Il faccia a faccia di Sochi dopo quasi un anno tra Putin ed Erdogan non ha come previsto risuscitato l’accordo del Mar Nero sul grano né, tantomeno, ha dato un qualche impulso al processo diplomatico per la sospensione delle ostilità in Ucraina. Queste aspettative appartenevano tuttavia soprattutto a governi e commentatori occidentali, mentre il senso del vertice di lunedì andava ricercato con ogni probabilità altrove. L’interesse principale risiedeva piuttosto nella verifica dello stato dei rapporti tra i due leader e i rispettivi paesi dopo le elezioni in Turchia del maggio scorso e il presunto riallineamento strategico di Erdogan verso occidente.

 

L’accordo sull’esportazione di grano ucraino attraverso la rotta del Mar Nero non aveva alcuna possibilità di essere ristabilito vista l’assenza di segnali positivi nei confronti di Mosca da parte di Europa e Stati Uniti. Putin non ha potuto così che ribadire le condizioni necessarie alla reintroduzione della “Iniziativa del Mar Nero”, com’è ufficialmente chiamato l’accordo sul grano. Il Cremlino aveva deciso l’uscita unilaterale dall’accordo nel luglio scorso perché non erano stati soddisfatti i termini concordati a favore della Russia, vale a dire la cancellazione delle sanzioni che bloccano l’esportazione dei propri prodotti agricoli e la riammissione della Banca Agricola russa nel sistema internazionale di transazioni finanziarie SWIFT.

Erdogan ha cercato di dare una nota di ottimismo al fallimento dei colloqui con Putin in questo ambito, parlando di una nuova proposta in fase di studio in sede ONU. Il segretario generale Guterres si sarebbe infatti mosso per risolvere l’esclusione della banca russa dal circuito SWIFT, ma qualsiasi eventuale progresso potrà avvenire solo se cesseranno tutte le restrizioni all’export agricolo russo. È d’altra parte l’Ucraina ad avere più bisogno dell’accordo della Russia, la quale continua a esportare grano e fertilizzanti.

Dopo l’uscita dall’accordo, infatti, Mosca aveva annunciato di considerare come potenziale obiettivo militare tutte le imbarcazioni non autorizzate in transito nel Mar Nero. Il blocco rappresenta un ostacolo enorme per il regime di Kiev, che si è visto chiudere la rotta per le esportazioni di grano, oltretutto con crescenti difficoltà di stoccaggio. Un ulteriore schiaffo all’Ucraina è stato poi l’accordo presentato a Sochi tra Russia, Turchia e Qatar, secondo il quale Mosca donerà un milione di tonnellate di grano ad alcuni paesi africani, dove arriverà dopo essere stato processato in territorio turco e grazie al finanziamento dell’emirato mediorientale.

Lo stesso Erdogan ha sostanzialmente sposato la versione russa sull’accordo, quando ha auspicato che venga posto rimedio alle “carenze” dell’iniziativa. Kiev, inoltre, secondo il presidente turco dovrà avere un approccio più ragionevole alla questione. I commenti dei media occidentali seguiti all’incontro tra Erdogan e Putin hanno invece evidenziato l’atteggiamento rigido e i presunti diktat di quest’ultimo, tralasciando anche di ricordare due altri aspetti dell’accordo. Il primo è che solo una minima parte del grano ucraino esportato fino alla metà di luglio era stato destinato a paesi poveri; la gran parte se l’era assicurata invece l’Europa. Il secondo è che il regime di Zelensky aveva approfittato del corridoio istituito nel Mar Nero per movimentare armi ed equipaggiamenti militari.

Altri temi di maggiore peso per Russia e Turchia hanno ad ogni modo tenuto banco a Sochi. Il più caldo è senza dubbio la creazione in Turchia di un “hub” regionale attraverso il quale il gas russo verrebbe venduto in Europa. Il progetto è allo studio da tempo e viene considerato della massima importanza da Ankara. Ironicamente, un nuovo sistema con al centro la Turchia è visto con interesse anche da quei paesi europei, a cominciare dalla Germania, che stanno subendo le conseguenze più gravi del venir meno o del ridimensionamento degli approvvigionamenti di gas russo attraverso l’Europa orientale.

L’altro ambito dal maggiore peso strategico della partnership russo-turca è quello dell’energia nucleare. Nei mesi scorsi, Erdogan e Putin avevano inaugurato la prima centrale turca, costruita con tecnologia russa, nella località di Akkuyu. A Sochi i due presidenti hanno ora discusso la possibile costruzione di una seconda centrale nucleare, probabilmente nella città di Sinop, sul Mar Nero.

Sul piano della cooperazione regionale, Erdogan e Putin hanno fatto infine il punto della situazione nelle aree di crisi dove gli interessi di Russia e Turchia si sovrappongono o si scontrano più o meno apertamente. Dalla Siria alla Libia fino al Caucaso meridionale, i motivi di scontro e, allo stesso tempo, di collaborazione sono molteplici, ma ciò che è emerso dal vertice è la volontà di continuare a discutere e mantenere aperti canali di comunicazione.

C’erano insomma parecchie perplessità sulle scelte fatte da Erdogan dopo il successo elettorale di maggio. Il cambiamento di rotta e il riavvicinamento agli Stati Uniti e agli alleati NATO sembrava essere stato confermato anche dal successivo cordiale incontro con Zelensky a Istanbul, dove, con un gesto simbolico mal digerito da Mosca, Erdogan aveva rilasciato alcuni comandanti del battaglione neo-nazista Azov sotto custodia turca e che il governo di Ankara si era impegnato a non liberare prima delle fine della guerra.

Il comportamento del presidente turco a Sochi ha invece preso molti di sorpresa in Occidente. Poco dopo lo storico vertice dei BRICS in Sudafrica, Erdogan ha ribadito in particolare l’intenzione di continuare a giocare sul tavolo del multipolarismo. Un’attitudine che ha evidenziato nel corso del vertice di lunedì quando ha ad esempio sottolineato la necessità di utilizzare, al posto del dollaro, le valute di Russia e Turchia negli scambi commerciali bilaterali. In generale, Ankara non intende ridimensionare i rapporti con Mosca, tanto che è stato lo stesso Erdogan a celebrare la crescente diversificazione dei commerci e a fissare, in questo ambito, l’obiettivo del raggiungimento nel prossimo futuro della soglia dei 100 miliardi di dollari annui.

L’amicizia con Putin o la volontà di assecondare il presidente russo sono in definitiva fattori che non incidono, oppure incidono in minima parte, sulla natura dei rapporti tra Russia e Turchia. Le scelte turche sfuggono in larga misura alla comprensione occidentale precisamente perché sono improntate a una politica estera indipendente modellata sugli interessi nazionali, cosa ormai di fatto sparita dai processi decisionali soprattutto europei. In questa prospettiva, è perfettamente normale che Erdogan continui a trovare in Putin un interlocutore con cui discutere temi controversi, ma anche fare affari e costruire le basi per il consolidamento di una partnership strategica.

Una condotta, quella di Erdogan, che, sia pure con tutti gli errori e i limiti mostrati in due decenni al potere, andrebbe considerata con estrema attenzione in un’Europa paralizzata dal servilismo verso Washington e incapace di individuare una via d’uscita percorribile alla disastrosa avventura della guerra in Ucraina.

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