Sotto la sigla BRICS, si è riunito a Johannesburg un consesso che, con i nuovi entrati - Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Argentina, Eritrea ed Etiopia - dal 1 Gennaio del 2024 rappresenterà il 47% della popolazione mondiale e il 37% del PIL planetario. Se si pensa che alla sua nascita, nel 1995, rappresentava solo il 16,9 del PIL, che nel 2010 arrivò al 26,1, si capisce come l’incremento sia inversamente proporzionale a quello del G7, che è passato dal 66% del 1990 al 46% di oggi.

Un confronto che sarà sempre più impietoso per l’Occidente. Secondo il Presidente cinese, Xi Jinping, l’adesione di nuovi paesi “segna un nuovo punto di partenza”. C’è in effetti un dato che, più di ogni altro, suffraga le parole del leader cinese: con l’ingresso dei nuovi paesi, il blocco del Sud globale arriva a avere tra le sue fila i primi 9 produttori di idrocarburi del mondo, oltre il 61% della produzione; e quando si aggiungeranno altri paesi come Venezuela e Algeria, il dato sarà ancora più netto. Arriveranno ad irrobustire ulteriormente i BRICS anche giganti demografici come Indonesia e Pakistan, paesi di importanza strategica come Turchia, Tunisia e Algeria, di grande interesse geopolitico e valore ideologico come Nicaragua, Cuba e Venezuela.

 

Il vertice era particolarmente atteso per diverse ragioni. Tra queste l’approvazione delle procedure e dei criteri per le nuove adesioni, l’ampliamento della cooperazione tra i paesi membri senza l’utilizzo del Dollaro, le piattaforme alternative di pagamento, la crescita del ruolo della Banca dello Sviluppo; si è deciso di approfondire la cooperazione in materia di sicurezza alimentare all’interno del gruppo.

Il documento finale di Johannesburg è, nei fatti, un manifesto dell’Ordine Nuovo Internazionale che s’intende perseguire. C’è l’impegno per il multilateralismo e la difesa del Diritto Internazionale, del quale si considera l’ONU la pietra angolare, ma si chiede una riforma del suo Consiglio di Sicurezza che preveda maggiore presenza dei paesi in via di sviluppo, per i quali si chiede anche maggiore rappresentatività negli organismi internazionali e nei fori multilaterali; si conferma l’opposizione alle sanzioni unilaterali e alle barriere doganali, anche quando vengono imposte con la scusa della tutela dell’ecosistema di fronte ai cambi climatici; infine, si richiede lo sviluppo di una convenzione internazionale per la lotta all’uso fraudolento e delittuoso delle tecnologie informative e di comunicazione.

I BRICS si propongono come attori centrali della nuova governance globale: esprimono preoccupazione per i conflitti nel mondo e insistono sul dialogo come metodo di soluzione delle controversie internazionali. Appoggiano la soluzione pacifica dei conflitti in Ucraina, Niger, Libia, Sudan e sul programma nucleare iraniano e sostengono il rafforzamento degli accordi di non proliferazione per le armi di distruzione di massa.

 

La sfida per un nuovo ordine mondiale

L’idea di fondo è quella di un nuovo disegno planetario, dove siano l’inclusione, le politiche equitative, lo sviluppo armonico e il commercio in parità di condizioni, il motore di un nuovo modello di economia globale. Un’alternativa alle politiche escludenti del turbo-liberismo, mantra ideologico del G7. Una contrapposizione fruttuosa, visto che, come ha ricordato Vladimir Putin nel suo intervento, “la crescita stimata per i paesi del G7 nel 2024 è dell’1,4 del PIL, mentre per i paesi aderenti ai BRICS la crescita sarà del 4%”.

Com’è ovvio, non si tratta solo di dottrine economiche contrastanti: come premessa e conseguenza di un simile disegno economico, c’è la parte più politica che è alla base del modello che propongono, che rifiuta qualunque egemonia nelle relazioni internazionali e indica come prioritario il rispetto della sovranità nazionale di ogni paese e il principio di non ingerenza nei suoi affari interni e sul modello politico e sociale che persegue.

Quello che si evidenzia nel confronto con l’unipolarismo occidentale è anche la diversa dimensione ed il diverso impatto sul pianeta dei due blocchi. Quello occidentale controlla le leve della finanza mondiale, ma il Sud globale possiede gli alimenti, l’acqua e tutte le risorse fossili (idrocarburi su tutte) e minerarie, le terre rare, i beni strategici di suolo, sottosuolo e mari. E’ lo scontro tra due modelli di governance: uno, il sistema dominante, energivoro e bellico; l’altro, insorgente, con una nuova idea di cooperazione e sicurezza reciproca. E’ la lotta tra un capitalismo senza capitali, con una ricchezza fatta di carta, contro la ricchezza di beni primari e secondari necessari. Il Nord minaccia e sanziona, ma il Sud Globale, capace di progressi tecnologici altissimi e dotato di sovranità politica e sistema di alleanze internazionali, ara il terreno del mondo che verrà.

 

Unilateralismo o multipolarismo?

La guerra in Ucraina ha dato accelerazione e profondità al conflitto politico con l’Occidente collettivo, sulla lettura e sulle conseguenze della guerra. In aperto rifiuto delle sanzioni che hanno preceduto e seguito l’attacco strategico NATO contro la Russia, i BRICS hanno sostenuto Mosca arrivando -  come ha ricordato Putin nel suo intervento – ad uno scambio commerciale di 230 miliardi di Dollari”. In questo incremento dell’import/export con la Russia, c’è un elemento di interesse commerciale e anche un riconoscimento politico verso un Paese che svolge una funzione di traino a questa porzione di mondo, alla quale offre sostegno politico, alimenti e idrocarburi per lo sviluppo e sicurezza nella lotta contro il neo-colonialismo.

Sul piano delle politiche finanziarie, si è data una robusta accelerazione alla de-dollarizzazione. La progressiva implementazione degli scambi in valuta locale e la ricerca dei meccanismi e dei tempi nei quali i BRICS potranno dotarsi di una loro Divisa, è stato un altro dei temi trattati nel vertice. Secondo quanto dichiarato dal Presidente sudafricano Ramaphosa, i leader BRICS hanno incaricato i ministeri delle finanze e le banche centrali dei loro paesi di valutare la possibilità di lanciare strumenti e piattaforme di pagamento basati sulle valute nazionali.

Parallelamente, proprio la necessità di sottrarre i finanziamenti internazionali e il credito all’abuso politico che l’Occidente fa degli organismi finanziari internazionali, la Banca dello Sviluppo vedrà crescere costantemente il suo ruolo.

Il procedere a tappe forzate verso la de-dollarizzazione è lo squillo di tromba più minaccioso per gli USA, che contraggono debito internazionale senza doverlo pagare, limitandosi solo a stampare altra moneta. Il che tiene in piedi un modello fallito ma altera profondamente l’intera economia mondiale a tutto vantaggio di Washington.

 

I prossimi arrivi

Il numero di paesi che chiedono l’ingresso nei BRICS, appare un dato aggiornabile mese dopo mese e ciò, di per se stesso, è una ulteriore minaccia all’Occidente sordo e rapace. Perché questi paesi, pur se a geometrie variabili, rappresentano la forza maggiore del nuovo mondo che scalza il vecchio. Il Sud globale cessa di essere un punto geografico e si fa soggetto politico, irrompendo nello scenario planetario. La sfida all’Ordine Internazionale inauguratosi con la caduta del campo socialista, che ha reso evidente proprio nel massimo della sua potenza il fallimento strategico del liberismo imperiale, è lanciata.

A contrapporsi non ci saranno più solo paesi con una storia ed una identità socialista, pure decisivi e trainanti: si assoceranno anche paesi che, pur ideologicamente dissimili, trovano con il Socialismo del terzo millennio consonanze strategiche, profili identitari e procedure condivise nel rifiuto di un sistema unipolare e nella ricerca di uno multipolare.

Per questo la riunione di Johannesburg non ha avuto nulla di routinario, e ben lo sanno le cancellerie e i media del mainstream imperiale, che mai fino ad ora si erano così interessati alla vicenda BRICS, considerata priva di rilevanza strategica. Hanno sempre ritenuto le differenze maggiori che le consonanze. Errore tra gli errori.

Il vertice appena concluso rappresenta invece un passaggio fondamentale nella costruzione di una struttura di governance alternativa, con una parte del pianeta che non intende più reagire sporadicamente ed ognuno per sé alla prepotenza imperiale. Quel tempo è finito, siamo in un’altra fase.

Johannesburg ha evidenziato come il progetto di costruzione di regole e procedure economiche e finanziarie internazionali sia parte essenziale e non marginale di un generale progetto politico alternativo a carattere globale. L’anti-imperialismo non è più solo una teoria politica, è divenuto una necessità irrinunciabile, disegno di un futuro possibile o assenza dello stesso. Quel mondo diverso, rappresentato dai paesi emergenti, si alza a dichiarare che l’unipolarismo non è l’ultima pagina della storia.

Che c’è un nuovo libro fatto di equità, equilibrio, rispetto e valorizzazione di tutti e fra tutti, che ha nell’ascolto reciproco e nella comune sicurezza le chiavi che aprono le porte di questo nuovo secolo. Questa la sintesi di Johannesburg: il cammino è a buon punto, nulla sarà più come prima, il mondo sarà diverso. E che l’annuncio venga dalla capitale di una nazione che grazie all’internazionalismo vide la sconfitta dell’apartheid, evoca un segnale simbolico dai mille significati. Uno più dolce dell’altro.

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