di Carlo Musilli

Una piccola ma significativa crepa si apre nel castello della finanza. Il Parlamento europeo, la Commissione Ue e il Consiglio europeo hanno trovato un accordo preliminare su Basilea 3, il nuovo pacchetto di regole per le banche che dovrebbe entrare in vigore nella prima metà del 2014. Una delle norme più controverse riguarda l'ammontare dei bonus ai manager, che secondo i termini dell'intesa non potrà più superare l'importo dello stipendio di un anno. Questo principio generale ammette però un'eccezione: se la maggioranza degli azionisti darà il proprio assenso (con due terzi dei voti o con il 75% se in assemblea siede meno della metà del capitale), i bonus potranno arrivare fino al doppio della retribuzione annua.

Insomma, Bruxelles non è posto per iniziative alla Robin Hood: i grandi dirigenti e i trader di banca continueranno a guadagnare somme pantagrueliche, ma il punto è un altro. La novità in arrivo non ha alcuna importanza sul piano morale, eppure è fondamentale a livello pratico. Fino ad oggi nessuno ha mai posto limiti ai premi che gli istituti di credito possono destinare ai loro manager, e proprio questa mancanza è stata una causa tutt'altro che secondaria della crisi finanziaria.

I benefit sono in genere proporzionali ai guadagni che i dipendenti portano all'azienda con i loro investimenti. Ma c'è un'asimmetria di fondo: quando il business è redditizio, i manager incassano laute ricompense; quando invece l'affare si rivela un fiasco, o addirittura apre un buco nei conti della banca, il responsabile dell'errore non subisce praticamente alcuna conseguenza.

Un sistema così sbilanciato non può evidentemente garantire una gestione razionale e oculata del denaro. Anzi, incentiva i manager a lanciarsi in scommesse sempre più azzardate, dal momento che in finanza i margini di profitto nel breve periodo aumentano insieme al rischio che si è disposti a correre. In un'ottica del genere, chi ha poco o nulla da perdere e tutto da guadagnare non può che puntare al jackpot. Così facendo espone la propria azienda a un pericolo che spesso è difficile quantificare, ma non gli interessa: finché le regole del gioco sono queste, gli conviene rischiare.

Questo vizio è tipico della spericolata finanza anglosassone, principale responsabile della crisi di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze. Non stupisce quindi che la nemica numero uno del nuovo tetto ai bonus sia la Gran Bretagna. Gli inglesi sostengono che il provvedimento sarà compensato da un aumento degli stipendi, ma come sempre il sospetto è che fingano di non capire quale sia la posta in gioco pur di fare gli interessi delle banche della City (dove nel 2012 sono stati distribuiti bonus cash per 5,1 miliardi di euro, dopo i 13,4 miliardi del 2008).

E' del tutto evidente che uno stipendio più alto non abbia il potenziale distruttivo di un super-bonus: uscendo dalla logica del "premio", gli operatori avranno meno interesse a rischiare sul mercato e questo ridurrà il pericolo di alimentare nuove bolle speculative. Francia e Germania sostengono proprio questa tesi e fortunatamente - almeno per ora - la loro posizione ha prevalso in sede europea.

"E’ la fine dell'epoca dei bonus insensati e ingiustificabili - ha commentato il commissario Ue al mercato interno, Michel Barnier -. D’ora in poi le prese di rischio saranno più controllate: è l’inizio di una grande trasparenza nel settore bancario europeo".

Sullo stesso argomento domenica prossima si terrà in Svizzera un referendum d'iniziativa popolare. Se sarà approvato, il testo darà potere agli azionisti d'impedire il versamento di stipendi e bonus eccessivamente elevati. In terra elvetica è ancora fresco lo sdegno per il benefit oceanico riconosciuto al presidente uscente del Cda Novartis, gigante della farmaceutica. Il suo nome è Daniel Vasella e nel 2012 ha guadagnato qualcosa come 10,6 milioni di euro.

Uno stipendio da fantascienza, che però assomiglia agli spicci per la merenda se paragonato alla buonuscita che si preparava ad incassare: 58,5 milioni in sei anni. Alla fine, per fortuna, Vasella ha rinunciato al malloppo. Ora la speranza è che decisioni del genere non siano più lasciate al buon cuore dei top manager.

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