Le proposte sono ridicole, l’accordo non c’è. Sul fronte dei contenuti sembrava un finale già scritto quello del confronto fra governo e sindacati sul tema delle pensioni. La trattativa non è chiusa (un nuovo incontro è in agenda per martedì), ma le linee tracciate dall’Esecutivo sono ormai chiare. E saranno loro a finire nel testo della legge di Bilancio, l’ultimo testo finanziabile che passerà per le mani di questo Parlamento.



Resta sul tavolo l’esenzione di 15 categorie di lavori “gravosi” dall’adeguamento automatico alla speranza di vita, il meccanismo che nel 2019 alzerà per tutti l’età pensionabile a 67 anni. A questa apertura di base sabato scorso il governo ha aggiunto qualche postilla. Primo, lo stop a beneficio delle 15 categorie varrà anche in caso d’innalzamento dei requisiti per la pensione anticipata (l’ex anzianità).  Secondo, c’è l'impegno a creare un fondo ad hoc per prorogare l'Ape social, l'anticipo pensionistico per le categorie più deboli. Terzo, sarà aggiustato il meccanismo di calcolo della speranza di vita a cui si adegua l'età di uscita dal lavoro, con un tetto di tre mesi per i futuri scatti (biennali) dal 2021 in poi.

A prima vista può sembrare che il governo abbia fatto davvero degli sforzi, ma in realtà nel piatto c’è poco o niente. Niente per i giovani, niente per le donne. E dal 2019 la soglia dei 67 anni di età varrà per il 97% dei pensionandi. L’estensione del blocco alle pensioni anticipate non porta benefici significativi, perché a beneficiarne non sarà più di qualche centinaio di persone.

Quanto al fondo per estendere l’Ape social, si alimenterà degli “eventuali residui del 2018”: questo significa che al momento non c’è alcun rifinanziamento della misura per il 2019, ma allo stesso tempo il governo sa già che ci sarà un risparmio sul 2018. Come fa a esserne certo? Semplice: quest’anno sono state accolte pochissime domande di Ape social, sia per i paletti rigidi imposti dalla normativa sia per le interpretazioni inflessibili che ne ha dato l’Inps. Insomma, l’anticipo pensionistico a carico dello Stato è inutile e proprio grazie alla sua inutilità potremo permetterci di tenerlo in piedi più del previsto. Con tanti saluti a quella flessibilità in uscita che la Professoressa Fornero ha cancellato dalla legge italiana e che tutti dicono di voler reintrodurre.

Se questo è il quadro, è evidente che ai sindacati rimangono solo i conti politici. La Cgil rifiuta le sceneggiate e dice le cose come stanno:  “È un’occasione persa, siamo molto distanti dal Paese, dalle aspettative dei lavoratori sui temi previdenziali, quelli che la politica affronterà in campagna elettorale. La valutazione di grande insufficienza che avevamo anticipato viene confermata.

 

Il quadro non risponde alle richieste e agli impegni assunti da parte del governo”", ha detto la segretaria Susanna Camusso. Cha ha poi annunciato una “mobilitazione” in arrivo, ma non dovrebbe trattarsi di uno sciopero, perché l’obiettivo è non mandare in pezzi il fronte con gli altri sindacati.

La Cisl però come al solito fa buon viso a cattivo gioco, accontentandosi del meglio che niente. La segretaria Annamaria Furlan ha espresso un “giudizio positivo sul lavoro fatto. È un momento molto particolare della vita del Paese ed è assolutamente importante portare a compimento quell’intesa sulla previdenza che insieme avevamo costruito. Non riteniamo vantaggioso spostare in un mare aperto futuro, con tempi del tutto incerti, la gestione di un tema così importante”.

La Uil, infine, dà prova di equilibrismo. “Ci sono alcuni aspetti positivi, altri meno e altri ancora da approfondire – ha detto il numero uno del sindacato, Carmelo Barbagallo – Vorremmo fossero chiariti alcuni aspetti sulle risorse e, in particolare, su giovani e donne”. Lo vorrebbero milioni di italiani, ma il governo non ha intenzione di farci trovare questo regalo sotto l’albero.

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