dall'inviato Fabrizio Casari

MANAGUA. Sedici capi di Stato e di governo, esponenti di forze politiche provenienti da sessantacinque Paesi, mille giornalisti accreditati. La cifra politica dell’insediamento del Comandante Daniel Ortega alla Presidenza della Repubblica è anche qui; mai, nella storia del piccolo paese centroamericano, l’insediamento di un presidente aveva convocato tanto interesse a livello internazionale. È il segnale evidente di un clima di attesa e d’interesse politico che anche a livello internazionale caratterizza il ritorno al potere, dopo sedici anni di opposizione, del Frente Sandinista. Daniel Ortega, presidente del Nicaragua che fu, è il Presidente del Nicaragua che sarà. Le aspettative sono tante e la fiducia è decisamente superiore alle paure. La cerimonia dell’investitura, ricca di dettagli curiosi quanto indicativi e anche di una improvvisazione inaspettata, ha rappresentato però non solo il passaggio formale tra l’esecutivo entrante e quello uscente.

di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

Le recenti sanzioni contro la Repubblica Islamica dell’Iran hanno prodotto un primo effetto. Dal 1° Gennaio di questo anno, dopo la decisione dell’Alto Consiglio per l’Economia presa a metà Dicembre, il dollaro ha cessato di essere la valuta di riferimento per le transazioni finanziarie di Teheran. Quindi anche per quelle petrolifere. Già in passato era balenata l’ipotesi, poi rivelatasi una diceria, di una borsa petrolifera basata sull’Euro con sede nell’area di libero scambio dell’isola di Kish. Un progetto di impossibile realizzazione, se non altro perché richiedeva l’apporto partecipativo dei petrocaliffati del Golfo, i quali non avevano tuttavia la benché minima intenzione di sferrare un attacco così diretto ad un sistemo economico, quello USA, in cui avevano investito larga parte dei loro proventi. Questa volta la situazione è diversa. Ahmedinejad sta usando la questione atomica come la santa causa nazionale, irritando la Casa Bianca e il rispettivo alleato israeliano che invocano e ottengono le sanzioni economiche delle Nazioni Unite.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il tragico teatro è quello di Baghdad, ma la cabina di regia si trova alla Casa Bianca e nelle sue filiali: Pentagono e Cia. Questo, in sintesi, è il giudizio che i media della Russia esprimono riferendosi - anche in queste ore - alla impiccagione di Saddam. E le dure immagini dell’esecuzione vengono ripetute quasi ogni giorno mentre si parla della situazione in Iraq e dell’ondata di proteste che si va sempre più registrando nel mondo intero. Mosca, pur condannando l’operato del regime di Saddam, esprime un totale dissenso sull’operato degli Usa a partire dal momento dell’invasione. Ed ora ai giudizi espressi prima dal ministro degli Esteri Ivanov (preoccupazione) e poi dai massimi osservatori politici e diplomatici (condanna) si aggiunge un importante, significativo e pesante intervento di Evghenij Primakov, ex ministro degli Esteri dell’Urss ed ex primo ministro, esperto e studioso del mondo arabo.

di Raffaele Matteotti

L’intervento americano in Somalia ha per ora raso al suolo le località di Hayo, Garer, Bankajirow e Badmadowe, oltre ad alcuni ettari di territorio somalo non urbanizzato. Con il pretesto di voler “colpire” tre terroristi collegati agli attentati alle ambasciate americane in Africa, gli Stati Uniti sono intervenuti con bombardamenti a tappeto violando la sovranità di uno stato e commettendo un crimine di guerra secondo le leggi internazionali. Non esiste infatti alcuna legge al mondo che permetta ad alcuno di bombardare un villaggio per uccidere uno o più terroristi. La pietosa scusa secondo la quale le vittime civili di questa pratica criminale sarebbero “giustificate”, ricorda quelle dei tedeschi che uccidevano i civili quando non erano in grado di catturare i partigiani, all’epoca “terroristi” per il Reich. C’è la stessa indifferenza per la vita umana degli altri alla radice dell’approvazione di azioni del genere. Lo stesso razzismo di fondo E la dimostrazione di questo assunto sta nel fatto che se nei quattro villaggi ci fossero stati degli americani, non li avrebbero certo rasi al suolo. Non avrebbero considerato “giustificabile” ucciderli per colpire terroristi, neanche se questi un giorno avrebbero potuto organizzare altri attentati o in quanto parte del network del terrore.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Era chiuso da tempo per “operazioni di restauro, profilattiche e biochimiche” ed ora riapre. E’ la notizia che riguarda il mausoleo di Lenin che si trova nella Piazza Rossa: si potrà tornare a visitarlo a partire da questo 10 gennaio dopo che, appunto, sono state effettuate operazioni valide per l’ulteriore conservazione del corpo imbalsamato. “Sono state adottate misure estremamente delicate - precisa Valerij Bykov, direttore del centro moscovita di biomedicina - che vengono compiute periodicamente utilizzando una tecnologia particolare che solo noi, in Russia, siamo in grado di utilizzare garantendo la conservazione del corpo ancora per lunghissimi anni”. E sempre Bykov precisa che nel corso di queste operazioni di conservazione “è stato anche cambiato il vestito di Lenin per impedire contaminazioni biologiche”. Sin qui la dura realtà di una cerimonia di “restauro” che si ripete dal giorno della scomparsa di Lenin avvenuta nel 1924. Ma la presenza del mausoleo nella piazza centrale di Mosca (costruito nel 1929-1930 dall’architetto Sciusev) è pur sempre motivo di discussioni polemiche. Promosse, a suo tempo, da Eltsin.


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