Annullati i vertici bilaterali con Giordania e Autorità palestinese, snobbati i colloqui da parte saudita, poste serie condizioni da parte dell’Egitto, bloccate le trattative per gli accordi di Abramo, in aperto scontro con le commissioni ONU sui diritti umani, spaccata la UE che sfiducia la sua presidente dall’eccessivo ardore filo-israeliano, la miglior alleata degli USA in Europa, assegnazione del ruolo di protettore e garante dei palestinesi a quell’Iran che Biden voleva isolare da tutti, palestinesi in primo luogo: la missione di Biden in Medio Oriente è stata un fiasco totale.

E certo non ha aiutato prima far giungere due portaerei nucleari, con 20.0000 marines a bordo e nuovi aiuti militari per Tel Aviv e poi porre il veto alla Risoluzione del Consiglio di Sicurezza a firma russa che chiedeva un immediato cessate il fuoco mentre si cercava il dialogo con i paesi arabi e l’Autorità palestinese. Difficile immaginare maggiore rigidità ideologica mista a idiozia politica.

 

Questo e altro hanno segnato il viaggio di Biden come un fallimento politico e diplomatico come pochi altri nella storia statunitense, che racconta in parte il progressivo declino di una Casa Bianca che ormai non spaventa e non conforta più nessuno.

La crisi israelo-palestinese è ormai evoluta in crisi regionale dato il vizietto israeliano di bombardare ogni paese che lo circondi anche senza nessun motivo. Biden voleva prendere in mano la situazione e gestirla secondo gli interessi statunitensi, ben rappresentati dalle due portaerei, per disporre del massimo di dissuasione verso tutti e potersi mettere al centro del tavolo per fissare le regole del gioco e dare le carte. La linea prevedeva da una parte l’assoluta fedeltà a Israele, procura militare dei suoi interessi strategici, dall’altro la coercizione condita da minacce e promesse verso quei paesi che, pur inseriti in uno schema ampio di alleanze con l’Occidente, non sono però considerati affidabili politicamente sul medio-lungo termine.

Il fallimento della missione di Biden è andato in onda sin dal primo giorno del suo arrivo, dato che il bombardamento israeliano dell’ospedale battista a Gaza ha prodotto da parte araba una reazione dura nella forma e netta nei toni, che danno alla Casa Bianca la responsabilità degli eventi. E la presenza di due flotte nucleari nell’area è stata - giustamente - interpretata come una minaccia ed una disponibilità ad affiancare Israele nel caso la guerra vada oltre i confini della Palestina.

Nei piani USA c’è sempre la conquista della Siria e Israele ha bombardato ripetutamente Damasco e Aleppo, pur senza riuscire a provocare danni grazie ai sistemi difensivi russi. Non a caso il presidente russo, Vladimir Putin, da Pechino, dove assisteva al 10 anniversario della Belt and Road Initiative, ha dichiarato: “Vedo che sono giunte due portaerei USA nel Mediterraneo e informo che si trovano a tiro dei nostri missili ipersonici Iskander. Non lo dico come avvertimento, solo per ricordarlo”.

Abdallah di Giordania e Abu Mazen hanno rifiutato l’incontro con Biden e lo stesso MBS ha tenuto Blinken in attesa per 24 ore a Riyad. Dal punto di vista diplomatico e protocollare è stato un autentico schiaffo sferrato sul viso di chi ritiene di essere il paese più grande, più forte ed importante del pianeta. Ricorda platealmente come gli schemi delle alleanze precedenti alla  guerra in Ucraina siano cambiati e come il nuovo assetto internazionale, che vede questi paesi come membri dei BRICS o aspiranti tali, scrive copioni decisamente diversi dai film visti in passato.

Le piazze di tutto il mondo hanno visto mobilitazioni a sostegno dei palestinesi e con maggior forza, naturalmente, nei paesi arabi, i cui governi avvertono la pressione popolare a favore di Gaza di cui non possono non tener conto. La conseguenza è il repentino indebolimento delle leadership arabe o islamiche più pro-occidentali o meno anti-israeliane (Egitto, Giordania, Arabia saudita, Emirati) che agli USA assegnano la corresponsabilità con Israele del massacro di palestinesi e ritengono che non fermare la rappresaglia israeliana su Gaza e rifiutarsi di chiedere garanzie per i civili palestinesi li ponga nella stessa identica posizione di Israele. Opinioni del resto confermate dal recentissimo voto in sede ONU dove l’Occidente collettivo ha bloccato una risoluzione presentata dalla Rusia e altri per chiedere lo stop dei bombardamenti ed un immediato cessate il fuoco.

La visita di Biden serviva a rilanciare gli accordi di Abramo, trasformando la dichiarazione congiunta del 2020 tra Emirati Arabi, Barhain e Stati Uniti in un vero e proprio accordo politico tra le monarchie del Golfo e Israele, con il placet di Egitto e Turchia. Era e resta il piano strategico degli USA, avente come fine il consolidamento della sua posizione dominante e, ancor più, l’isolamento dell’Iran, che insieme alla Siria è l’autentico nemico dell’espansionismo israeliano e del dominio statunitense sulla regione mediorientale e sul Golfo Persico. Quell’accordo non è più proponibile, perché era una dichiarazione sulle relazioni israeliano-palestinese che teneva fuori i palestinesi stessi e perché la situazione è completamente mutata, al punto di considerare quella dichiarazione un errore, figurarsi farla evolvere in accordo politico.

L’altro rovescio subito dalla Casa Bianca è stato quello di opporre il veto all’ONU alla mozione russa sul cessate il fuoco, votata anche da altri paesi e bloccata da USA e GB.

Il Segretario generale, Guterres, ha apertamente criticato Israele accusandola di violare il Diritto Internazionale e l’Unione Europea ha visto una spaccatura ai suoi vertici, con la Presidente della Commissione, Ursula Von der Leyen, scatenata a sostenere i crimini israeliani, che è stata però tacitata e indicata come priva di ogni podestà che non sia quella di portavoce, dal Presidente del Parlamento Europeo e dal Commissario per la politica estera, oltre che da una lettera durissima firmata da 800 alti funzionari dell’istituzione continentale. La corsa della Von der Layen verso la sua riconferma è finita, dovrà trovare un altro obiettivo per le sue note ambizioni.

La situazione sul terreno

A Biden non è riuscita nemmeno una funzione “calmieratrice” nei confronti di Israele. La situazione a Gaza è ormai drammatica. Tel Aviv non ha ancora dato il via all’invasione di terra e non certo per motivi umanitari o per decisione politica. Nell’attesa, non è rimasta con le mani in mano: sono 4600 fino ad ora i morti palestinesi, 193 le scuole e gli asili bombardati, 62 gli ospedali e gli ambulatori, 26 le chiese e i centri di preghiera. Sono le cifre di una rappresaglia alla quale l’Occidente non intende porre fine perché è così che vogliono gli USA. L’annunciata e per ora sempre rinviata invasione di terra della città palestinese è servita soprattutto a poter bombardare a piacimento con l’intento di distruggere ogni edificio e di piegare sotto migliaia di morti la volontà di resistenza dei palestinesi. Cacciarli, distruggerne ogni bene, impedire attraverso il blocco di luce, gas, acqua, alimenti e medicine l’organizzazione militare che dovrà combattere gli invasori israeliani.

Entreranno a Gaza? Secondo le dottrine militari, per una invasione vincente serve un rapporto di 7 a 1 tra invasori e invasi e non è questa la proporzione nei fatti. L’attesa è quindi una decisione militare, che nel prevedere una resistenza accanita degli esponenti di Hamas, che sono calcolati tra i 30 e i 40 mila, cui vanno aggiunti i 15.000 della Jihad islamica e alcune migliaia dell’arcipelago palestinese un tempo interno all’OLP, cerca di ridurre quanto possibile i rischi per la fanteria di Tel Aviv. Fanteria che già due volte in Libano Hezbollah ha sconfitto, evidenziando come non sia affatto coerente con la narrativa di invincibilità che l’industria dell’entertainment e l’apparato mediatico occidentale hanno assegnato all’esercito israeliano.

Ma se, come sembra, Israele vorrà comunque entrare a Gaza, anche solo perché non farlo la esporrebbe ad un ulteriore smacco con conseguente crisi di credibilità proprio sotto il profilo militare, unica vero prodotto d’esportazione, non si tratterà di una avventura semplice e rapida. Dal mare o via terra, dovranno poggiare i piedi sul suolo e allora la situazione sarà meno semplice di come viene descritta dal mainstream, perché vi saranno guerriglieri ben armati e che conoscono palmo a palmo quel territorio e l’immortalità non figura tra le dotazioni hi-tech di Thasal. Non troverà ragazzini armati di fionde che affrontano i carri armati e il combattimento a terra, metro per metro, angolo per angolo, tetto per tetto, non potrà giovarsi degli aerei con ai quali Israele risulta molto più forte. Si prepara, insomma, una guerra sanguinosissima e lunga, anche per Israele.

Il capo della Casa Bianca s’incammina con serie difficoltà all’appuntamento per candidarsi al nuovo mandato. Persino gli USA vedono manifestazioni imponenti a sostegno dei palestinesi, condotte da manifestanti che voterebbero democratico ma non Biden. Specializzarsi in guerre perse (Afghanistan, Siria e Ucraina) comporta anche l’abitudine alla riduzione del proprio ruolo sulla scena globale. Una sovrapposizione feroce e simbolica con quella di un presidente che mostra nell’eloquio e nell’incedere l’inesorabile imboccatura del viale del tramonto. Suo personale e del Paese che rappresenta.

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