Il fallimento della controffensiva delle forze armate ucraine ha accentuato le divisioni dentro l’apparato di potere americano e occidentale in genere, facendo emergere sempre più alla luce del sole le posizioni contrastanti circa l’appoggio da garantire al regime di Zelensky nel conflitto con la Russia. Queste divisioni stanno infatti trapelando sulla stampa ufficiale, per lo più sotto forma di “rivelazioni” che raccontano di malumori e accuse nei confronti della gestione delle operazioni sul campo da parte dei vertici militari ucraini.

Tra gli altri, New York Times e Wall Street Journal hanno pubblicato nei giorni scorsi due articoli molto simili allo scopo di veicolare l’irritazione crescente in determinati ambienti di Washington per l’andamento della guerra e l’assenza ormai di prospettive incoraggianti. L’ex analista della CIA e commentatore indipendente, Larry Johnson, ha spiegato dal suo blog che la “fuga di notizie” di intelligence e la loro pubblicazione sui media è sintomo di solito di disaccordi importanti in merito a questioni politiche o relative alla sicurezza nazionale. Quando invece vi è unità di vedute all’interno dei vari organi di governo, è improbabile che circolino sulla stampa notizie “riservate”.

 

In questa prospettiva, l’apparizione di articoli e analisi che disegnano un quadro pessimistico per l’Ucraina, a fianco dei soliti pezzi di propaganda, sembra indicare una rapida erosione del sostegno americano al regime di Kiev. Questa tendenza potrebbe accentuarsi nelle prossime settimane, con il probabile tracollo delle forze ucraine e il possibile lancio di una nuova avanzata da parte russa.

Gli argomenti su cui gli Stati Uniti e l’Ucraina si stanno scontrando sono molteplici e vanno al cuore della tattica di guerra attuata per cercare di recuperare parte del territorio annesso dalla Russia. Washington avrebbe in primo luogo criticato la decisione di Zelensky e dei vertici militari ucraini di condurre operazioni contemporaneamente in direzione orientale e meridionale. Gli strateghi americani ritengono prioritaria una controffensiva verso sud, mentre un numero maggiore di risorse è stato impiegato nell’area di Bakhmut (Artemovsk in russo), probabilmente per il valore simbolico di quella che è stata finora la battaglia più lunga e sanguinosa del conflitto.

L’amministrazione Biden ritiene inoltre inadeguata la decisione ucraina di preservare uomini e mezzi, preferendo attacchi contro i sistemi difensivi russi condotti da unità di piccole dimensioni su una linea di fronte limitata. Una simile tattica offrirebbe poche possibilità di fare progressi significativi, mentre consente alla Russia di rispondere alle offensive nemiche in maniera efficace. Le opzioni per Kiev sono d’altra parte limitate dal ritmo sconvolgente con cui le forze russe continuano a infliggere perdite di uomini e mezzi.

Altrove viene riconosciuta da parte americana l’inadeguatezza del personale militare ucraino inviato al fronte e, soprattutto, la quasi impossibilità di condurre una controffensiva degna di questo nome senza superiorità aerea. La presa d’atto di queste carenze, peraltro evidenti a chiunque praticamente fin dall’inizio del conflitto, rende ancora più grave l’indifferenza degli USA e della NATO per il costo in termini di vite sostenuto dall’Ucraina per portare avanti una guerra impossibile da vincere in nome degli interessi strategici di Washington.

Un altro riflesso di questa nuova realtà nei rapporti ucraino-americani è rappresentato dall’incertezza crescente sulle possibilità e sulla volontà politica di continuare a finanziare lo sforzo bellico di Kiev. Già prima della controffensiva, in molti a Washington avevano avvertito che le operazioni ora in corso senza successo sarebbero state l’ultima occasione per Zelensky di garantirsi l’appoggio NATO. In caso di fallimento, gli aiuti non sarebbero durati a lungo. Alla luce del disastro che attende le forze ucraine, nonché dell’imminente stagione elettorale negli USA, è molto difficile che l’Occidente sia in grado di farsi carico di un nuovo sforzo per ricostruire per l’ennesima volta un esercito ucraino da mandare al macello contro la macchina da guerra russa.

Il dibattito interno al governo americano e la diatriba tra Washington e Kiev sui metodi di conduzione del conflitto tralasciano in ogni caso deliberatamente l’aspetto decisivo della guerra in corso. Vale a dire la differenza tra Russia e NATO nel sostenere sul piano dell’industria militare lo sforzo di un conflitto moderno tra grandi potenze. In altre parole, mentre le capacità occidentali di garantire armi ed equipaggiamenti all’Ucraina sono andate calando e quasi mai sono state adeguate, il sistema russo si è dimostrato solidissimo sia dal punto di vista militare sia da quello economico.

Con queste premesse, la sorte dell’Ucraina era segnata fin dall’inizio. Le conseguenze sono quindi a dir poco tragiche e, sul campo, si manifestano come ad esempio nella battaglia di questi giorni per la località di Rabotino, nel “oblast” di Zaporizhzhia. In questo villaggio, abitato prima della guerra da poche centinaia di persone, il regime ucraino sta impiegando un numero enorme di uomini in proporzione alla sua importanza strategica, facendo registrare perdite pesantissime. Ciononostante, il controllo ucraino su Rabotino – o quel che resta di esso – non risulta ancora completo.

Mentre le forze ucraine si scontrano contro il muro russo, a Kiev non resta che ricorrere a metodi oggettivamente terroristici che confermano il livello di disperazione del regime e dei suoi sponsor occidentali. Gli attacchi o i tentativi di attacco con droni suicidi contro obiettivi civili in Russia, inclusa la capitale Mosca, occupano ormai le cronache quotidiane della guerra. Queste operazioni non hanno nessuna utilità tattica o strategica, ma sono appunto gesti disperati che puntano a terrorizzare la popolazione civile e, presumibilmente, a minare la fiducia dei russi nel Cremlino.

Ad avallare e rendere possibili le pratiche terroristiche ucraine sono gli stessi governi occidentali. Che la collaborazione NATO sia decisiva era facilmente immaginabile, ma in questi giorni un articolo di The Economist lo ha affermato apertamente. Il magazine britannico ha citato fonti militari ucraine per confermare che Kiev utilizza informazioni di intelligence e dati satellitari occidentali per guidare i propri droni contro bersagli in territorio russo. A livello ufficiale, almeno fino in tempi recenti, esponenti dei governi europei e americano escludevano l’approvazione e l’incoraggiamento di attacchi oltre il confine russo, ma il peggioramento della situazione per le forze armate ucraine sta ormai facendo crollare uno a uno i limiti auto-imposti dalla NATO nella guerra “per procura” contro Mosca.

I media maggiormente legati agli ambienti di potere negli Stati Uniti continuano comunque anche a insistere sulla determinazione dell’amministrazione Biden a sostenere l’Ucraina fino a quando sarà necessario. Di queste ore è la notizia del nuovo pacchetto di assistenza militare destinato all’ex repubblica sovietica, questa volta da 250 milioni di dollari. Talvolta, queste considerazioni si accompagnano all’ammissione dell’impossibilità da parte di Kiev di assestare un colpo decisivo alla Russia sul campo. Quello che si auspica è quindi una sorta di stallo delle operazioni militari che tenga Putin impantanato in un conflitto che non può vincere.

Molte indicazioni suggeriscono al contrario la preparazione di un’offensiva russa forse decisiva, secondo alcuni già in autunno, per altri nella primavera del prossimo anno. Uno stallo presuppone poi una certa parità di forze tra i nemici, mentre le differenze tra le potenzialità russe e quelle ucraine, anche considerando il contributo NATO, restano enormi. Sembra piuttosto che le discussioni su una possibile guerra dalla durata indefinita, così come sulle “garanzie di sicurezza” da accordare a Kiev, siano il sintomo di un’inquietudine crescente per una crisi fuori dal controllo occidentale e per l’approssimarsi di una sconfitta strategica epocale.

Gli eventi recentissimi seguiti al vertice in Sudafrica dei BRICS e i contraccolpi economici che USA e, soprattutto Europa, stanno subendo in seguito al conflitto che avrebbe dovuto indebolire la Russia hanno evidentemente moltiplicato le ansie tra i paesi NATO. Quali che siano le decisioni che verranno prese a Washington sul futuro dell’impegno bellico a fianco di Kiev, la sensazione palpabile è che risulterà molto difficile per l’Occidente sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni, mentre, sul campo, sarà in definitiva Mosca a decidere i tempi e le modalità dell’epilogo della tragedia ucraina.

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