di Carlo Musilli

La Grecia è già fallita. In modo ordinato, ma è "tecnicamente" fallita. Gli ultimi avvenimenti - la super ristrutturazione del debito e l'arrivo dei nuovi aiuti internazionali da 130 miliardi di euro - hanno due conseguenze fondamentali, nessuna delle due dal valore salvifico. Primo: la bancarotta incontrollata di Atene - l'incubo peggiore - viene rinviata di un paio d'anni. Secondo: il peso del prossimo salvataggio viene scaricato per intero sulle spalle dei contribuenti europei.

Insomma, parlare di un vero "salvataggio" è improprio e l'ottimismo circolato sulle bocche dei leader europei nell'ultima settimana è falso. Eppure qualche segnale d'incertezza è trapelato anche nelle alte sfere. Wolfgang Schaeuble, potentissimo ministro tedesco delle Finanze, in un'intervista pubblicata domenica su La Repubblica ha ammesso che "nessuno può escludere la necessità di un nuovo pacchetto di salvataggio per la Grecia". Lui ha ancora dei dubbi, i mercati no. E proprio nelle ore in cui prendeva corpo l'eroico salvataggio di Atene, le Borse europee, invece di festeggiare, viaggiavano timide sopra e sotto la parità.

Secondo stime pubblicate dal Sole 24 Ore, i fondi che nei prossimi mesi affluiranno nelle casse d'Atene basteranno al Tesoro ellenico per far fronte ai suoi impegni finanziari da qui al 2014. Compresa una ricapitalizzazione delle banche da 50 miliardi. Dopo di che il Paese dovrà tornare a finanziarsi sul mercato.

Ora, è verosimile ipotizzare che in così poco tempo i conti della Grecia si stabilizzino e la sua economia si riprenda tanto da attirare nuovi investitori? No. Sanno tutti benissimo che il debito greco sarà sostenibile soltanto finché ci sarà Bruxelles a evitarne l'implosione. Allora perché affannarsi tanto per evitare l'inevitabile? L'Europa prende tempo, nella speranza che quando arriverà lo tsunami il sistema finanziario continentale sia abbastanza forte da reggere l'impatto.

La prossima volta che si presenterà il problema di salvare la Grecia, tuttavia, la partita sarà ben più difficile. Non ci saranno più banche da spremere e la ristrutturazione sarà completamente a carico dei singoli Stati. Quindi dei contribuenti.

A mettere fuori causa gli istituti di credito è stato lo swap sui titoli di Stato ellenici che si è chiuso la settimana scorsa e che - solo per il momento - dà un'ampia boccata d'ossigeno ad Atene. A ben vedere, però, nemmeno questa operazione si è risolta in un vero successo, come pure si è voluto far credere. In sostanza, i creditori privati della Grecia sono stati chiamati a scambiare "volontariamente" i propri bond ellenici con altri titoli a scadenza più lunga e rendimenti più bassi, con una perdita pari al 75% dell'investimento.

Le adesioni sono state dell’85,2%, una quota sufficiente a scongiurare il fallimento incontrollato e immediato, ma non abbastanza per evitare quello "tecnico". Il Tesoro di Atene è stato costretto ad attivare le cosiddette Cac (clausole di azione collettiva), il che significa imporre forzatamente lo swap (che solo così è salito al 95,7%) a chiunque abbia in mano bond regolati da legislazione greca. Come a dire: o fate come diciamo noi, oppure non siamo in grado di restituirvi un centesimo. Con tanti saluti alla presunta "volontarietà".

Questa mossa ha fatto scattare i pagamenti su oltre tre miliardi di Cds, titoli speculativi che funzionano come assicurazioni sulla vita dei bond, con rimborsi in caso d'insolvenza. Non solo. Lo swap ha fatto scatenare anche le agenzie di rating Fitch e Moody's: per entrambe si è trattato di "default tecnico".

Fin qui il quadro non è affatto rassicurante, ma abbiamo parlato solo di finanza. La situazione peggiora molto se andiamo a guardare quello che accade nell'economia reale, sempre più drammaticamente scollata dai numeri su cui si ragiona a Bruxelles. Solo nell'ultimo trimestre del 2011, il Pil della Grecia è crollato del 7,5%. Peggio del previsto. Intanto chi ha ancora dei capitali si affretta a portarli fuori dal Paese, mentre i giovani scappano per sfuggire al massacro sociale che arriverà dopo le ultime manovre d'austerity.

Chi mai potrà pensare d'investire in un Paese ridotto in simili condizioni? Il debito greco tornerà sostenibile solo quando l'economia ricomincerà a crescere. Una prospettiva per ora irrealizzabile, a meno di una colossale svalutazione. Della Dracma, naturalmente. 

 

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