths, “è panico per le strade di Londra” - ma anche per quelle di New York e di Berlino, si potrebbe dire. Tuttavia, in questo momento tanto grave per la finanza e per l’economia, giova un pizzico di freddezza e di senso dell'umorismo: se non fosse che le conseguenze della “crisi”, tanto per cambiare, saranno pagate dai soliti cittadini in gran parte ignari e certamente impotenti, vi sarebbe molto da sorridere.

Cominciamo con l’altissimo debito pubblico italiano: un dato innegabile, per carità, ma che oggi viene abilmente sfruttato come pretesto per giustificare quello che è solo un vile attacco speculativo ai danni di un intero continente (e forse di un intero sistema culturale - si veda anche la chiara resistenza di “qualcuno” ad avere un capo del Fondo Monetario Internazionale europeo). L’Italia ha un debito pubblico pari a circa il 120% del prodotto interno lordo; mentre quello degli USA, complici i necessari interventi pubblici causati dalle gesta dei “terroristi” delle banche d’affari internazionali, veleggia allegramente attorno al 100%. Si dirà che la capacità di crescita degli USA non è quella italiana, soffocata dall’immobilismo e dalle rendite, ma resta il fatto che si tratta di dati comparabili. Eppure, almeno fino al clamoroso coup de théâtre messo a segno lo scorso venerdì da Standard & Poor’s, secondo il razionalissimo verdetto dei “mercati?h i nostri BTP erano carta straccia, mentre il debito pubblico USA continuava ad essere considerato un porto sicuro.

Giusto per capire come funziona questa kinderhaus che abbiamo il coraggio di chiamare “mercato finanziario”, risulterebbe che il verdetto negativo che ha colpito il rating del debito pubblico americano si basi su calcoli non proprio esattissimi: secondo John Bellows, Assistant Secretary alle Politiche Economiche del Tesoro USA, il modello di S&P contiene delle ipotesi errate, che porterebbero ad una sopravvalutazione del debito pubblico USA di “soli” 2.000 miliardi di dollari. Una piccola svista, può succedere...

La cosa veramente comica è che l’agenzia di rating, sulla scorta della nota di Bellows, si mette al lavoro per verificare il suo compitino, concludendo che... effettivamente l’errore c’è. Già l’idea che i mercati finanziari mondiali siano nelle mani di analisti talmente inesperti da commettere errori sesquipedali come questi gela il sangue. Perché vuol dire che il destino di tutti noi, cittadini globali è nelle mani di una organizzazione che non è in grado nemmeno di impedire agli incapaci che lavorano tra le sue file di fare danni... Ma non basta. La tracotanza di S&P, si spinge oltre: anche se i calcoli erano completamente sbagliati, per sua stessa ammissione, il verdetto negativo non cambia. Cambia però la giustificazione: ad allarmare l’agenzia, ora, non sono tanto i numeri, quanto l’affidabilità della classe politica americana, effettivamente appannata dagli eccessi autolesionistici ed irresponsabili del Tea Party, una minoranza di esaltati senza cervello, in grado però di condizionare settori conservatori normalmente più ragionevoli. Con questo ultimo episodio, dovrebbe essere finalmente chiaro a tutti quanto vale il giudizio delle agenzie di rating: meno di zero. L’incompetenza e l’irresponsabilità dimostrate sono talmente macroscopiche che perfino le persone meno inclini a vedere complotti in ogni dove si possono sentire legittimate ad interpretare  l’ultima boutade di S&P come una mossa destinata a danneggiare Obama.

Ed in effetti, l’impressione che si ricava osservando i recenti eventi sui mercati finanziari è quella che si riporterebbe vedendo un ubriaco alla guida di una Ferrari. Sì, perché, se è vero che i mercati completamente liberalizzati corrono come una Rossa di Maranello, è altrettanto vero che le persone che li dovrebbero guidare, o almeno capire, sono addormentate o in stato di ebbrezza. Si è già detto delle agenzie di rating; si è accennato en passant all’atteggiamento irresponsabile dei Repubblicani che hanno dato cittadinanza ai deliri dei Tea Party. Ma  alla lista bisogna anche aggiungere politici e politicanti europei.

Brilla in particolare per atomismo ed irresponsabilità la Banca Centrale Europea. E’ infatti noto che nei “liberi” mercati il modo più sicuro per avere ragione è mostrare i muscoli, e magari anche agitare una mazza da baseball mantenendo un’espressione truce. Fuor di metafora, per calmare i bollenti spiriti “animali” degli speculatori che hanno deciso di distruggere l’Europa, sarebbe bastato far capire che, per ogni vendita di titoli di stato effettuata a scopo speculativo, ci sarebbe stata un’entità in grado di ricomprarsi tutto fino all’ultimo euro, stampando carta se necessario, ovvero la Banca Centrale Europea. Gli speculatori, si sa, sono parassiti, e niente li avrebbe spaventati di più di un avversario che, per definizione, può cambiare a suo favore le regole del gioco (cosa in cui loro sono normalmente abilissimi, pur avendo limiti che un’istituzione sovranazionale non ha).

Viceversa, come ormai è consuetudine, è prevalso il particolarismo della Germania, che ha gettato le basi per interventi di sostegno contraddittori: dapprima “Portogallo e Grecia sì, ma Italia e Spagna no”. Salvo poi passare a sostegno per tutti i paesi in difficoltà. Si è perso tempo, molto denaro, e quel che è peggio, credibilità nei confronti dei parassiti, che ne hanno approfittato per continuare a rubare denaro. Il tutto reso ancora più surreale dal fatto che ad un cittadino europeo ormai letteralmente in mutande venivano imposti ulteriori sacrifici a suon di dichiarazioni roboanti e moralistiche; il tutto il governo italiano, pure impegnato a dare il contentino a Eurotower, continuava a rifiutare una onorevole via di fuga, ovvero l'introduzione di un’imposta patrimoniale. Tutto questo porta alla triste conclusione che l’incapacità dei politici è il carburante con il quale viaggiano i fuoribordo della speculazione.

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