di Carlo Musilli

Potremo ricordarci di oggi come del giorno in cui ci siamo salvati per un pelo. Oppure ritroveremo la data di venerdì 9 dicembre 2011 nei libri di storia come la data in cui ci rassegnammo al disastro, buttando al vento anche l'ultima occasione. Come se i maya avessero ciccato la loro profezia apocalittica di poco più d'un anno. Che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy non fossero due statisti in grado di salvare da soli l'Eurozona era chiaro da tempo, distratti come sono dalle loro ragioni di politica interna. Ma a Bruxelles, nel vertice Ue e nel successivo summit dell'area euro, dovranno far finta che le président e la cancelliera siano davvero quello che non sono. E firmare un accordo per mettere un freno alla crisi del debito.

Diciamo subito che le premesse sono pessime. In una giostra di rimpalli, tatticismi e dichiarazioni vacue, i leader di Francia e Germania hanno lasciato ampiamente intendere che non è lecito aspettarsi da loro la mossa decisiva. Il risultato è stato che le speranze di un intero continente sono crollate prima ancora che i capi di Stato e di governo si sedessero a tavola, ieri sera, per la loro "cena informale".

Ad aprire le danze ci aveva pensato quel genio di Steffen Seibert, portavoce della Merkel, che mercoledì aveva definito l'incontro "molto impegnativo", confermando la voce fatta trapelare da un oscuro funzionario tedesco secondo cui l'esecutivo di Berlino sarebbe sempre più pessimista riguardo una possibile soluzione dell'impasse. La cancelliera ha provato a correggere il tiro, ma è stata ancora una volta troppo timida. Sarkò invece ci ha messo il carico: "Il rischio d'esplosione dell'Europa non è mai stato così grande". Risultato: mercoledì e giovedì le Borse sono crollate e gli spread sono tornati a impennarsi.

Il tonfo di ieri è tanto più significativo perché arrivato in concomitanza con un altro evento che - in condizioni normali - avrebbe catalizzato l'attenzione di tutti. La Bce di Mario Draghi ha deciso di tagliare nuovamente i tassi d'interesse, portandoli ad un tondo 1%. Questo significa più soldi nel sistema, quindi dovrebbe piacere ai mercati. Invece non è stato così: le perdite sono continuate come nulla fosse. Perché?

La verità è che gli operatori si attendevano anche un'altra conferma da parte di Draghi. Volevano che il banchiere italiano ribadisse l'intenzione dell'Eurotower di proseguire ad libitum con la scorpacciata luculliana di titoli di Stato. Questo sì li avrebbe rassicurati: un surrogato accettabile di fronte alla consapevolezza che la Bce non può (e probabilmente non potrà mai) diventare prestatore di ultima istanza (vale a dire concedere crediti direttamente ai singoli Stati). Ma questo comportamento da parte dei mercati testimonia anche l'assoluta mancanza di fiducia in una soluzione politica. D'altra parte, se non ci credono i politici, è difficile chiedere uno slancio fideistico a chi per mestiere fa girare soldi.

Al momento, la questione più calda sul tavolo è la proposta franco-tedesca di modificare i trattati Ue. Si punta a blindare le discipline di bilancio dei vari Paesi membri, prevedendo delle sanzioni molto severe per chi sgarra. In realtà le ombre su questo progetto sono molte. Innanzitutto pare che sia frutto di una sorta d'imposizione da parte di Merkel a Sarkò, piuttosto che di un ponderato studio, considerando che i criteri di giudizio sui bilanci si annunciano talmente severi che la Francia sarà la prima ad essere colta in fallo.

In secondo luogo non è affatto detto che chiudere le casse europee in una botte di ferro sia la strada migliore per uscire dalla crisi. Forse così facendo si potranno calmare gli speculatori, raffreddando i timori incontrollati per la crisi dei debiti. Ma certamente non basterà a risolvere il vero problema di base: il fatto che ormai siamo in recessione. E in economia un sistema che non cresce non è sostenibile. Da questo punto di vista, anche le tanto sospirate e incerte riforme dell'Efsf e della Bce non potranno mai svolgere il ruolo di deus ex machina, a fronte della completa mancanza di un coordinamento politico unitario dell'Europa.

Ma di questo si parla poco. Affannati a spegnere l'incendio finanziario, non ci accorgiamo delle crepe sul muro che stanno per farci crollare il tetto sulla testa. Forse ci ricorderemo di oggi come del giorno in cui abbiamo creduto di salvarci. 

 

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