Definito da tutti i partecipanti e dall’insieme degli osservatori un “compromesso accettabile” tra le resistenze dell’unipolarismo occidentale al mantenimento dell’asse politico in chiave ultra monetarista e le pressioni del Sud globale, che hanno portato all’immissione dell’Africa nell’organizzazione, si è concluso il Vertice del G20 di Nuova Delhi.

 

Il comunicato finale - 37 pagine suddivise in 83 paragrafi – ribadisce alcuni concetti già presenti nelle dichiarazioni di altri fori internazionali, ma il peso di Cina e Indonesia, che hanno appoggiato con forza la volontà indiana di arrivare ad un comunicato finale sottoscritto da tutti i venti paesi partecipanti, ha segnato un punto di novità rispetto al passato.

Particolarmente significativa della divisione tra Nord e Sud è risultata essere la questione ucraina, sulla quale il compromesso finale appare un artificio linguistico che copre una distanza politica tra i 20. L’Ucraina, del resto, rappresenta un elemento paradigmatico dello scontro tra Occidente collettivo e Sud globale: vuoi per le differenze nella lettura del processo politico e militare che ha condotto all’Operazione Militare Speciale russa, vuoi per l’impegno assoluto della NATO nel tentare di procurare una sconfitta militare per Mosca, il conflitto è stato in questi due anni un termometro sì della solidità atlantica ma anche di come l’insofferenza generale del resto del mondo veniva crescendo, apparendo chiaro a molti come si trattasse di ben altro che di una lettura elementare e distorta diffusa erga omnes dai media e dalle cancellerie dell’Occidente collettivo.

Anche in questa occasione gli Stati Uniti e gli europei avrebbero voluto ribadire la condanna alla Russia, come già in passato ad ogni riunione di qualsivoglia organismo. Ma già nella fase preparatoria, alcuni mesi orsono, con il rifiuto del Presidente Modi di invitare Zelensky era apparso chiaro come questo G20 avrebbe segnato una discontinuità con le assise precedenti. E così è stato.

Ha ragione il Ministro degli Esteri russo, Lavrov, nel dire che “l’Occidente non è riuscito ad imporre la sua agenda ucraina ai partecipanti al vertice, grazie all’opposizione ferma dei paesi del Sud”. Nel comunicato finale del vertice, infatti, non c’è nessun riferimento alla Russia come “aggressore” dell’Ucraina, tantomeno un richiamo al sostegno a Kiev; solo un generico quanto scontato invito al rispetto delle sovranità nazionali ed all’integrità territoriale di tutti i paesi, sulla mancanza dei quali la NATO può essere presa ad esempio perdurante dal dopoguerra ad oggi.

Dunque, ritenere l’invito al rispetto dell’integrità territoriale espresso nel comunicato solo ed esclusivamente valido per Mosca e non per Washington e Bruxelles, sarebbe frutto di una lettura ridicola e faziosa. Che non manca, certo, la si può trovare nei media atlantisti che, costretti a dover registrare la rabbia di Kiev, cercano di coprire il fiasco politico con le notizie sui bombardamenti di oggi e i missili a media gittata USA che potrebbero arrivare.

La stampa atlantista grida allo scandalo perché rispetto al comunicato dello scorso anno al Vertice tenutosi a Bali, dove si imputava la Russia di “aggressione” e si chiedeva il ritiro russo “completo e incondizionato”, questa volta la lettura degli avvenimenti è ben più moderata e tendente al rispetto delle diverse letture di quanto avviene. Non a caso la reazione di Kiev al comunicato è stata rabbiosa quanto impotente. Ma è cortina fumogena, perché dopo il Vertice BRICS, l’Occidente sperava di poter schierare il G20 su posizioni per alcuni aspetti simili a quelle del G7. Niente da fare: appena si amplia il perimetro, il campo occidentale diventa pieno di buche.

D’altra parte, nonostante le promesse di aiuti militari riconfermati dal Segretario di Stato USA Blinken nel suo recente viaggio a Kiev, la china degli aiuti occidentali appare evidente. Gli USA hanno fino ad ora versato nelle casse della banda di Kiev ben 44 miliardi di Dollari, cifra più di quanto speso in 20 anni in Afghanistan, tanto per fare un esempio di come la guerra contro la Russia fosse stata e sia tutt’ora uno degli obiettivi strategici primari della Casa Bianca e del deep state che la governa. Ma le condizioni drammatiche della crisi sociale negli USA, l’avvicinarsi della scadenza elettorale e, soprattutto, l’evidente superiorità militare russa sul terreno (che ha dimostrato come la famosa controffensiva fosse una balla mediatico-politico e poco altro) stanno progressivamente cambiando il quadro d’insieme del conflitto.

La NATO non può continuare per molto a sostenere con denaro, truppe scelte, consiglieri e mercenari un esercito come quello ucraino che, semplicemente, non esiste più. A finirlo, dopo l’attacco russo che già nei primi giorni dell’operazione militare speciale mise a terra aviazione, flotta e depositi di munizioni, ci hanno pensato i generali ucraini, che hanno mandato al macello centinaia di migliaia di soldati per garantirsi il proseguimento degli aiuti occidentali ed avere così la possibilità di riempirsi di fama e denaro. Le pressioni sempre più ampie verso l’apertura di un negoziato e la fine di una guerra asimmetrica impossibile da vincere per Kiev rendono ora l’Ucraina consapevole del suo progressivo isolamento. Da qui l’isteria di Zelensky, che in pochi giorni ha messo nel campo dei suoi nemici il Papa, la Cina e adesso anche tutti i paesi del G20. Di questo passo resterà solo con la famiglia Biden.

 

Lanuova mappa del G20

Il significato più importante di questo mutamento di posizione nei confronti di una crociata ormai persa mette in evidenza il modificarsi dei rapporti di forza politici all’interno del G20. E’ l’assunzione di ruolo determinante da parte del Sud globale che pesa politicamente. Non si misura più solo la distanza tra ricette economiche e commerciali nella governance mondiale tra Sud globale e Nord a trazione statunitense: i paesi BRICS e quelli che con essi condividono la necessità di ridurre il peso politico e geostrategico della minoranza anglosassone sul pianeta, aggiungono peso politico e strategico, mostratosi già con forza nel rifiuto di aderire alle sanzioni occidentali contro Mosca (e anzi incrementando il volume degli scambi commerciali) ed evidenziano con nettezza come la lettura politica del Sud globale sullo scenario internazionale non può più essere vista come elemento secondario, alla fine ininfluente.

Il Nord anglosassone e l’impero mediatico che lo sostiene e dal quale è sostenuto, può anche illudersi sulla eterogeneità del blocco che riunifica il Sud globale, confidando sull’impossibilità prospettica di un fronte politicamente compatto. Ma si tratta di ingegneria geopolitica di basso profilo, di venatura politicista priva di profondità analitica.

Da Nuova Delhi emerge invece l’espressione di un blocco di Paesi che sostengono le diverse scelte economiche e i diversi modelli di relazione internazionale integrandoli in una piattaforma politica globale. Emerge altresì la crisi del disegno egemonico occidentale, che, già insito nel modello economico, ha prodotto una sua ulteriore accelerazione con la guerra scatenata nel cuore dell’Europa con l’obiettivo di colpire Russia, Cina e l’Europa stessa, per impedire la nascita di una Eurasia in grado di esercitare un ruolo enorme nel governo degli affari globali.

Il Vertice ha poi registrato un processo di riforma interna sancito dall’ingresso dell’Africa, che testimonia l’affacciarsi del continente sulla scena del governo mondiale proprio mentre vive una stagione politicamente importantissima, che segna il percorso emancipatorio e liberatorio dal neocolonialismo europeo.

Il G20 è stato dunque un passaggio positivo ed importante nel disegno di un Nuovo Ordine Mondiale che poggi sull’inclusione collettiva dei paesi maggiormente rappresentativi. Un processo che va crescendo e che è sotto gli occhi di tutti i paesi del mondo, sia quelli che vedono con preoccupazione il venir meno del loro dominio, sia - a maggior ragione - per coloro i quali vedono l’inizio di una nuova era, che può disegnare il terzo millennio con le sembianze di un modello giusto e percorribile per un mondo più equilibrato e sensato. Che abbia come riferimento l’indice GINI e non quello di Borsa.

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