di Carlo Musilli

Il mostro dei mutui subprime genera l'ennesimo patteggiamento. Citigroup ammette le proprie colpe nella più grave truffa del nuovo millennio e per archiviare le accuse accetta di pagare sette miliardi di dollari in tutto: una multa da 4,5 (di cui quattro al dipartimento di Giustizia degli Usa e 0,5 alle altre autorità coinvolte), più altri 2,5 in rimborsi ai clienti.

Alla luce di questo accordo, il colosso bancario statunitense archivia il secondo trimestre con oneri straordinari per circa 3,8 miliardi di dollari, al lordo delle tasse. Fra aprile e giugno l'utile netto di Citigroup scende così del 96% su base annua, a quota 181 milioni. Tuttavia, l'utile adjusted della Banca - ovvero al netto degli oneri straordinari - sale da 3,89 a 3,93 miliardi di dollari, battendo le stime degli analisti. I profitti per azione arrivano a 1,24 dollari, appena sotto gli 1,25 dollari registrati nel terzo trimestre 2013 e molto più degli 1,05 dollari attesi dal mercato.

"L'intesa annunciata oggi - ha commentato Michael Corbat, amministratore delegato della Banca - risolve tutte le indagini civili in corso legate alla sottoscrizione, strutturazione ed emissione di Rmbs e Cdo", rispettivamente i Residential mortgage-backed security, titoli garantiti da mutui residenziali, e le Collateralized debt obligation, pacchetti di prodotti derivati sempre garantiti dai subprime. "Riteniamo che questo accordo sia nel migliore interesse degli azionisti - ha chiosato l'ad - e che ci consenta di andare oltre, concentrandosi sul futuro e non sul passato".

Rimane da capire se l'intesa raggiunta sia anche "nel migliore interesse" dei cittadini americani truffati, molti dei quali con la crisi del 2008 hanno perso tutto e ancora oggi faticano davvero a "concentrarsi sul futuro", mentre le banche sono già da tempo tornate a macinare utili. Certo è che se un istituto accetta di pagare multe e risarcimenti, lo fa nella consapevolezza che la somma pattuita è largamente inferiore a quella che avrebbe meritato di sborsare (all'inizio Citigroup aveva offerto appena 363 milioni e il dipartimento di Giustizia aveva risposto chiedendo 12 miliardi). Il patteggiamento fa sempre comodo a chi è nel torto e non rende mai piena giustizia alle vittime, ma è solo questa la strada che l'amministrazione Obama ha deciso di percorrere per ripulire la macchia vergognosa dei subprime. Sembra che il Tribunale non sia un'opzione disponibile.  

Eppure il materiale non sarebbe mancato, visto che lo schema della truffa è noto ormai da anni. I piani da analizzare sono due. Il primo è quello della vita reale, in cui le banche americane spingevano i loro clienti a usare le case come bancomat, accendendo mutui immobiliari in serie.

A ogni prestito che ottenevano (bastava chiedere), i debitori estinguevano il mutuo precedente e, avendo ottenuto dagli istituti un importo superiore (perché nel frattempo il prezzo delle case era salito), intascavano la differenza. Appena i prezzi delle case hanno smesso di crescere, naturalmente, il giochino non ha più funzionato. Milioni di americani si sono ritrovati con debiti impossibili da ripagare e sono stati sfrattati.

Il secondo piano è quello assai più complicato della finanza. Mentre concedevano mutui a profusione, le banche emettevano titoli derivati garantiti proprio da quei prestiti e li vendevano con l'inganno: sapevano che prima o poi i subprime sarebbero scoppiati, ma facevano credere agli investitori che si trattasse di prodotti sicurissimi.

Il tutto con la complicità delle agenzie di rating, che, in un clamoroso conflitto d'interessi (perché erano pagate dalle banche stesse) assegnavano a quei derivati il giudizio d'affidabilità più alto, la famosa tripla A. In sostanza, si vendeva spazzatura come fosse oro.

Di fronte a colpe del genere, la giustizia americana ha fallito, sconfitta dall'ostruzionismo delle lobby. La maggior parte delle banche ha patteggiato sanzioni lontane anni luce dalla ricchezza bruciata per colpa della loro malafede (e parliamo di cifre anche tre volte superiori a quella concordata da Citigroup: dai 13 miliardi di JP Morgan ai 9,5 di Bank of America, che presto potrebbe accettare di versarne altri 12).

Quanto ai singoli responsabili, continuano a vivere nel loro mondo dorato. Un esempio su tutti è quello di Dick Fuld, ex presidente e Ceo di Lehman Brothers, la banca da cui è partito il crack, che si è messo in tasca fra il 2000 e il 2007 qualcosa come 457 milioni di dollari. Contro di lui non è mai stata nemmeno aperta un'azione penale.

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