di Emanuele Vandac 

Da qualche anno la reputazione delle banche d’affari è giustificatamente al minimo storico. In effetti, la crisi globale scatenatasi nel 2008 è la conseguenza di una colossale operazione di speculazione partita dal mercato immobiliare, che ha distrutto la credibilità delle istituzioni finanziarie, provocando fallimenti bancari e una crisi globale. I primi sono stati tamponati con il denaro dei contribuenti, mentre la seconda è ben lungi dall’essere risolta.

La stessa crisi dell’euro, esplosa nel 2010, non è altro che la conseguenza della speculazione contro la divisa comune, determinata degli stessi saggi ideatori dei prodotti finanziari che hanno scatenato il terremoto del 2008: veri e propri criminali che, non contenti di aver provocato due crisi sistemiche in quattro anni, sono sopravvissuti grazie alle tasse dei cittadini.

Nello specifico, poche istituzioni finanziarie incarnano l’odiosa ed asociale visione del mondo tipica delle banche d’affari anglosassoni quanto Goldman Sachs. Pensiamo al caso dei mutui subprime, ovvero fidi concessi a cittadini americani con una storia creditizia non molto solida per consentire loro l’acquisto delle prima casa (anche se non è mancato chi, grazie alla droga finanziaria, ha voluto strafare, comprandone più d’una).

Ad un certo punto, complice la bolla speculativa che gonfiava in modo ridicolo le quotazioni degli immobili dati in ipoteca, questi prestiti venivano concessi sostanzialmente a chiunque ne facesse richiesta, indipendentemente dalla sue reali possibilità di rimborsare il prestito. Nella soddisfazione generale: i banchieri commerciali si fregavano le mani perché, con la scusa che il cliente era un “cattivo pagatore” potevano caricare tassi molto alti; i clienti d’altra parte vedevano improvvisamente divenire concreta la prospettiva di avere una casa di proprietà (benché non siano mancati i furbi che hanno annusato la possibilità di fare soldi facili).

Ad essere particolarmente contenti erano i capi delle banche d’affari americane che compravano dalle banche commerciali questi mutui senza futuro, li facevano a pezzi per poi assemblarli in prodotti strutturati complicatissimi. L’insipienza delle agenzie di rating e il conflitto di interesse di cui erano vittime (essendo valutatori e fornitori paganti degli emittenti) ha fatto in modo che prestiti senza alcuna possibilità di essere ripagati siano stati valutati come assolutamente sicuri oltre che caratterizzati da rendimenti interessanti.

Il giocattolo ha funzionato bene finché il mercato immobiliare ha continuato a salire in modo irrazionale; quando la bolla è scoppiata, i mutuatari, che fino al giorno prima potevano sfruttare le quotazioni dell’immobile dato in garanzia per venderlo e chiudere il mutuo che non riuscivano più a pagare, ovvero per aumentare il prestito (ovvero, pagando il debito con nuovo debito) si sono trovati incastrati nel meccanismo: senza soldi per la rata, restava solo la strada della vendita della casa, che nel frattempo però valeva il 30-40% di meno di quando era stata data in garanzia.

E questo anche se, negli anni delle cicale, i mutui venivano concessi per cifre fino al 99% del valore - drogato - dell’immobile: ad esempio, se il debito era 100.000 dollari, la casa a quel punto si poteva vendere a 60.000: dove prendere i 40.000 che mancavano all’appello? Meglio abbandonare il mutuo e farsi prendere la casa dalla banca, che la metteva in vendita, alimentando la spirale negativa sulle quotazioni immobiliari.

Così milioni di famiglie svantaggiate e/o imprudenti si sono ritrovate sul lastrico. Non è andata meglio, mutatis mutandis, a chi ha comprato i prodotti derivati strutturati su quei mutui rapidamente incagliatisi, dato che, nel giro di qualche mese si sono trovati in portafoglio dei titoli senza valore. Goldman Sachs non solo ha fatto i soldi con i prodotti derivati sui subprime sfruttando come pochi il mantra “originate and distribute” (originare e distribuire); ma ha anche speculato assumendo posizioni ribassiste (di vendita) su indici che replicavano l’andamento dei titoli asset-backed (che loro avevano creato): più il prezzo di questi scendeva, e più erano i dollari che affluivano nei forzieri della banca di Wall Street.

Come se non bastasse, quando nel 2008 la crisi ha cominciato a picchiare duro, e perfino gli inossidabili banchieri hanno cominciato a vedersela brutta, Goldman Sachs, il tempio del capitalismo senza inibizioni, ha utilizzato senza parsimonia i fondi messi a disposizione dall’amministrazione USA: secondo i dati ufficiali SEC le due sedi americana ed inglese di Goldman Sachs sono rimaste esposte verso la Federal Reserve per una media giornaliera di poco meno di circa 7 miliardi di dollari nel solo periodo marzo - novembre 2008.

Goldman Sachs, inoltre, è coinvolta anche nella grandiosa truffa operata dal governo greco nel 2002: grazie ad uno swap (conversione reversibile del debito da una divisa all’altra) stipulato ad un tasso di cambio di fantasia, ma “comodo”, i pagliacci di Goldman Sachs hanno fatto sparire magicamente un miliardo di dollari di debito sovrano greco, aumentando le possibilità per il governo di contrarne di nuovo. Pura apparenza, naturalmente, dato che il debito sarebbe ritornato ai suoi livelli nel giro di pochi giorni o mesi: perfino nella finanza creativa, alla fine “nulla si crea e nulla si distrugge”, com’è facile constatare: basta vedere che brutta fine ha fatto il popolo greco.

Per concludere: gli uomini della Goldman Sachs infettano le istituzioni (corrotte) a tutti i livelli, comprese banche centrali, governi, solo per citarne un paio. Non è un caso se l’attuale premier greco è un ex GS, così come sono (ex?) Goldman Mario Monti e Mario Draghi. Mentre Henry Paulson, segretario di Stato del secondo governo Bush, dava il benservito al Lehman Brothers, si adoperava alacremente per evitare il fallimento di AIG, un gruppo assicurativo che, anche se fosse fallito com’era suo destino, avrebbe polverizzato Goldman Sachs, cui doveva una montagna di miliardi.

Sarà una coincidenza, ma Mr. Paulson, prima di assumere l’incarico al governo, è stato amministratore delegato della Goldman Sachs. Mentre il capo del gabinetto di Timothy Geithner (il successore di Paulson) è l’ex capo della lobby di Goldman Sachs, il cui amministratore delegato pare frequenti con insolita frequenza la Casa Bianca. Insomma, se Goldman Sachs è molto odiata, ci sono molte e validissime ragioni: non occorre essere anarchici per riconoscere che essa rappresenta in modo paradigmatico il parossismo di un capitalismo finanziarizzato che ha elevato la truffa a sistema di vita, e nel quale ogni valore civile, sociale, politico e umano viene messo in secondo piano, quando non apertamente calpestato, per ossequiare un'unica (com)pulsione: il profitto, meglio se ingiustificato.

Goldman fa montagne di denaro grazie al suo istinto a giocare sporco, immersa come è in conflitti di interessi talmente macroscopici che non è ben chiaro come una società democratica possa tollerarli: Goldman indossa di volta in volta il “cappello” del trader e poi quello dello strutturatore, quello del venditore e quello del compratore, quello del regolamentatore e quello del soggetto a regolamentazione.

La novità della settimana è l’op-ed pubblicato mercoledì scorso sul New York Times da Greg Smith, un suo dirigente di stanza a Londra, che ha scelto un modo a dir poco inedito per rendere più pepata la sua lettera di dimissioni. In sostanza, si tratta di una lettera aperta con cui Smith spiega le ragioni che lo hanno spinto alla decisione di lasciare la società (si noti, per inciso come il New York Times la pubblichi come op-ed, ovvero come editoriale che esprime un’opinione diversa da quella coerente con la linea del giornale, cosa che equivale ad una presa di distanza dal polemico e linguacciuto Smith).

Scrive Greg: “La banca ha modificato il mio concetto di leadership. Una volta leadership voleva dire avere idee, dare il buon esempio e fare la cosa giusta. […] Oggi, se fai fare alla banca abbastanza denaro (e non sei proprio un serial killer) farai carriera. […] Nell’ultimo anno ho sentito cinque diversi direttori riferirsi ai propri clienti con il termine ‘marionetta’, talora perfino nelle e-mail interne. […] Mettiamoci idealmente in un giorno qualsiasi tra dieci anni: non occorre essere dei geni per capire che il ragazzo di bottega che siede in silenzio all’angolo della stanza mentre sente parlare tutto il tempo di “marionette”, “cavare gli occhi” e “fare soldi” non sarà divenuto proprio un cittadino modello.” Deve essere quello che è successo a Smith prima che vedesse improvvisamente la luce dopo un decennio abbondante di occhi ed orecchie ben rivestiti (per non parlare della lingua paralizzata).

La Goldman Sachs ovviamente dà del bugiardo al suo ex dipendente, mentre la stampa amica (ad esempio il Wall Street Journal) spiega lo sfogo di Smith con un pagamento di bonus non soddisfacente o con una mancata promozione. Non contenti di queste patetiche giustificazioni da opporre alle semplici, perfino banali osservazioni di Smith, qualcuno di Goldman Sachs fa sapere alla Fox Business Network che Smith parla in questo modo perché sostanzialmente è una mezza calzetta: “Non ha mai guadagnato mai più di 750.000 dollari l’anno”.

Boomerang: fino a dove si può spingere l’arroganza di chi è convinto di possedere il mondo nelle sue mani. Visto che si parla di soldi, una piccola soddisfazione se la può prendere anche il cosiddetto movimento “99%” che continua a voler “occupare Wall Street”: un impiegato che ha solo detto che il re è nudo ha prodotto un calo nelle quotazioni di Goldman Sachs di oltre 2 miliardi di dollari in un giorno. In fin dei conti, fare i soldi sulla pelle della povera gente che resta senza casa e senza lavoro pare sia perfettamente accettabile: quello che proprio non va, però, è fregare i clienti. E’ per questo che la gioia di vedere per una volta la verità spiattellata sulle pagine di un giornale lascia presto il passo all’amarezza.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy