I timori dell’Europa per le possibili resistenze di Viktor Orbán all’approvazione di una nuova tranche di aiuti economici per l’Ucraina si sono dissolti rapidamente giovedì durante le prime battute di un vertice che si preannunciava invece molto complicato. I leader europei avrebbero fatto alcune concessioni al primo ministro ungherese, anche se una delle richieste principali di Budapest non sembra essere stata accolta. Resta da vedere se l’accordo preveda condizioni non ancora note oppure se il passo indietro dell’Ungheria, su un provvedimento peraltro potenzialmente disastroso, sia solo il risultato dei ricatti che erano circolati anche a livello pubblico nelle ultime ore.

 

Orbán aveva bloccato lo scorso dicembre il pacchetto da 50 miliardi di euro stanziati a favore di Kiev per i prossimi quattro anni. Per acconsentire al via libera veniva chiesta la suddivisione in quattro tranche annuali, soggette al voto dei 27 membri UE e al possibile veto di ognuno di essi. La richiesta era considerata inaccettabile ed erano state avanzate ipotesi radicali per superare l’ostruzionismo ungherese, come la privazione del diritto di voto di Budapest in sede europea.

Anonimi funzionari europei avevano ammesso alla vigilia del vertice come a Bruxelles ci fossero serie preoccupazioni per la fermezza ungherese nel respingere il pacchetto ucraino. Alcune modifiche erano state proposte per ammorbidire Orbán, ma il premier e il suo governo erano apparsi decisi a non cedere in alcun modo. Alla fine, invece, nemmeno mezz’ora dopo l’inizio delle discussioni nella mattinata di giovedì, il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha dato l’annuncio in un post su X che i 27 paesi membri hanno raggiunto all’unanimità un accordo sui 50 miliardi di euro da inviare in Ucraina.

Il risultato insperato ha sorpreso molti osservatori, visto che le tre principali “concessioni” fatte a Orbán risultano tutto sommato trascurabili e soddisfano solo marginalmente le richieste del leader ungherese. Gli stanziamenti sono stati in effetti frazionati in quattro parti con erogazioni annuali, ma, una volta approvato il finanziamento in questa fase, non ci sarà possibilità di veto per le tranche successive.

I 27 membri avranno soltanto a disposizione un rapporto annuale della Commissione Europea sull’implementazione degli aiuti, mentre, se fosse necessario, tra due anni il Consiglio chiederà alla Commissione stessa di proporre una revisione del nuovo bilancio. La terza condizione aggiunta al provvedimento prevede invece una discussione a livello di leader di governo sulle modalità con cui verranno gestiti gli aiuti a Kiev.

Un altro punto su cui l’Ungheria sembra non avere incassato nulla è lo sblocco dei fondi europei congelati per l’annosa disputa sulle “riforme” antidemocratiche introdotte in questi anni da Orbán. Nell’accordo sul bilancio è stata soltanto introdotta una dichiarazione che impegna l’Europa a garantire equità e obiettività nel valutare quelle che Bruxelles ritiene violazioni del diritto e dei principi democratici da parte di Budapest. È possibile comunque che un percorso verso lo svincolo dei fondi sia stato concordato anche se non reso pubblico.

La testata on-line Politico ha citato giovedì alcuni diplomatici europei che hanno escluso altre concessioni fatte a porte chiuse. A loro dire, le “crescenti pressioni” dei leader europei su Orbán sarebbero state sufficienti a convincere il premier ungherese che non vi erano alternative allo sblocco dei fondi per l’Ucraina. In effetti, il mancato accordo sui 50 miliardi avrebbe messo in serio imbarazzo l’Europa e, di conseguenza, aumentato le pressioni su Budapest.

È estremamente probabile tuttavia che a Bruxelles siano riemerse le minacce recapitate di recente al governo ungherese. Nei giorni scorsi e opportunamente alla vigilia del vertice, il Financial Times aveva pubblicato in esclusiva il contenuto di un documento europeo che delineava un piano per “sabotare” l’economia dell’Ungheria se Orbán avesse insistito nell’ostacolare l’approvazione degli aiuti a Kiev.

Mentre cioè da un lato l’Europa predica il rispetto dei “valori comuni”, denunciando la deriva anti-democratica dell’Ungheria, dall’altro complotta interventi di sabotaggio contro un proprio membro se esprime pareri diversi dalla maggioranza su questioni strategiche ritenute cruciali. Il ricatto allo studio consisteva nello sfruttare i punti deboli dell’economia ungherese, prendendo di mira la valuta di questo paese e scoraggiando gli investimenti esteri. Lo stesso Financial Times faceva notare come la strategia tesa a “danneggiare deliberatamente l’economia di un paese membro segnerebbe un punto di svolta” – e non certo in positivo – per l’Unione.

La decisione di stanziare altri 50 miliardi di euro per la fallimentare causa ucraina è in ogni caso insensata da qualsiasi punto di vista. Sul piano dell’immagine rappresenta un clamoroso autogol, anche se spiega a sufficienza quali siano le priorità di Bruxelles. Con i coltivatori mobilitati per contestare le politiche europee di impoverimento del settore, i 27 membri hanno dato il via libera ad altri fondi da destinare al buco nero dell’Ucraina, i cui prodotti agricoli immessi liberamente sul mercato europeo sono oltretutto oggetto di durissime critiche da parte dei produttori UE.

Del tutto assurda è poi la fretta con cui si è voluta chiudere la pratica del nuovo pacchetto, dal momento che negli Stati Uniti, unici a beneficiare in qualche modo della crisi ucraina, gli aiuti richiesti per Kiev dall’amministrazione Biden restano bloccati al Congresso, senza prospettive di approvazione nel breve periodo.

In generale, provvedimenti come quello su cui l’Ungheria e il resto dell’Europa si sono appena accordati possono tutt’al più prolungare il conflitto, ma non fanno nulla per migliorare la situazione dell’Ucraina. Anzi, tenere aperti i cordoni della borsa a favore del regime di Zelensky contribuisce a far salire il numero di vittime e il livello di distruzione in Ucraina, aggravando poi i problemi economici e il processo di deindustrializzazione dell’Europa.

Al di là delle dispute interne tra i paesi membri, l’UE e i singoli governi farebbero meglio a prendere atto dei divergenti interessi strategici con Washington, nonché a iniziare il prima possibile a lavorare per una soluzione diplomatica al conflitto e gettare finalmente le basi per ricostruire normali e proficue relazioni con la Russia.

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