Prima taglia luce e acqua e impedisce l’ingresso di cibo e personale sanitario delle Nazioni Unite. Poi indica l’uscita a Sud di Gaza per i civili, salvo bombardarli appena si mettono in viaggio. La “unica democrazia del Medio Oriente” spara sui civili in fuga. Vuole lavare nel sangue l’onta militare subita e ignora il richiamo di tutti gli organismi internazionali che sostengono il diritto alla difesa ma non alla rappresaglia sui civili, contraria al diritto umanitario internazionale. Anche l’OMS attacca le decisioni di Israele sul trasferimento di 22 ospedali: semplicemente impossibile, moriranno tutti i pazienti. Israele disegna la sua etica e la sua virtù militare in un unico orrore.

Falso il racconto di bombe per colpire i terroristi: Hamas li aspetta nei bunker. Sono i civili palestinesi l’obiettivo vero dell’artiglieria e dell’aviazione ebraica. Per terrorizzare oggi e rubare le terre di chi va via domani, per proseguire l’espansione coloniale israeliana sui territori palestinesi. Quelli che usciranno da Gaza non vi rientreranno più. E’ un’operazione di sostituzione etnica, non di antiterrorismo. E’ questo il senso profondo della rappresaglia israeliana: uccidere e cacciare per poi meglio occupare. E non c’entra Hamas e il terrorismo: faceva lo stesso anche prima del 2006 quando governava Al Fatah (OLP) alla quale, pure, etichettava come terrorista.

 

Oltre trecentomila soldati, dotati di dispositivi hi-tech, sono ammassati di fronte a Gaza pronti a sferrare l’attacco definitivo. Non è ancora chiaro il quando e, tutto sommato, nemmeno il se. Ma questo numero soverchiante di soldati lascia inevitabilmente scoperte altre zone di Israele e potrebbe rivelarsi un problema nel caso Tsahal fosse attaccata da più parti, ovvero se anche da Siria e Libano, quest’ultimo stanco di ricevere bombe israeliane da ormai cinque giorni. Per questo dopo la portaerei USA Ford arriva anche la Eisenhower, per attaccare Libano e Siria con la scusa di proteggere Israele e per timore di un coinvolgimento iraniano. Intanto l’ambasciata USA offre l’uscita da Haifa per gli statunitensi che si trovano in Israele, a confermare quanto nessuno crede ad una guerra lampo e senza conseguenze per lo Stato ebraico.

L’annunciata invasione di terra ritarda: non per motivi umanitari ma perché non c’è il consenso internazionale necessario e anche perché il costo in vite umane che i soldati di Tel Aviv pagherebbero entrando a Gaza con la fanteria sarebbe alto. Per questo gli appelli alla popolazione a spostarsi verso l’Egitto: Gaza piena di gente significa, per Israele, Gaza piena di insidie militari. Vedono nella scesa a terra delle truppe il pericolo maggiore e non a caso lo fanno precedere da bombardamenti massicci tesi a distruggere e a terrorizzare, vogliono il deserto nella speranza di ridurre al minimo la resistenza quando si tratterà di combattere metro per metro e dove la balistica dei missili e dell’artiglieria servirà a poco.

Come uscire da questa tenaglia di orrore e barbarie non è facile. Si disegnano scenari poco rassicuranti sulla durata della guerra e sul suo possibile allargamento ad altri territori. Russia e Cina sono con i palestinesi. Il Qatar annuncia la sospensione del gas a tutti se l’assedio su Gaza non si spezza, Hezbollah si dice pronta a correre in aiuto dei palestinesi e lo stesso Iran - così affermano fonti anonime Onu - ha avvertito il Segretario Generale che se Gaza viene invasa Teheran interverrà direttamente. Se ciò avvenisse, la Terza guerra mondiale smetterebbe di essere uno spauracchio e si trasformerebbe in tragica imminenza.

Israele deve aver compreso che non può fare quello che vuole nel momento che vuole. Quello che l’aspetta è ben altro che una organizzazione palestinese. Inoltre, si registra come non solo l’opinione pubblica internazionale guardi con favore alla causa palestinese ma persino come gli organismi internazionali non intendano tacere sulle modalità del conflitto e, alla condanna per Hamas, fanno seguire moniti e avvertimenti per Israele.

Nell’Occidente collettivo, sebbene a Israele venga professata tutta la solidarietà possibile, nessuno oltre gli USA parla di aiuti militari ed emergono prese di distanza. Non bastano le follie dittatoriali di Francia e Gran Bretagna che, “maestre di democrazia”, definiscono terrorismo qualunque posizione a favore dei palestinesi, indicando come reato persino l’esibizione della loro bandiera. Strano concetto di democrazia da parte di chi pretende dai governi del resto del mondo la tolleranza delle opinioni contrarie.

 

I giocatori di un gioco truccato

Impossibile cogliere ora il punto di ricaduta di questa guerra, ma sin da ora si può affermare che le conseguenze sono tutte negative per l’Occidente.

Vittima geopolitica di questa guerra è proprio l’accordo tra Arabia Saudita e Israele, che aveva come obiettivo il riconoscimento formale dello stato di Israele da parte di uno stato arabo. Il che, dal punto di vista simbolico, avrebbe importanza storica. Oggi quell’accordo appare difficile anche solo da immaginare, al momento è un accordo congelato. Per quanto? Saranno le modalità con cui Israele condurrà la sua nuova avventura militare a Gaza e nei territori circostanti a determinarlo.

L'operazione era stata fortemente voluta dagli Stati Uniti, che intendevano consolidare la loro leadership politica e militare sul Medio Oriente e sul Golfo Persico attraverso un accordo tra i suoi maggiori alleati della regione. Biden intendeva rinvigorire il ruolo USA che da Camp David a Oslo indica Washington come attore ineludibile per la pace, nascondendo la storia vera; quella che racconta di guerre e occupazioni militari condotte in primo luogo a salvaguardare gli interessi USA su una delle zone del mondo strategicamente più importanti.

La difficoltà di proseguire con l’accordo è adesso tutta di Riyad, che in qualità di custode dei luoghi sacri dell’Islam è riferimento storico e religioso di tutto l’Islam sunnita. La monarchia wahabita, pur interessata all’accordo, non può però permettersi il lusso di ignorare l’indignazione generale del mondo arabo per il genocidio dei palestinesi, oltretutto lasciando agli gli sciiti il ruolo di unici difensori di Gaza.

Peraltro la sua relazione con Washington risente della riduzione del ruolo strategico degli USA in Medio Oriente e nell’area del Golfo, concomitanti alla vittoria di Mosca in Siria ed alla crescita di ruolo iraniano. Due fattori che hanno indotto MBS ad operare con i suoi alleati storici con una manovra di consolidamento, ma il giro storico in corso nelle due regioni non sembra assicurarne l’efficacia.

La parte sottostante l’accordo era l’isolamento dell’Iran. L’Arabia Saudita, benché grazie alla mediazione cinese abbia siglato con Teheran la riapertura delle relazioni diplomatiche e, pur condividendo il posizionamento nei BRICS, ha nell’Iran il paese-guida degli sciiti, ovvero una parte consistente del mondo musulmano ostile ai sunniti.

Israele, da parte sua, ha nell’Iran la maggiore minaccia al suo ruolo di potenza regionale ed alla sua politica espansiva a danno di palestinesi, siriani, libanesi. Sebbene dotata di atomica, è conscia di avere un territorio così piccolo che anche solo ordigni nucleari tattici a raggio limitato sarebbero sufficienti a distruggerla. E pur se ritiene disporre del miglior sistema difensivo, sa perfettamente che basta che anche solo un ordigno passi le difese e i danni sarebbero letali.

Ma soprattutto Israele ha interesse nell’isolamento dell’Iran per il ruolo di guida che ha verso Hezbollah in Libano, Hamas a Gaza a i Fratelli musulmani in Egitto, oltre che l’amicizia con il governo siriano. Il loro crescente peso militare mette a rischio le politiche coloniali di Tel Aviv, che continua ad occupare illegalmente anche il Sinai egiziano e le alture del Golan siriane.

USA, Arabia Saudita e Israele, hanno quindi l’interesse comune nel limitare il ruolo e la potenza di Teheran. Per gli USA è una minaccia politica e strategica, per l’Arabia Saudita è politica, religiosa e commerciale, per Israele è militare e strategica. Vedono l’Iran ridotto al lumicino, fiaccato dalle sanzioni, in preda a crisi politiche interne. Ma non è affatto così.

Il ruolo dell’Iran nello scacchiere internazionale è in crescita, le relazioni economiche eccellenti con la Cina (con la quale commercia nelle rispettive valute nazionali) e l’intesa economica, politica e militare con la Russia, ne hanno ampliato il raggio d’azione. Con gli stessi Stati Uniti ha avuto luogo un processo di parziale distensione, concretizzatosi nello scambio avvenuto tra prigionieri statunitensi e lo sblocco di 6 miliardi di Dollari congelati per via delle sanzioni USA.

Essere indicato come retroterra finanziario, politico e militare di Hamas non è per Teheran un problema, anzi gli consente di presentarsi dinanzi alle masse arabe come sostenitore irriducibile (insieme alla Siria) per “la causa principale” (così la chiamava Gheddafi) dei popoli arabi e rappresenta oggi le istanze più radicali della popolazione araba e persiana.

 

L’unico cammino è cambiare cammino

Più che portaerei e truppe ciò che servirebbe all’Occidente è un piano di coinvolgimento progressivo dell’Iran in un processo di pacificazione dell’intera regione. Il peso e l'influenza di Teheran non consentono accordi regionali senza la sua partecipazione. Non si tratta di ideologia, ma di realismo politico. Il dominio israelo-statunitense è causa ed effetto della destabilizzazione permanente che trasforma una terra di cultura millenaria e risorse strategiche in una desolata ed inumana zona di guerra. Pensare di dominare con la forza per altri decenni è una pia illusione che può costare cara.

Come evidente dal 1967, la soluzione alla questione palestinese era e resta politico-negoziale. Non c’è possibilità, da parte palestinese, di prevalere in uno scontro militare diretto con Israele ma non c’è nemmeno la possibilità di cacciare i palestinesi dalla loro terra. Ne è consapevole la stessa Hamas, che nel 2017 dichiarò di accettare la fondazione di uno Stato palestinese solo sul territorio di Gaza e della Cisgiordania (il che rappresenta un riconoscimento implicito di Israele).

Un possibile accordo non muterà gli odi incrociati, e da parte palestinese comprensibili, visto che gli sono stati sottratti terra, diritti, identità e futuro e che il prezzo di sangue pagato per la loro sopravvivenza gli assegna a buon diritto la definizione di popolo eroico. Ma gli eroi non hanno paura di parole di pace, sono i prepotenti a temerne anche solo il suono.

 

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